venerdì 26 maggio 2006

giovedì 25 maggio 2006

martedì 16 maggio 2006

Baricco- Questa storia

Ultimo si chiamava così perché era stato il primo figlio.
-E Ultimo-, aveva subito precisato sua madre, appena ripresi i sensi dopo il parto.
Così fu Ultimo.

Ultimo se llamaba asì porquè habìa sido el primer hijo.
-Y Ultimo-, dijo pronto su madre, al reponerse del parto.
Asì fue Ultimo.

-Senti che roba...-, disse a un certo punto, insiprando deliziato l’aria della sera.
-Quale roba?-, chiese il Tarìn.
-L’odore di letame-, chiarì Libero Parri, tornando a inspirare teatralmente.
Il Tarìn tirò su col naso un paio di volte, ma senza convinzione.
-Non c’è odore di letame-, disse.
-Appunto-, concluse Libero Parri, trionfale.
Era il genere di cose che lo faceva impazzire.

-Huele este…-, dijo de repente, respirando el delicioso aire de la noche.
-¿Este què?-, preguntò Tarìn.
-El olor de estièrcol-, explicò Libero Parri, volviendo a respirar teatralmente.
Tarìn inspirò un par de veces, sin convinciòn.
-No hay olor de estièrcol-, dijo.
-Precisamente- concluyò Libero Parri, trionfal.
Era el tipo de cosa que lo ponìa loco.

Non c’era più strada, ma non mi sarei fermato. Forse per un attimo pensai di diventare aereo e uccello, ma sapevo benissimo che la futile ebbrezza del volo non era una soluzione, e non lo sarebbe stata mai. Vengo da gente contadina, io, siamo gente della terra, e non voliamo. È su questa terra che ci salveremo. Su queste strade di terra.

No habìa mas calle, pero no me habrìa parado. Quizàs por un rato pensè hacerme aviòn y pajaro, pero sabìa muy bien que la fùtil embriaguez del vuelo no era una soluciòn, y no lo serìa nunca. Soy de gente campesina, yo, somos gente de la tierra, y no volamos. Es sobre esta tierra que nos salvaremos. Sobre estas calles de tierra.

Questa misteriosa circostanza per cui le cose del nostro passato continuano ad esistere anche quando escono dal raggio della nostra vita, e anzi maturano, portando frutti nuovi ad ogni stagione, per un raccolto di cui noi non sappiamo più nulla. La persistenza illogica della vita.

Se c’è una cosa che mi ha sempre affascinato è la cecità che hanno i genitori peri sogni dei figli. Proprio non li vedono. Non lo fanno per cattiveria.

I corpi, caro signor Parri, i corpi li avevamo come giocattoli senza istruzioni, nessuno di noi due li sapeva usare, il mio lo giostravo da maestra nelle pagine del diario ma era un modo per non usarlo di giorno, alla luce del sole. E Ultimo, per quel che ricordo, se lo portava in giro come un impermeabile troppo grande.

-Magari non era affatto la donna della sua vita. Probabilmente era solo una stupidella viziata e vagamente frigida, lo sa?-, disse.
-No, non lo era-, disse l’uomo.
Poi disse che era sicuramente la donna della sua vita.
-E perché?
-Perché era cattiva. Era matta, cattiva, e tutta sbagliata. Era vera. Se capisce cosa voglio dire. Era una strada piena di curve assurde, e correva in aperta campagna, senza preoccuparsi mai di tornare. Senza nemmeno sapere bene dove stava andando.
Fece una piccola pausa.
-Era una di quelle strade su cui ci si ammazza.

Fu proiettile e sparo, a una velocità impensabile, finchè si trovò di fronte l’ultima curva, quella che nel disegno era spiegata con un’unica, semplice parola: Elizaveta. Si era chiesta tante volte cosa c’entrasse lei in quella curva così ordinata, e impersonale. Fece appena in tempo a capire, con gli occhi, quello che d’improvviso si senti precipitare addosso, con l’automobile che saliva sul morbido muro e sparata dalla forza centrifuga roteava l’amabile acrobazia di quattro ruote gommate appesa a una curva parabolica. Elizaveta sentì sparire ogni peso, e si accorse che stava volando senza staccarsi da terra. Era impossibile respirare. Ma lei disse piano, e sorridendo:
-Che stronzo

lunedì 8 maggio 2006