domenica 20 luglio 2014

afonia




Se non parli con chi è degno di ascoltarti, perderai il tuo pubblico. Se parli con chi non è degno di ascoltarti, perderai le parole. Chi è depositario del vero sapere, non perde il pubblico e non perde nemmeno le parole.

Confucio

sabato 19 luglio 2014

acqua sotto i ponti




L'aereo sbarca a Pisa che è buio già da tempo. All'uscita non c'è nessuno ad aspettarmi.
Io e il mio trolley ci spostiamo fuori, nella notte toscana. Compro il primo biglietto d'autobus per Firenze e dopo quasi un'ora sto cullando i miei sogni su un pullman diretto nel passato.
Arrivati a Santa Maria Novella chiedo all'autista se non gli spiaccia lasciarmi a Novoli prima di ricominciare il turno dall'aeroporto di Peretola. E così a mezzanotte mi ritrovo di fronte al colossale tribunale di Ricci, in una zona che conosco fin troppo bene.
Poco più avanti un'auto mi sta aspettando. Ti saluto e ci dirigiamo alla tua nuova casa, dove pizza e birra ci aspettano per cena all'una di notte. Mangiamo voraci seduti sulle poltrone del soggiorno, mentre sullo schermo scorrono immagini di un giovanissimo Keanu Reeves e dalle nostre parole riemergono scene del passato universitario. Gli amici, gli esami, le uscite, le vecchie e nuove famiglie. Le persone disperse e quelle presenti. Poi la stanchezza ha la meglio e sopraggiunge il sonno.

La mattina, dopo aver fatto colazione al bar dei cinesi, ti saluto e mi dirigo con il mio trolley verso il centro. Attraverso il parco di Gabetti&Isola, via Terzani, lo studentato, l'aera Belfiore.
Torno ad essere un turista in una città che per tanti anni è stata mia. Macchina fotografica a tracolla e bagaglio a seguito come il più tipico degli stranieri. Duomo, Repubblica, S. Lorenzo, Oblate, S. Croce, Ciompi e poi Santa Maria Novella dove mi raggiunge un altro vecchio amico. Ci arrostiamo le chiappe sulle assurde panchine in acciaio della piazza e ci salutiamo, io diretto al mio treno tu alla tua famiglia.
E così si torna, un'altra volta, a casa.

lo que haces




L'edificio che avevo adocchiato il giorno precedente è la Biblioteca Escuelas Pias, un'antica chiesa riconvertita magistralmente in biblioteca. Mattoni e pietra si alternano ai nuovi interventi in legno, dando vita ad uno spazio di una sacralità diversa: quella intellettuale.
Rampe di scale rettilinee in cemento risalgono sulla parete esterna della chiesa e portano ad una terrazza sul tetto da cui si può godere del famoso cielo di Madrid.

Il MediaLab del Prado è un interessante progetto. Due navi industriali sono state unite da un volume centrale per la distribuzione verticale. Mentre l'esistente è stato ripulito lasciandolo nudo, impianti e partizioni a vista e ridotte al minimo, il corpo scale è un curioso oggetto che si ritorce su se stesso, neutro all'esterno e flash all'interno.

Approfittiamo delle ultime ore per visitare l'interno del CaixaForum. Scorriamo velocemente la mostra sulla Pixar, rimanendo incantati dallo "zootropio", una scultura che dimostra il principio dell'animazione. Dopo aver commentato gli interni del Caixa, il vuoto centrale e perfino i bagni, ci dirigiamo verso la stazione di Atocha. I saluti sono rapidi ed increduli come quelli del mio arrivo.
Hasta muy pronto, Esme.

amarezza e arroganza




È facile essere poveri senza provare amarezza, mentre è difficile essere ricchi e non essere arroganti
Confucio

lunedì 14 luglio 2014

candela




Entriamo nel Candela dopo che un uomo all'ingresso ha controllato che i nostri nomi fossero sulla lista. Il bar è composto da un'unica sala stretta e profonda, l'ingresso su uno dei lati corti, il palco sull'altro. Un lungo bancone, al quale sono già accalcati diversi avventori, copre quasi completamente la parete senza finestre. Il resto del locale è occupato da sedie di legno, disposte in file ordinate e strettissime. I muri una volta bianchi sono ora nascosti da una moltitudine di foto, poster, locandine ed articoli che riguardano i ballerini di flamenco che sono passati di qui. L'atmosfera è quella di un bar andaluso, anche se vagamente ripulito.
Amelia, la stella della serata, viene a salutarti e ci presentiamo velocemente: una donna piccolina, dallo sguardo furbo ed intenso, i capelli nerissimi raccolti sulla nuca ed un vestito strettissimo.
Con i nostri botellines in mano prendiamo posto ed aspettiamo l'inizio dello spettacolo. Mentre tu chiacchieri con la tua amica della fila davanti, io faccio la conoscenza della mia vicina. Anche perchè è così vicina che quasi condividiamo la stessa sedia. Originaria di Istanbul, mi racconta di essere venuta a Madrid perchè qui ci sono le migliori scuole di flamenco del Paese. Ed io che pensavo che fossero nel sud. Mi spiega che il ballo si originò in Andalusia ma poi la sua diffusione è stata legata negli ultimi anni ad insegnanti che risiedono nella capitale. Mentre si prodiga in spiegazioni, al suo lato il padre resta seduto composto osservando benevolo lo strano folclore che lo circonda senza capire una sola parola.
Dopo una rapida presentazione del proprietario del locale, sul palco sale un uomo vestito con pantaloni e maglia scuri, capelli brizzolati pettinati all'indietro, chitarra classica al seguito. Il cantante, stivale in pelle nera e camicia nera aperta sul petto, ci introduce il ragazzo più giovane della compagnia: pizzetto ed imbarazzante bandana nera da rapper in testa, ma a quanto pare un ottimo violinista flamenco.
Il chitarrista è un prodigio, come si conviene. Il violinista si inserisce con accenti striduli ed il sopracciglio sollevato. Il cantante, uomo di mestiere, si lamenta con stile. Poi entra il ballerino in nero. Si dimena con grazia non eccessiva, ma con arte sul piccolo palcoscenico. Pesta il legno che lo sostiene, frusta l'aria, afferra il furore. Ma è quando entra Amelia che lo spettacolo si fa tale. Il dramma scritto in faccia, raccolta in un vestito che la risucchia a dovere e ne esalta le forme senza la minima volgarità, anzi, con un tocco di funereo rispetto. I tacchi castigano il palco con percussioni potenti, le palme ad afferrare e schiaffeggiare uno spirito che solo lei riesce a vedere, la gonna a tracciare traiettorie disattese.
Poi è tutto un climax. I ballerini escono, e rimangono i suonatori a rimpallarsi melodie zigane con virtuosismi da star. Si inserisce il canto, esplicitando con gli strani gorgheggi il debito che questa musica ha con la tradizione araba. Ed infine, insieme al ballerino, torna la regina in un vestito rosso fuoco. In preda a raptus sempre più intensi, si dimena fino a perdere progressivamente tutti i fermagli che le tengono in posizione la capigliatura. Nel momento di coinvolgimento massimo Amelia si ferma, ansimante. Il pubblico applaude, i suonatori si alzano in piedi continuando a suonare e tutti quanti scendono dal palco cantando, ballando, e battendo le palme per infilare la porta laterale e le scale che portano nell'interrato, dove lo spettacolo continua solo per pochi intimi.

venerdì 11 luglio 2014

sognare




Garcia Lorca mi guarda coi suoi occhi di bronzo, plaza Santa Ana a fargli da quinta. I turisti gli sfilano a fianco, si fermano a farsi le foto, quasi fosse uno dei tanti mimi in circolazione. Mentre Federico continua a fissare la colomba che dalle sue mani non riesce a spiccare il volo, seduto su un cubo di porfido lucido, spalle al Teatro, fronte al Reina Victoria, parlo silenziosamente col poeta che mi risponde con la sua immobilità. Il tempo passa attorno a noi, statue inanimate ognuna a modo suo.

Al margine di Plaza Àngel un giardino splende del sole meridiano. Un chiosco in ferro e vetro lascia vedere al suo interno il negozio di fiori più antico della città, un secolo di esperienza in sensazioni vegetali. Il tempo è passato, il tetto in legno è stato rinnovato, le colonne in ghisa ripulite ed il negozio accuratamente cosparso di oggetti di uno studiato stile vintage. Seminascosto da alberi e fronde, un grande cartello campeggia all'ingresso: "non smettere di sognare".

Passeggiando arrivo a Lavapiés. I gruppi di nordafricani sono sempre più numerosi, il modo di vivere la strada sempre più da piccola comunità, da luogo in cui quel che succede viene controllato da tanti occhi. Arrivato davanti ad un vecchio edificio, un'antica chiesa riconvertita in qualcosa di moderno, decido di fermarmi e godermi un po' di sole in una piazzetta laterale, poco più bassa della strada, dove non c'è nessuno. Con calma scruto la rugosa parete centenaria in mattoni scrostati ed il nuovo edificio nascerle sotto pelle. Ampie vetrate dietro a fornici antichi, una grande terrazza sull'attico dal quale si vedono sporgere ombrelloni e mani abbracciate a cocktails. Mentre lascio che il matrimonio tra antico e nuovo depositi in me i suoi semi, un ragazzo attraversa la piazza, mi vede e mi chiede se ho da accendere. Ovviamente no. Lui si ferma e si avvicina con nonchalance. Mi chiede se aspetto qualcuno, cosa faccio da queste parti, si inventa che gli sto simpatico. Capelli rasati, bracciale d'oro a grosse maglie, ray-ban con finiture dorate, mi chiede se non ho da dargli qualche spiccio. Rispondo in maniera cordiale cercando di evitare di creare tensioni. Il ragazzo si avvicina e si siede sempre più vicino sulla panca. Solo uno stupido non si accorgerebbe che sta cercando in quale delle mie ampie tasche dei pantaloni si trova il portafoglio. Mi alzo, dicendo che si è fatto tardi e che devo andare. Lui si alza con me e chiede perchè non voglio chiacchierare con lui. "Facciamo un ballo, qui in piazza" dice, trovando così il pretesto per prendermi per la vita ed infilare una mano nella tasca. Fortunatamente riesco a svincolarmi in tempo e a tornare sulla via principale. Gli altri ragazzi del suo gruppo, appoggiati di spalle al muretto, non fanno una piega, e lui continua ad attraversare la piazza come se niente fosse. Questa volta gli è andata male, ma non gli importa più di tanto.

venerdì 4 luglio 2014

ultimo sole




Usciamo dal bar e lasciamo liberi i piedi di scorrazzare per la città. Il centro è ricco di attività creative: gallerie d'arte, studi di comunicazione, sale di coworking,laboratori di restauro, negozi di recupero di oggetti vintage. Si percepisce una movida culturale creativa che cerca con l'inventiva di superare una crisi economica che dura ormai da troppo tempo.

Le parole fanno il loro mestiere. Sollevano il morale, annullano la fatica e riscoprono attimi del passato come profumi, riportandoci ad un mondo di serenità e gioia che non c'è più, annegato nelle complicazioni. I piedi ci portano senza premeditazione di fronte al Palacio Real ed alla cattedrale de la Almudena proprio mentre il sole prova lentamente ad inabissarsi trai rilievi all'orizzonte. Attraversiamo il ponte dei suicidi e, birra in mano, ci sediamo sulle erbose pendici della ripida collina puntando lo sguardo a ovest, oltre Casa de Campo. All'ombra dell'ultimo sole ci lasciamo cullare dalla musica della terrazza dietro di noi, mentre ci accendiamo per la storia di Gainsbourg, per il suo carattere e la sua estetica, per sua moglie e le sue canzoni. Intorno, gruppo di ragazzi confidano perle di vita e banalità alla loro bottiglia, confondendo il fiato con i fumi della marijuana.

Dopo un rapido passaggio da casa ci infiliamo in un cinema del centro. Seduti nelle ultime poltrone di una sala stranamente asimmetrica e dai soffitti stuccati, aspettiamo che si spengano le luci per poterci sparare i nostri panini e le nostre birre. Il film di Wes Anderson è affascinante, un'ambientazione dalla strana atmosfera, al limite tra il poetico ed il comico. Ma sono troppi giorni che non riposi e la poltrona è un richiamo troppo invitante.

mercoledì 2 luglio 2014

està que arde




La mattina comincia lenta, senza fretta. Come fosse domenica e questa fosse casa mia. Il Rastro è grigio e la colazione prevede tostada con miele e frutta secca.
Mi chiudo la porta alle spalle e comincio il mio vagabondaggio urbano. Ricordo ancora qualcosa di questa città, quando ci venni con Gaelle, e poi a visitare Claire. I luoghi dove eravamo stati insieme come una costellazione vaga nella nebulosa della geografia metropolitana. Osservo la cartina alla fermata dell'autobus di Ronda de Toledo, ne traccio una mappa mentale e parto in direzione di Tirso de Molina e Paseo del Prado. Dopo una breve tappa al Caixa Forum per scroccare la rete e fissare un pranzo alle quattro, incappo in una piacevole novità. Nascosto tra le pieghe del tessuto urbano, un lotto inaspettatamente vuoto è stato trasformato in un parco provvisorio a disposizione dei cittadini. Spartani ma ordinati orti, un laboratorio di restauro di mobili, un anfiteatro di pallet annegati nella terra, una lavagna per i più piccoli, una rastrelliera per le bici. Tavolini, panche, sedie e amache sono sparsi ovunque per favorire relazioni sociali non previste. Mi siedo nell'anfiteatro a ridosso della parete in mattoni antichi ed entro a far parte della scena. Un giovane padre, apparentemente disoccupato, cerca telefonicamente di stabilire un appuntamento per qualche lavoretto artigianale, mentre di sottecchi sorveglia la figlia che gioca nella terra polverosa. Un quarantenne si infratta trai giunchi per rollarsi uno spinello e, poco più in là, tre ragazze stanno sedute in silenzio a fumare, godendosi i pochi raggi di sole. Sotto questo cielo grigio è bello che ci sia un posto verde di tutti, anche se non curato come ce lo si aspetta. Un luogo mutevole e provvisorio.
Mentre varco il cancello per uscire un piccolo gruppo di bimbi delle elementari arriva accompagnato dai maestri e comincia a scorrazzare liberamente.

Con nonchalance inforco l'entrata della Casa Encendida, saluto la persona all'ingresso e salgo ai piani superiori. Mi godo una piacevole mostra sull'Estremo Oriente che mostra foto, disegni ed oggettistica delle forme di abitare tradizionali del Giappone, coi loro magnifici giardini artificiali che ricreano paesaggi in miniatura, surrogati del monte Fuji e delle foreste.  Mi affaccio all'accattivante caffetteria e poi risalgo i vari piani passando per  la mediateca, la radio, la piattaforma televisiva. La terrazza sul tetto, luogo affascinante anche se poco panoramico, è occupata da alcuni cineoperatori che stanno intervistando un ragazzo, una qualche forma di artista direi dai modi e dal vestire.

Alle quattro passate ci sediamo al Verbena, dove ci aspetta il nostro menù. Un bell'ambiente, stile accogliente, e noi che ci perdiamo in chiacchiere mentre il sole comincia lentamente la sua parabola discendente sulle strade di Tribunal.