venerdì 20 luglio 2012

lentamente


Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia di vestire un colore nuovo,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette
almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.

Muore lentamente,
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare.

Muore lentamente,
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore,
chi abbandona un progetto
prima di iniziarlo,
chi non fa domande
sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde
quando gli chiedono
qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà
al raggiungimento
di una splendida felicità.



Martha Medeiros

la neve all'improvviso


Si avvicina al microfono. Ha una canotta bianca inguardabile, slargata, con occhi neri disegnati sopra. Le basettone gli segnano la mascella, sempre più pingue.
Questa canzone la dedico ad una persona che è qui, stasera - dice. Un'amica che è stata molto importante. Questo è per dirle che non importa quanti anni passino, quanto tempo. Certe cose sono vere, e lo restano per sempre. Questa canzone è per te, Francesca.
E comincia a sfiorare la chitarra elettrica, bianca opaca, candida. Davanti a lui tanti piccoli fari salgono da terra, come stalagmiti, lucciole cangianti. Poi una folla distesa nel grande prato, gli abeti ed il cielo stellato di Ferrara.
Il falsetto ci sottrae al caldo, ci trascina in un paesaggio nordico, dove risplende la neve, dove le grotte sono popolate di fiabe, dove il romanticismo è ancora vivo. E la musica è una coperta, calda e vibrante, che comunica sottopelle.

Bon Iver.

mercoledì 11 luglio 2012

buona fortuna


La facciata di Palazzo Re Enzo prende vita, arrossendo ed allungando le sue ombre, mentre addento la mia pita con falafel seduto sui gradini della chiesa. E mentre mi godo questa città, prima che inizi la vita della notte, nella cornice del mio film personale entra in controluce una sagoma dinoccolata. "Bonjour", ci dice sondando il terreno. "Ciao", lo salutiamo continuando la nostra cena vagabonda. "Potete fare qualcosa per noi, ragazzi?". Piano piano, senza nessuna fretta, si siede sul marciapiede di fronte a noi. Respira lento. Dice che è stanco. Che di solito cammina tanto, ma che ora gli fanno male i piedi. "E il mio amico, quello laggiù, vedete?", dice indicando un ragazzo sdraiato lungo i gradini della chiesa "beh, a lui l'hanno picchiato e ora non riesce più a camminare". Ha gli occhi cerulei, piccoli e profondi. Stanchi, incredibilmente stanchi. Hanno un fuoco sopito, dentro. Continua a guardarmi fisso, dritto negli occhi, facendo un occhiolino lento e piegando leggermente la testa di lato quando fa una battuta. "Ho 41 anni, sono in Italia da 25. Mia mamma era polacca, si è sposata con un carabiniere di Roma, ma mi hanno abbandonato quando ero piccolo. Ho girato tanto. Malaga, Valencia, Alicante, la Francia. Ora siamo a Bologna da 3 giorni". La pelle del viso è bruciata, macchiata, le dita sono state usate tante e tante volte, logore e grosse. I denti sotto, a ventaglio, rischiano di cadere; gli altri non riesco neppure a distinguerli.
Cristofer si chiama. Portatore di Cristo, gli faccio eco io. Speriamo, risponde lui.
Ama la storia, Cristofer. Ci racconta della Polonia, un grandissimo Paese, lacerato da tedeschi e russi. Ci racconta dei generali trucidati, dei documenti dati da Gorbaciov a Polanski, del patto Ribbentrop-Molotov completamente disatteso. Di chi è stato a liberare Bologna, di fughe dai treni, di una "madre che ben conosciamo" che aiutò i profughi.
Racconta bene, con patos nordico, parole scelte accuratamente ed espressione che cerca di non tradire emozioni. In un paio di occasioni si commuove, e ci chiede scusa.
"Io non mi vergogno di essere polacco" dice "si vergogna chi non sa qual è il suo Paese, cosa significa il suo Paese. Io non mi vergogno di essere polacco".
Mi alzo per salutarlo, gli porgo la mano e lo sollevo. Sarà alto più di due metri. Mi stringe forte la mano.
"Buona fortuna, Cristofer". "No, come dite voi, in bocca al lupo"

lunedì 9 luglio 2012

presepe


Lo vedo e non posso fare a meno di guardarlo. Un ragazzino sui dodici anni, il fisico atletico di chi è nel pieno della crescita, nel fiore degli anni. Una maglia buttata addosso con noncuranza ed un paio di pantaloni corti. Scarponi ai piedi. La pelle nera come il carbone.  Risale la collina, bastone in mano, battendolo qua e là sull'erba.
Poco più sotto una bimba di neppure dieci anni, con un vestitino di altri tempi, risale allo stesso modo il pendio, roteando il bastone. I due tracciano un disegno invisibile sull'erba e, senza toccarle, sospingono le mucche verso la stalla.
I miei compari continuano a parlare, ignari dell'immagine che mi ha rapito. Affondano i denti , sorseggiano il vino. Si godono l'aria fresca che tira su questa terrazza naturale, spalle alla malga e fronte alla montagna.

Ed io continuo a perdermi in questa immagine lenta, di un bambino nato nel cuore dell'Africa e finito a fare il pastore quassù, sulle Dolomiti friulane.

mercoledì 4 luglio 2012

meridiani



- Lo vedi? La spalla non riesce a toccare terra.
Le sue mani continuano a correre su di me, insinuandosi, strisciando, premendo. La scapola, il trapezio, la spalla. Con costanza perpetua il suo rotolare le dita sul mio corpo.
- Questo significa che la tua schiena è contratta, non è in armonia.
Il gazebo, piccola copertura bianca, si trova sotto un grande abete nel parco dell'università. Intorno è buio, è già notte da tempo, e nel cielo risplendono le lanterne di carta di riso.
- Da qualche parte c'è qualcosa che la blocca. E non è detto che sia una questione di postura lavorativa.
La gente continua a passare, ad accalcarsi, stipandosi attorno al palco qualche metro più in là. Un misto di suoni acustici e gotici, un finger-picking dopo l'altro, risuonano nell'aria.
- Potrebbe essere dovuto ai meridiani frontali, e non a qualche problema relativo alla schiena. E io penso che sia proprio così.
Kaki King sta dando sfogo alle sue capacità di chitarrista, il pubblico è seduto, in contemplazione. E qua, poco fuori dalla calca, sto sdraiato io, pancia a terra ed occhi chiusi. Le mani della massaggiatrice a ridisegnarmi i muscoli.
-Abbiamo due meridiani principali nella parte anteriore del corpo: quello dei polmoni e quello del cuore. Il meridiano dei polmoni è responsabile della tristezza mentre quello del cuore della gioia. Tu tendi ad inarcarti, a portare le spalle verso il petto, perchè tendi a proteggere questi due meridiani, perchè non sei in equilibrio con loro. Dico bene?