martedì 29 aprile 2008

bianco spuma- cap 3


Farrel era il figlio maggiore del falegname. Nell’alba di una domenica di aprile, una decina di anni addietro, mentre tornava dalla pesca mattutina aveva incontrato una bella straniera di nome Nnersi che vagava per il porto. La ragazza parlava una lingua sconosciuta e nessuno aveva idea di come fosse arrivata fino al paese. Farrel la osservò per qualche minuto e non poté fare a meno di pensare che quel corpo non era fatto per stare coperto. Il vestito le stava addosso come per errore, come un incidente che casualmente si era materializzato su di lei. Quella sensualità unita al mistero che la natura aveva inspiegabilmente donato ai suoi silenzi convinsero il pescatore che non poteva desiderare una donna migliore. E il matrimonio venne fissato per il mese successivo.
- Quella domenica il sole era malato – continuò Sara – e, nonostante la stagione, gli invitati rabbrividivano nella piccola chiesina del paese. Poco prima dell’inizio della cerimonia scoprirono che il fratello del pescatore, il giovane Bris, unico testimone degli sposi, era inspiegabilmente scomparso. Farrel non ne volle sapere di rimandare e, dopo molte pressioni, padre Ura acconsentì a celebrare comunque il matrimonio. All’uscita dalla chiesa il cielo era completamente coperto di nubi minacciose e l’aria immobile, come sospesa; ma non una goccia cadde in terra. Farrel disse che era un buon auspicio, che la pioggia non aveva avuto il coraggio di scendere per non rovinare una giornata così gioiosa.
- Ma gli anziani non erano d’accordo – aggiunse il capitano, guardando fuori come se rivedesse le stesse nuvole – Dissero che la pioggia si stava solo trattenendo per scendere poi a devastare tutto quando fosse giunto il momento. Dissero che c’era qualcosa di strano in quel matrimonio e che quel cielo nero portava solo una gran sfiga. Padre Ura mi confidò una volta che probabilmente un matrimonio senza testimoni non si poteva neppure considerare valido. Però si cagava addosso di mettersi contro Farrel e non fece mai nulla.
- Dannazione, non potevamo certo immaginare quello che era successo – fece eco Krad.
- Tutte stronzate. Credete che il cielo si fosse incazzato perché non l’avevano invitato? – sogghignò Brandàn ironico.
- Merda, a volte penso che i pesci rossi dicano cose più intelligenti di te, Brandàn – gli rispose Krad.
- Bris tornò a casa quattro giorni dopo – proseguì Sara con quella voce trasognata che catalizzava l’attenzione di tutti – Era ferito, disidratato, affamato. Non raccontò a nessuno cos’era successo e dov’era stato in tutti quei giorni. In paese pensavano che la rabbia che da allora nutriva per il fratello era dovuta al fatto che il matrimonio fosse stato celebrato comunque, in sua assenza, e che Farrel non avesse mandato nessuno a cercarlo. Da allora si trasferì a vivere da solo nella foresta alle pendici della montagna, dove aveva trasferito la falegnameria del padre da poco deceduto.
- Nessuno ricorda Nnersi felice. Ma siccome nessuno la conosceva neppure prima, tutti pensarono che fosse semplicemente il suo carattere e, forse, la nostalgia di casa – disse Abner porgendo il boccale alla barista perché glielo riempisse nuovamente.
- Per le palle di Nettuno – confermò a suo modo Krad - era fottutamente triste. Mi rovinava l’intera giornata se solo mi capitava di vederla. A volte per tirarmi su di morale mi toccava andare a vedere i gabbiani che spolpavano qualche pesce sulle scogliere.
- Questo non significa che i vecchi avessero ragione. Può essere un caso. Magari era solo incapace di essere felice e non c’era niente che non andasse nel suo matrimonio.
- Non capisci, Brandàn. Era una tristezza contagiosa, silenziosa, malata. Era come se qualcosa se la stesse mangiando da dentro. Sfioriva interiormente. Nonostante fosse giovanissima cominciò ad invecchiare. Gli occhi erano spenti ed ormai nessuno più ricordava il suono della sua voce. Nnersi passò gli ultimi dieci anni in silenzio, morendo poco a poco per dentro. Fino a quattro giorni fa.
Sara si fermò. Non sapeva fino a che punto dovesse raccontare a Brandàn le pene di quella donna che, senza motivo, sentiva così vicina. Era vero che lo spagnolo sbarcava ogni tre mesi su quei lidi, ma era pur sempre un estraneo. Il capitano la tolse dall’imbarazzo proseguendo.
- I marinai erano andati al porto per uscire a pescare, ma la nave di Farrel non c’era più. Lucius l’aveva visto arrivare poco prima e dice che era molto nervoso, che andava avanti e indietro sul ponte. Poi è arrivato Bris. I due non si parlavano da anni e non si sono neppure salutati prima di salire sulla nave. Hanno preso il largo immediatamente prima che fosse buio.
- La mattina dopo – riprese Sara – la tempesta si fece annunciare dalla nave di Farrel che si schiantò fragorosamente contro la banchina del molo portandosene via una parte. Il ponte era pieno di sangue e dei due fratelli non c’era traccia.
- Hanno voluto riappacificarsi, hanno scelto la notte sbagliata e il mare se li è pappati. Non ci sono molti segreti e quei vecchi non avevano previsto proprio un cazzo – sbottò il gallego trangugiando il fondo della sua birra.
- Ti sbagli Brandàn.
- Già. Ti sbagli. Stamattina, mentre riparavate la vostra carretta, hanno trovato qualcuno nelle stive del peschereccio. Era Tierry. A quanto pare il povero ragazzo stava giocando a fare il pescatore quando ha visto arrivare Farrel e si è nascosto. Ci è voluto tutto il giorno per togliergli di dosso quell’immagine da cadavere muto, ma pare che alla fine sua madre gli abbia fatto sputare il rospo.
- Dice che sono salpati così in fretta che lui non ha avuto il tempo di sgattaiolare fuori per scappare però ha potuto sentire tutto.
- Come vedi il matrimonio di Farrel non era poi così benedetto come si era augurato – sottolineò Abner con un sorrisino rivolto al gallego.

lunedì 28 aprile 2008

starman - meteore



There's a starman waiting in the sky
He'd like to come and meet us
But he thinks he'd blow our minds
There's a starman waiting in the sky
He's told us not to blow it
Cause he knows it's all worthwhile

He told me:
Let the children lose it
Let the children use it
Let all the children boogie

bianco spuma - cap 2


Lo stomaco della notte ruggì, e lo fece così forte che le finestre e le pareti della piccola baracca tremarono.
- Puttana rana. Sembra che il mare abbia deciso di cascare dal cielo. Se la tempesta peggiora si porterà via anche questo posto – commentò Abner da dietro il suo cappello, immerso nel fumo della pipa.
- Già. Finalmente Dio ha deciso di ripulire questo pianeta dall’idiozia che creò millenni fa. Stanotte si cucina un bel brodino con tutta l’umanità e da domani si rinizia! – disse la voce gracchiante di Krad in fondo al bancone.
- Vafanculo Krad, lo sai che porti merda? – replicò Brandàn con il suo tipico accento spagnolo e sbattendo il boccale sul bancone.
- Che mi appendano per le palle, guarda com’è ridotto quell’uomo e dimmi se stanotte il cielo non ci seppellisce tutti.
Si girarono verso lo straniero, ma quello non raccolse la provocazione continuando in silenzio a godersi la sua pinta, con il capo chino ed i capelli a nascondergli i lineamenti. Solo il movimento meccanico che portava il boccale alle labbra rompeva la sua fissità.
- È quello che pensano anche i ragazzi giù in paese. È due giorni ormai che non si fanno vedere da queste parti – fece la barista afferrando un boccale vuoto e cancellandone meccanicamente l’impronta con la spugna.
- Nessuno ricorda una tempesta così improvvisa e violenta su queste coste e gli anziani hanno proibito loro di avventurarsi oltre il grande faro. Li tengono tutti occupati nel porto, per vedere se si riesce a riparare i danni subìti – informò il vecchio Abner da dentro la sua nube di tabacco.
- Già. Il problema è che neppure in quel buco di porto siamo al sicuro – aggiunse Brandàn – La nostra nave stamattina ha sbattuto contro il molo e ci siamo fatti il culo tutto il fottuto giorno per riparare la falla e mettere in salvo il carico. Con tutto quel che c’è da fare l’ultima cosa che ci serve è doverci preoccupare di qualche cazzata di quei bambocci.
- Nessuno di loro si arrischierà a fare nessuna bravata con questo tempo – li tranquillizzò Sara, mentre puliva il bicchiere con lo sguardo fisso oltre la finestra. Sotto i suoi occhi, poco più in là, il mare si infrangeva sugli scogli con una potenza che aveva del terrificante, disegnando l’aria con uno spettacolo pirotecnico di schiuma.
Sulla punta più estrema di un molo gettato in mezzo alle acque, il bar non era nient’altro che un’antica baracca in legno per la pesca, di cui ancora conservava le grandi reti incrostate appese al soffitto. Un modesto bancone ed un paio di tavolini rotondi animavano lo spazio dell’unica stanza. Sotto, una selva di pali la radicava agli scogli dove, poco più in là, si ergeva il piccolo faro che sanciva l’imboccatura del porto. Solo l’estremo prolungamento del molo, un sottile camminamento di cemento, univa la palafitta alla terra ferma e al villaggio.
- Non c’è un cazzo da fare. Avevano ragione gli anziani su Farrel – disse Abner emettendo con preoccupazione un lungo sbuffo di fumo azzurrognolo, mentre con il beccuccio della pipa infilato sotto al cappello di feltro si compiaceva nel torturare la sua calvizie.
- Ancora con questa storia? – lo interruppe spazientito Brandàn – Non posso credere che diate retta ai deliri di quelle mummie.
- Quelle mummie sono la storia di questo posto. E tu gli devi rispetto – rispose secco il capitano Abner, puntando la sua pipa verso il gallego come fosse un’arma.
- Già il giorno del matrimonio avevano cominciato ad intuirlo – aggiunse Sara ripensando a quello che era successo anni prima.

sere d'estate dimenticate


La luce artificiale dei lampioni penetra a scaglie rischiarando l’ordine confuso della stanza. Mentre le ore della mattina continuano a correre sull’orologio della cucina, sdraiati sul divano in una notte di festa torniamo ad essere quello che non siamo mai stati. Torno a ridere a battute che sanno di normalità. Torno a godere della presenza di chi non ho scelto ma comunque c’è.
Poi, nei letti, le parole si affievoliscono e si spengono.
Con quella giovinezza di un passato che non è il mio.

martedì 22 aprile 2008

cortona



Uscendo dalla stazioncina di Camucia ci si trova di fronte una collina su cui si riposa il borgo di Cortona (ovviamente quando inventarono il nome non pensavano alla distanza che si deve percorrere a piedi, 4 km di salita stroncante sotto il sole cocente).
Se vi capita di perdervi fuori dalle mura, tra le fresche frasche di un boschetto alle pendici della rocca malatestiana (d'altra parte, a chi non capita?), trai cactus e le erbe che sanno di liquirizia, potrete godere della vista delle enormi ville con piscina, dei campi in fiore e, laggiù in fondo alla valle, del Lago Trasimeno. Se poi sbagliate di molto strada, potreste incontrare anche la chiesa di S. Margherita. E, poco più in cima, l'eremo.

Nel tornare a casa evitate pure di degustare i gelati, che tanto là proprio non li sanno fare.

lunedì 21 aprile 2008

bianco spuma - cap 1


Il vento se li portava sempre.
E quel vento, lì, era di casa.
C’erano notti in cui pettinava il cielo, spazzava le onde con solenne officio e rovesciava sulle spiagge bave e orrori. Risaliva il porto con impeto, imbiancando di sabbia e sale, come un’armata si addentrava nelle strade e, senza bussare, entrava nelle case. Vi entrava a porte chiuse, nelle menti dei suoi abitanti.

Il vento se li portava sempre.
Quel vento che a volte pareva sopito, dormiente in qualche porto o ammaliato al largo da qualche sirena. Sotto il sole estivo o nella nebbia invernale, anche il silenzio era un’attesa di lui, del suo profumo salmastro e della sua voce scrosciante.

E il vento sempre se li portava.
Quegli strani personaggi, retaggio di assurde maree che li abbandonavano sul bordo del mare, ereditati da nessuna nave. Apparivano quando il vento più infuriava nell’aria piena di spruzzi. Comparivano sulla soglia del bar del porto, ovvia apparizione di un giorno di tormenta.


- Ehi amico, che succede? Al cielo si son rotte le acque? – disse una voce dalla penombra alla fine del bancone.
- Fatti un nodo alla lingua, Krad – lo zittì una delle sagome sedute.
L’uomo entrò e si chiuse la porta alle spalle. Si diresse verso il bancone continuando a sgocciolare sul legno scuro del pavimento, mentre le scarpe scricchiolavano e schiumavano ad ogni passo. Appoggiò il giubbotto grondante su di un panchetto e si sedette. I capelli erano completamente bagnati e somigliavano più a delle alghe accidentalmente invischiate alla sua testa che alla capigliatura di un uomo.
– Una pinta per favore.
La barista prese uno dei grossi bicchieri che si trovavano di fronte allo specchio e cominciò a spinare. Guardò il nuovo arrivato con interesse e mentre gli porgeva il boccale decise di iniziare il suo gioco preferito. Passava così tanta gente da quel bancone che aveva sviluppato una vera e propria capacità per interpretare dagli indizi chi era il suo nuovo cliente. Non si trattava tanto di indovinarne la provenienza, quello era relativamente facile. Quanto piuttosto il motivo che l’aveva spinto ad arrivare fino a quelle coste, al paese, al bar. C’erano marinai che sbarcavano su quel bancone per noia, per riparare a una tempesta. C’erano forestieri in cerca della compagnia confortevole degli estranei o semplicemente desiderosi di ingannare il tempo con una buona dose di alcool. C’erano i perdigiorno dei villaggi dell’entroterra, che cercavano nelle storie della gente di mare un passatempo e un diversivo.
Chissà questa volta chi si trovava di fronte.

domenica 20 aprile 2008

gioia


A volte pianifichiamo le giornate con cura (anche la routine ha le sue regole). Organizziamo la normalità di una giornata qualunque e puntiamo la sveglia. Riposiamo il sonno dei tranquilli, di chi non ha imprevisti davanti a sé.
A volte ci addormentiamo sapendo che l’indomani sarà un giorno come ieri, coi suoi alti e i suoi bassi. Aspettiamo il risveglio con la stessa noncuranza con cui ci siamo addormentati. Ed il risveglio, puntualmente, arriva.

A volte poi succede che la vita non ci sta.
E decide di cambiare i nostri piani senza avvisarci, nel mondo di latte che precede la sveglia.
Accettare quello che ci porta è un rischio. Il rischio dell’imprevedibile accadere del mondo. Dell’esplosione della nostra quotidianità e la rivincita dello straordinario.

Io, quella mattina, lessi il messaggio e decisi di cambiare con gioia la normalità della mia giornata.

martedì 15 aprile 2008

tragaluz - cap1

Si accomodi, disse con voce velata.
La ringrazio, rispose la signora sedendosi.
Vuole che le favorisca il menù?
Oh, no grazie. Sto aspettando una persona. Mi porti un bicchiere di vino nel frattempo, per favore.
Certo signora.
Con un impercettibile inchino girò su se stesso e scivolò verso il bancone. Mentre riferiva l’ordine pensava che quella donna avesse fascino. Ne aveva viste passare tante da quelle parti, certo. Vestiti splendidi, modi raffinati, delle vere dame. Eppure non avevano charme, carattere. Lei sì, pensò tra sé.
La serata andava bene, il ristorante era quasi pieno ed i clienti si trattenevano volentieri in chiacchiere dopo aver terminato la cena. Mentre passava trai tavoli come un’ombra discreta, si ritrovava a guardare in direzione di quella donna sola, seduta al tavolo, che accarezzava il bicchiere di vino e lo sorseggiava lentamente. Non c’erano sigarette ad ingannare l’attesa. Non c’erano moti di disagio o di impazienza. Semplicemente guardava. Si guardava intorno come se il locale fosse un’opera d’arte. Ne osservava i dettagli, si soffermava sulle luci, sui tavoli. Mai che si permetta di fissare i clienti però, pensò.

Signora, tutto bene?
A meraviglia grazie.
Vuole che le porti qualcosa nel frattempo che aspetta? Qualche salatino, del pane tostato?
No, la ringrazio. Sto bene così, non ho fame.
In ogni caso non si preoccupi. Se le venisse fame più tardi non ci sono problemi. La cucina resta aperta fino al mattino. Non dubiti a farmi un cenno per qualsiasi cosa desideri.
Molto gentile, la ringrazio.
Si trattenne leggermente col suo inchino e tornò dagli altri clienti. Una signora come lei non dovrebbe aspettare, si disse. E mentre aspettava un piatto di solomillo en vinagre de Modena si trattenne ad osservarla, discretamente, da lontano.
La prima cosa che colpiva di lei ovviamente erano quei capelli grigi ramati di bianco e nero raccolti sul retro in una piccola coda. Dentro quella cornice stavano assisi due occhi di una intensità straordinaria, che smentivano con la loro aria vispa l’età che i capelli affermavano. Hanno qualcosa dentro, nel loro modo di osservare, come se dietro, dentro, ci fosse qualcuno che osserva da molto lontano.
Divenne la sua piccola preoccupazione per quella sera. Decise che avrebbe fatto in modo che non le mancasse nulla. Già era estremamente penoso vederla aspettare sola dopo tutto quel tempo, anche se a lei sembrava non importare.

Se mi permette, signora, la casa vorrebbe invitarla ad ingannare l’attesa con questo piccolo omaggio. È un passito speciale che importiamo direttamente dalla Sicilia abbinato con alcuni semplici antipasti di formaggi e miele. Speriamo che gradisca.
Estremamente gentile da parte Vostra. Ma vi prego, non dovete disturbarvi. Sto solo aspettando. E l’attesa non mi pesa.
Certo signora. Ma la prego di accettare in ogni caso questo dono.
Con molto piacere allora.
Girò elegantemente su se stesso e tornò verso la cucina.

se wright fosse stato un pasticcere


avrebbe fatto un panettone più o meno così

borgo


Ore 11
- Regina, ‘sto treno non passa …
- Sei sicuro che passa sul 2?
- Vado a vedere.
- …
- Ehm, l’abbiamo appena perso. Il prossimo è tra un’ora. Ti porto a fare un giro al porto, ok?
Ore 18
- Marco, fatti la doccia veloce che poi partiamo.
- Macchè doccia. Vengo via così …
- Fattela. Che non si sa mai cosa può succedere …
Ore 21
Salutiamo l’Ire, la Leti, la Clod e Piter e scendiamo dal treno diretto a Santa Maria Novella.
Sul marciapiede deserto del binario 1 di Borgo San Lorenzo il macchinista ci guarda, con la testa fuori dal finestrino.
- Ragazzi, volete risalire?
Lo guardiamo.
- Questo va a Santa Maria Novella, no?
- Si.
- Allora no, grazie. Aspettiamo quello per Campo di Marte.
Titubante ritorna in cabina e pian piano il treno riparte.
Entriamo nella sala d’attesa e guardo il display.
C’è una sola scritta. Sotto il vuoto assoluto. C’è un solo treno in partenza. Il treno per Santa Maria Novella. Il treno che è partito un secondo fa. Ci guardiamo negli occhi.
- Non ci posso credere.
Andiamo dal capostazione.
- Senta, il treno per Campo di Marte su che binario passa?
- Non c’è più.
- Come non c’è più?! È 6 anni che lo prendiamo ogni domenica …
- Mi spiace, è da gennaio che l’hanno tolto. Lo rimetteranno a giugno.
- Beh, allora aspettiamo.
- …
- Non ci sono altri mezzi per andare a Firenze?
- No, mi spiace, fino a domattina niente.
Ci guardiamo e ci mettiamo a ridere.
- Una birra?
Ore 22
Diventiamo immediatamente l’attrazione della serata di Borgo. I nostri trolley rimbombano per le strade vuote del centro e quando arriviamo al bar tutti gli sguardi sono per noi.
- Ciao. Mi fai 3 birre, 2 bionde e una rossa?
Il cameriere solleva lo sguardo dal bancone e mi appoggia due occhi ebeti addosso.
- C’è qualche problema? – gli chiedo.
- Ho finito la bionda.
- Beh, allora fammi 3 rosse.
Comincia a spinare il primo bicchiere. Poi si gira e dice.
- Mi spiace, ho appena finito anche la rossa.
- Dio mio. Avrai birre in bottiglia, no?
- Certo.
- Cos’hai?
- Moretti.
- E poi?
- Basta.
- Allora 3 Moretti.
Apre il frigo, si gira e mi dice:
- Me n’è rimasta solo una.
Trattenendo una crisi di risa me ne vado con la bottiglia.
Ore 23
- Ciao Sere. Senti, mi sa che farò un po’ tardi. Sono bloccato nel mezzo dell’Appennino e non so quando riuscirò a tornare a Firenze. Dovrebbero venire a prenderci dei nostri amici in macchina.
- Beh, se vuoi Francesco è originario di Borgo. Puoi sempre chiedergli se ti ospita per la notte. Anche se ormai vive a Firenze, non so se lo trovi …
- Fa lo stesso. Ti chiamo quando arrivo. Ciao.
Entriamo in un Irish Pub.
- Ciao – fa Pistarino alla barista.
Tutto il pub si volta a guardarci, mentre tentiamo di passare tra il bancone e il muro per andare al piano di sopra con le nostre mega valige.
Sto scendendo le scale del pub quando:
- Ehi, Francesco!
- Ehi, ciao. Cosa ci fai da queste parti?
- Niente. Sono sceso dal treno per prenderne uno che non c’era. Ora sono incastrato qui.
- Beh, sei fortunato. Io sono tornato solo oggi e sono qui per caso. Se vuoi ho 2 posti per dormire.
- Grande!
Nel frattempo arriva Parmino:
- E’ arrivata l’Irene. Ci aspettano in macchina.
- Grazie comunque Fra. Alla prossima.
- Ciao.
Ore 0
- Ci si sente domani, Sere.
- Ok, buona notte.
- ‘Notte.
Giro l’angolo e mi avvicino al portone di casa.
Frugo nelle tasche del giubbotto, dei pantaloni, delle valige.
Alzo gli occhi al cielo e penso:
- Cazzo, le chiavi!

martedì 8 aprile 2008