domenica 23 luglio 2006

vagabondo

Si guardò mentre appoggiava la scatola del succo per terra e si scoprì a pensare:
“Quanto rapidamente un uomo può raggiungere il fondo.”
Si guardò intorno. Lo stanzino era buio. Solo la luce azzurrognola dello schermo del suo portatile albeggiava e disegnava i confini dello spazio. Sul tavolino, incredibilmente rotondo, erano sparsi i semi del suo umore. A guardarli neppure lui riusciva a credere all’incredibile degrado cui si era lasciato andare.
Si vide pochi minuti prima mentre mangiava avidamente brandelli di baguette e scacchi di cioccolata da 50 centesimi. La sua cena. Le sue aspirazioni ad alcolizzarsi naufragavano in un bicchiere sporco di succo. Neppure quello gli era riuscito bene.
Fuori l’autunno di Granada si faceva sempre più freddo.
“La solitudine gioca brutti scherzi. Eccomi qui a cercare di ammazzare il tempo con il ticchettio dei tasti di un computer.”
Le briciole di pane e gli aloni di succo disegnavano la superficie del tavolo sul quale stava lavorando, se così si può dire. Di fianco, il cellulare, in attesa di una chiamata di qualsiasi persona, purchè lo portasse via da questo stato di sospensione.

Poi entrò Michael. Quello strano ragazzo dai rossi basettoni arruffati riusciva sempre a farlo ridere. E cominciò a mettere un po’ a posto.

mall_ 22.01.06

La stanchezza arriva e il mondo si distrae.
Nella nuova piazza dei desideri è sabato pomeriggio tardi, e la gente prende fiato prima di gettarsi nella serata che deve essere.
Un uomo. Barba lunga, brizzolata, berretta calata sulla testa, maglione nocciola largo. Guarda lo sportello dei surgelati e parla. Niente cuffie né telefoni. Parla coi surgelati o con se stesso.
Sulla musica passata dalle casse del supermercato una bambina-quasi-ragazza che non soffre certamente la fame si muove come se fosse una ballerina di qualche spettacolo. Ignora tutti gli altri che le passano a fianco e che la ignorano. Perché è faticoso preoccuparsi il sabato pomeriggio.
Un ragazzo tiene le dita appoggiate a un angolo della bocca. Banco frigo. Reparto frutta. Il suo sguardo passa gli occhiali senza montatura e si fissa su qualcosa che per certo non è qui.
Divisa a righe rosse su campo bianco, piumino smanicato sopra. Gli occhi spenti non si soffermano su nulla ma camminano languidi dalle merci ai clienti. Tredici euro e venti.
Facce americane stanno in fila alla cassa. E la sola cosa che comprano è alcol. Senza gusto. Birra e vino. Comprano alcol e una serata. Comprano bottiglie sperando di non trovarci sul fondo la solita tristezza. Quella tristezza che avanza, che non puoi affogare, che sa nuotare meglio di te e torna a galla, evidente e muta, quando la vita si fa meno stringente. Quando la vita ti lascia il tempo di guardarti le rughe. Comprano un biglietto per l’evasione, per fuggire da questo mondo senza felicità, per naufragare in uno in cui la tristezza è vestita di sorrisi, e le lacrime non si ricordano. Cancellano con gli aloni delle bottiglie gli aloni di un cuore prostrato.
Perché alla tristezza l’uomo prova ad adeguarsi. E comunque vada uscirà triste da questa sfida. E comunque vada si alzerà domani.

What have i become
My sweetest friend

sabato 22 luglio 2006

portugal

antequera





ronda



èvora




lisboa
















cabo sao vicente








isla de armona






granada graffiti