venerdì 22 novembre 2013

entregarse



¿No te da vergüenza? ¿Cómo es posible? ¿Qué has hecho para llegar a ese estado? ¿Ya ni siquiera puedes vivir entre la gente? ¡Hubieras podido ser tan feliz! ... Eres fino, eres inteligente y egoísta. ¿Pero qué has hecho durante toda tu vida? Engañar, engañar... ¡nada más que engañar!... Y ahora resulta lo de siempre; eres tú, el verdadero, el único engañado. ¡Me dan unas ganas de llorar! ... ¡Desde chico fuiste tan orgulloso! ... Te considerabas por encima de todos y de todo. De nada valía reprenderte. Crees haber vivido más intensamente que nadie. Pero, ¿te atreverías a negarlo?, nunca te has entregado. ¡Cuando pienso que prefieres cualquier cosa a encontrarte contigo mismo! ¿Cómo es posible que puedas soportar ese vacío?... ¿Por qué te empeñas en llenarlo de nada?

Oliverio Girondo, El lado oscuro del corazòn 

sabato 16 novembre 2013

raccordi - giorno 7



La famosa colazione preparata "appositamente" per noi è in realtà per tutti gli ospiti. Sul tavolo esterno ci ritroviamo a mangiare uova, pane e tè insieme ad un ragazzo canadese ed un'inglese, ognuno pronto ad iniziare la sua giornata di tour per i dintorni. Nathan, confermando le sue scarse capacità organizzative, si è aggregato alla nostra vacanza ormai da tre giorni ed ancora non ha deciso come fare per arrivare ad Amburgo. Continuando a procrastinare ha pensato di farsi trasportare in macchina da noi ancora per un po', in direzione nord. Carichiamo le sue pesanti valige, salutiamo e prendiamo la via del ritorno.
L'autostrada corre parallela alla bella costa croata senza che riusciamo però a vederla.
Al bivio autostradale tra Zagreb e Rijeka, all'esterno della curva di raccordo, vediamo da lontano un ragazzo con un cappello di paglia ed il dito alzato. "Fermati!" mi fai, ed io accosto rapidamente.
- Ciao. Dove devi andare?
- Voi dove andate?
- Verso l'Italia. Dobbiamo essere a Bologna in serata.
- È bella Bologna?
- Sì, una città universitaria.
- Ok. Per me va bene.
Baptiste ha 22 anni, i capelli castani, gli occhi azzurri ed un'espressione felice e spensierata. Finito il primo anno di filosofia, a luglio è partito dalla Normandia deciso a viaggiare unicamente in autostop. Sui sedili altrui, ospitato in case occupate, equipaggiato con zaino e sacco a pelo, ha attraversato la Germania, l'Austria, i Balcani, fino ad arrivare in Turchia. Ora sta tornando verso l'Italia dove ha un appuntamento tra una settimana con un suo amico. Dove non si sa. Gli accordi sono che il primo che entra in Italia avvisa l'altro.

Attraversata la frontiera chiamo a casa per avvisare che avremo ospiti. Prima di mezzanotte siamo tutti seduti, collezione improbabile di umanità di origini ed età diverse: Svezia, Francia, Stati Uniti, Polonia, Bulgaria, Italia. Tutti riuniti per una notte, tutti sconosciuti.

mostar - giorno 6



L'ingresso a Mostar mi ricorda quello ad un paesotto campano nel secondo dopoguerra. Uomini vestiti coi loro stracci migliori sono appostati agli incroci strategici pronti a fiondarsi sulle macchine dalla targa straniera per offrirsi come guide, procacciatori di alloggi, di cibo, di curiosità. Ci divincoliamo dal nostro nuovo grande amico e circumnavighiamo la città vecchia. Attraversiamo il fiume, a sud del ponte vecchio, e ci infiliamo in una piccola via che punta verso la collina. Qui troviamo una signora che affitta una camera da otto persone. Fortunatamente ha ancora posto per noi tre.
Quando entriamo ci dice che è contenta che siamo italiani, che gli italiani sono stati i primi a mandare loro aiuti e cibo dopo la guerra civile. È per questo, continua, che ha imparato un po' della nostra lingua e, per dimostrarci la sua gratitudine ci porta in camera delle bibite fresche e, ci assicura, la mattina successiva ci preparerà appositamente la colazione. Commossi e un po' intimoriti da questo improvviso ed opportunistico senso patrio, ci gettiamo sui soffici letti della stanza seminterrata.
Lo Stari Most di Mostar è un bel ponte a schiena d'asino che congiunge le due parti della città separate dalla profonda faglia del fiume Narenta. Ricostruito da pochi anni con il contributo dell'Unesco, ora ospita ragazzini minorenni che si lanciano dalla sommità nelle fredde acque del fiume (un volo di oltre 24 metri) per pochi spicci offerti dai turisti che si affrettano a stringere loro le mani e ad immortalarli in questi suicidi controllati.
Tu non hai ancora perso le speranze di tuffarti nonostante quello che ti hanno raccontato in camera. Per lanciarsi, infatti, bisogna fare un corso (a pagamento) di una giornata provando vari tuffi da altezze inferiori (10 metri) per fare pratica. Precauzioni molto severe, a quanto pare, ma a volte neppure questo è sufficiente. La settimana scorsa due ragazzi australiani sono stati portati al pronto soccorso con lesioni alla schiena e alle gambe per aver effettuato un ingresso in acqua non preciso. Per non parlare del polacco.
- Che è successo al polacco?
- L'anno scorso un ragazzo polacco voleva tuffarsi ma non aveva intenzione di pagare il corso. Ha aspettato che passasse il tramonto, quando c'era meno gente, e si è tuffato. L'hanno recuperato 4 giorni dopo diversi chilometri più a valle.

Il paese gravita attorno alla bellezza ardita del ponte, acceso dalla luce del tramonto, e circondato da negozietti e bar assolutamente turistici dove non vi sono problemi a pagare in euro. Nathan si aggira in cerca di una maglia souvenir (perchè le altre sono tutte sporche) e se ne esce con una che, al posto della scritta Coca-Cola, riporta Ćevapčići.

venerdì 15 novembre 2013

konjic - giorno 6



Dopo aver accompagnato Jenny in aeroporto (e dopo aver perso le chiavi della macchina, aver messo a soqquadro l'ostello, gli zaini, averle chiamato un taxi, aver dimenticato di ritirare i soldi per pagare il parcheggio) ci dirigiamo verso un paesino dove la signora inglese dell'ostello ci ha convinto a fermarci. A metà strada tra Sarajevo e Mostar, Konjic ospita il colossale bunker di Tito. Terminato alla fine degli anni '70 dopo quasi trent'anni di lavori, è costituito da oltre 600 mq di gallerie scavate 300 m in profondità nella montagna e poteva ospitare 350 persone per diversi mesi. Il costo esorbitante dell'opera, oltre 5 bilioni di dollari, doveva garantire la sopravvivenza del dittatore e della classe dirigente contro esplosioni ben più potenti rispetto a quella di Hiroshima.
Arrivati in paese decidiamo di concederci una colazione come si deve, divorati dai succhi gastrici attivati dall'alcol della sera prima. Lungo il fiume troviamo un bar al primo piano di un brutto edificio da periferia dove sono riuniti dozzine di giovani che, a giudicare dalle pagelle lasciate sui tavoli, stanno frequentando i corsi di recupero. Da bravi stranieri ordiniamo come seconda colazione pizza e tè. Di fianco a noi sta il ponte di Konjic, vecchia opera a dorso d'asino in pietra, completamente restaurato. Sull'altra sponda si intravede svettare qualche minareto, sebbene man mano che ci avviciniamo a Lourdes questi si facciano sempre meno presenti.
Terminato il nostro brunch ci rechiamo all'ufficio turistico per comprare il biglietto del bus che ci porterà all'Atomska Ratna Komanda (ARK), il famoso bunker. Peccato che l'unico bus della settimana sia partito venti minuti fa e noi, che pregustavamo la visita già da questa mattina, rimaniamo come degli allocchi a fissare la ragazza che ci dice che non possiamo raggiungerlo neppure in auto, in quanto il luogo è segreto. Allibiti per l'idiozia del nostro brunch, riprendiamo la macchina e puntiamo verso Mostar.

Le colline si fan montagne boscose e si aprono per lasciare spazio al lago di Jablaničko, sorta di gigantesca alga d'acqua che penetra negli anfratti e nelle gole della terra. Un ponte strallato ne congiunge i lembi mentre al largo, inspiegabile come una visione, una zattera con una copertura simile ad un tetto, vaga verso l'orizzonte confermandoci che forse, questi luoghi, hanno qualche forma di remota parentela con l'Estremo Oriente.

martedì 12 novembre 2013

momentaneamente



Ci si ritrova bloccati in questa dicotomia, "Dovrei far qualcosa di meglio ma non posso perché non riesco a trovare un altro lavoro". Così dici a te stesso: "Mi trovo qui solo momentaneamente perché troverò qualcosa di meglio.

Naomi Klein, No Logo

lunedì 11 novembre 2013

sarajevsko - giorno 5



Un po' di cultura, ogni tanto. Trascino tutti quanti a vedere una mostra che ci ha consigliato la signora inglese che sta nella nostra camera. Infilata la porta a lato della cattedrale, percorso un corridoio dipinto di nero, poi un altro, preso un ascensore, ci ritroviamo nella sala che celebra il massacro di Srebrenica. Una mostra fotografica con scatti dell'epoca ed alcuni del periodo del recupero dei corpi e, in fondo alla sala, alcuni video.
Una foto commovente, una mano di donna guantato di bianco che sorregge e sostiene una mano che emerge dal terreno, ci colpisce tutti e finisce furtivamente sulla pellicola di Nathan. Mi siedo su una delle lunghe panche in legno, a fianco di una ragazza vestita come nelle nostre campagne tanti anni fa, il velo a fasciarle il viso. Davanti a noi due ragazze vestite in nero, anche loro con il velo, non scollano gli occhi dallo schermo. Ci uniamo a loro, fagocitando i sottotitoli.
A metà degli anni '90 migliaia di mussulmani, rifugiati nella città che era allora sotto la protezione delle Nazioni Unite, vennero uccisi dalle truppe serbo-bosniache al comando del generale Mladić. Il più grande genocidio europeo dopo la seconda guerra mondiale. Sullo schermo le donne parlano dei figli strappati alle loro braccia, dei mariti catturati, di parenti separati e mai più tornati indietro.
Toccati profondamente dalla mostra, scambiamo le nostre impressioni mentre facciamo ritorno al quartiere ottomano. Ci domandiamo quale sia il senso di venire in questi luoghi a ricercare, con gusto feticista, i fori dei proiettili, gli edifici sventrati, i segni di una guerra che ha devastato una nazione, un popolo, e che per noi è oggi solamente un racconto, fonte di turismo alternativo. La ricerca voyerista del dramma altrui, guardare dentro al calderone della guerra ma solo una volta che questa è finita. Noi, generazione che la guerra non l'ha vissuta, intrappolati nel fascino amaro che essa porta con sè. Come rendere giustizia a questo magnifico paese e non sciacallarne semplicemente la memoria e l'economia terzomondista? Come fare di ciò che abbiamo visto una ricchezza per tutti invece che un argomento da bar?
Forse proprio così. Ricordandolo. Scrivendone. Sentendolo.

Nella mia discesa trai cimiteri verso il centro avevo incontrato una stradina con un paio di bar che facevano al caso nostro. Ed è così che ci ritroviamo a passare la serata ai margini della città vecchia, seduti al nostro tavolino a tracannare birra Sarajevsko, rakia e altri alcolici locali. Jenny domattina partirà con l'aereo alla volta di Istanbul ed ha deciso di dare il meglio di sè, cantando terribilmente, imitando Ray Charles, imitando il nostro pessimo accento ed azzerando il nostro orgoglio.
Il ritorno all'ostello è un addio lento e trascinato, ricco di stanchezza e leggerezza. 

giovedì 7 novembre 2013

al calar del sole - giorno 5



Sarajevo ha cimiteri candidi sdraiati sulle pendici dei colli. Un prato di lapidi bianche, un bosco di bambù di pietra, una mandria di steli massicce si alzano verso il cielo, le scritte a guardare la città. Ed il tramonto è il loro momento.

martedì 5 novembre 2013

perdersi - giorno 5



Perdersi. Perdersi e seguire i sensi. Non già per ritrovare la strada, per tornare là dove sappiamo dove ci troviamo, ma per continuare a perdersi con maggior intensità, con maggior trasporto, dentro al meraviglioso sconosciuto. Assaporare il nascere dell'inaspettato, la gioia della scoperta senza preavvisi, la sorpresa dei lati nascosti della realtà. Riempirsi le narici di nuovi profumi, tracciarne gli aromi, denudare la piccola magnificenza delle periferie, le opere del tempo, artigiano instancabile, sulla natura, sugli uomini, sulle loro case, sui loro sogni. Osservare il quotidiano altrui, renderlo scena del nostro personale teatro, tramutarlo in romanzo universale, scoprire attraverso i suoi occhi l'essenza delle cose, il barlume di un senso e di una speranza.
Riempirsi. Gonfiarsi come una spugna assorbendo l'atmosfera, sorridendo il paesaggio, gli occhi straripanti del tutto che ci circonda. Le orecchie sorde a furia di ascoltare senza gerarchie. La mente finalmente placata, tornando a collocare la nostra esistenza al suo posto, microscopica sedia nel banchetto universale.

E allora la periferia collinare, il passato che riemerge in moschee di legno quasi fossero baite, villini di crema misti di oriente e occidente, le alte torri di vetro, le rose dei proiettili che solcano i marciapiedi, gli intonaci, i ricordi. Il fiume e la povera esistenza di chi sopravvive a lato dei benestanti, qualche passo più in là. I cimiteri islamici che si rosolano sulle pendici guardando in faccia il sole morente, il baluardo nordest come osservatorio al tramonto. Tutto è conforto inaspettato e profondo.