mercoledì 30 maggio 2012

costellazioni urbane


Seduto chino al lato della pista ciclabile, nel tardo pomeriggio della prima periferia, ha un paio di birre da pochi centesimi a fianco, alcune aperte, altre ancora da inaugurare. Fissa l'asfalto rosso davanti a sè e veste di grammatica balcanica i propri pensieri.
Poco più in là una signora corpulenta, di un biondo ucraino, abbraccia lo schienale della panchina mentre parla al telefono, cercando un contatto fisico che non c'è.
In piedi sul paraurti anteriore del suo camper, un uomo sulla cinquantina tenta di ripararne il finestrino superiore. Incrostato di sporco sotto la sua canotta lurida, capitano di un vascello di lerciume, so cosa spera ora che il sole tramonta.
Lo vedo nell'ansa dello stradellino, seduto su di un muretto in cemento armato, leggermente nascosto nel verde. Pacchi di Tavernello a fianco, solita posizione rassegnata in avanti, volto rubicondo prima che cali la notte.
E nella parte più profonda del parco è ancora lì, ancora una volta lui, ancora una volta con un volto e un'etnia diversa. E una bottiglia in mano.

Le città sono costellazioni di solitudini.

martedì 29 maggio 2012

con.turbante


Indossa un turbante chiaro, avvolto diverse volte sulla testa, attorno alle tempie. Un vestito di lino leggero, dalle tinte pastello, con maniche e gambe abbondanti. Alza le braccia ed avvicina le mani. Con una afferra il pollice dell'altra e poi chiude la presa in alto, all'altezza degli occhi. Le persone che le stanno di fronte fanno lo stesso senza un'obiezione, portando le mani nella stessa posizione. Non riesco a sentire cosa dica ma ad un certo punto comincia una litania, un lamento che si innalza da lei per diventare poi collettivo.
Sedute a gambe incrociate stanno una ventina di persone, forse più. C'è chi ci si è ritrovato per caso ed ora medita in jeans e camicia. Chi si siede sul suo zaino e a fianco ha le sue Nike ultimo modello. C'è qualche seguace dello stile orientale, con camicia di lino dal collo alla coreana e turbante, perfettamente a suo agio in quella posizione. Steso dietro alla maestra di yoga si trova un ragazzo. Capelli lisci, castono chiari, lunghi fino alle spalle; barba incolta ma non tropo lunga. Una sorta di Kurt Cobain nostrano. Giace su un lato e con una mano accarezza i capelli rossicci di una bambina che dorme appoggiata su un cuscino. Intorno al gazebo poi, nella luce avvampata che precede il tramonto, c'è una degna rappresentanza di quello che una volta era il popolo yippie: genitori giovani con bambini sulla decina che giocano nel parco. Indossano vestiti di lino ricchi di colori, spesso con fiori o motivi naturali. Collane, piercing, tatuaggi, orecchini. Rasta o comunque dai capelli lunghi. Si fanno massaggi a vicenda, parlano a bassa voce ed hanno l'aria rilassata di chi si riconosce a casa.
E poi ci sono i santoni. Quelli tutti vestiti in arancione, con una fascia scura a cingere i fianchi ed un turbante chiaro in testa. Ce n'è perfino uno che, col suo laptop 10 pollici, sta aggiornando il suo profilo facebook. Altri sono un po' più lontani, rifugiati nelle loro bancarelle.
Noi ci sdraiamo su un grande divano sospeso coi cuscini dai motivi chiaramente cinesi ed aspettiamo che il tramonto faccia il suo dovere.

domenica 27 maggio 2012

triage


Ricordi? Era ottobre ed ero appena andato a fare la mia prima partita di calcetto da quando ero arrivato in città. Ero contentissimo di poter tornare a giocare. Tempo cinque minuti e già mi ero fatto male. Ma poco importava. Stavo bene e volevo giocare tutta la partita. Dopo la doccia, invece che andare a farmi visitare, vi avevo raggiunto al Collegio degli Architetti dove c'era una conferenza di cui non ci importava nulla. C'era anche Juan Luis, questo lo ricordo, che dall'alto della sua ignoranza in materia aveva pensato bene di aspettare fuori che iniziassero a portare l'aperitivo. Ed effettivamente l'aperitivo era arrivato, degna consolazione delle pene della conferenza. Vassoi che continuavano a passare tra di noi carichi di bicchieri di birra e vino, e poi spiedini, tapas, pesce fritto.
Solo quando avevano smesso di arrivare le portate, verso mezzanotte, ti avevo raccontato della partita e del piede. Avevamo deciso di andare insieme al pronto soccorso, camminando nella notte verso le pendici dell'Albaycin. All'accettazione ci avevano detto che avremmo dovuto aspettare tanto. Allora, visto che l'aperitivo non ci era bastato, avevamo deciso di andare a mangiarci un kebab, poco distante. Tornati su Avenida Madrid avevamo girato per la Plaza de Toros e poi, poco oltre, ci eravamo fermati al bar. Avevamo chiacchierato, come se passare la serata in attesa al pronto soccorso fosse un piano niente male. Ricordo le pareti, rivestite di ceramiche bianche e azzurre fin sopra l'altezza delle sedie. Il locale, sporco, con la tv accesa su di un programma qualsiasi.
Avevamo finito il nostro kebab ed eravamo tornati ad attendere in ospedale, senza renderci conto che ero già stato chiamato. Un'ora dopo finalmente me ne uscivo con il piede fasciato ed una contentezza ebete sul volto.
La notte era nostra, la città pure.

E stanotte, guardando questo mio amico sdraiato sul letto d'ospedale, mi torna in mente tutto quanto.
Mi torna in mente la libertà di vivere che avevamo allora e l'entusiasmo di sapere che il tempo fosse dalla nostra parte.

domenica 13 maggio 2012

verde


Le rotonde pietre del Pratello mi massaggiano i piedi mentre porto a spasso la mia bici, quasi fosse un animale domestico a passeggio nella notte.
"Sì il lavoro va abbastanza bene, ma ho capito una cosa" mi dice da sotto il suo casco di capelli sfilati e crespi.
Lisci. Sono lisci i portici che ci conducono verso via delle Lame. Ed i nostri passi scorrono felpati nella notte.
" Ho capito finalmente cosa cerco, cosa vale la pena"
La città rossa. La città sociale. La città facile da vivere, gioiosa. La grassa, la rossa e la dotta. La città della musica, del cinema in piazza, delle rassegne alle fermate degli autobus. Dei quartieri popolari più dignitosi di quelli borghesi. Dei parchi, della multietnicità. Dei colli e delle vespe.
La città che tenta di mettere al centro l'arte, nelle sue varie e squilibrate forme. Che si oppone al sistema fomentando una vita di strada, da carta di credito altrui, di furto tacitamente legalizzato. La città della droga segretamente libera, dei litri di alcool, degli schiamazzi notturni. Il centro senza centro, la chiesa del popolo mozzata dalla chiesa.
E le sue letture alternative, indipendenti, sovversive, rivoluzionare, bonarie. Anticapitaliste.
"Ho capito che voglio fare i soldi nella vita. Fare tanti soldi e godermela"

Mentre la bici scivola verso la piana, verso i quartieri bassi, rimango con questa frase appesa al mio cervello, nella brezza della notte.

venerdì 4 maggio 2012

tre volte all'alba


Si ricomincia da capo per cambiare tavolo, disse. Si ha sempre questa idea di essere capitati nella partita sbagliata, e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a fare se solo ci sedevamo a un altro tavolo da gioco.

Alessandro Baricco