domenica 28 giugno 2009

solco


Forse è l’aria, che questa notte soffia leggera e fresca a portare sollievo alla pelle, sotto le maglie.
Forse i grilli, che sento festeggiare in coro nei campi della periferia.
Forse l’ebbrezza mentale, e non ancora fisica, di sentire sempre più mia questa frangia di mondo, di sapere che qualcuno mi aspetta nel centro di questa città.
Forse è il tempo, che passando muto attraverso delusioni e lotte silenti, si traccia un solco dietro. Un’incisione che sancisce la differenza tra il parassita del mondo e il suo cittadino.
Forse sono io. Qualunque sia la ragione stasera mi sento non più turista, ma abitante.

sabato 20 giugno 2009

guadalquivir


Attraversata la città nella notte, avvolto da un mantello d’aria calda, arrivo sull’argine del fiume.
Come in ogni città il fiume è un mondo, un posto appartato dal resto della civiltà. Non importa il numero di persone presenti e non importa il nome dell’acqua. L’argine è la soglia di un piccolo spazio ritagliato nella confusione cittadina. Ed è di notte che questo microcosmo mostra il fascino della sua esistenza. Ritagliato dalle sagome delle palme, delimitato dalla linea retta della banchina, il fiume non scorre attraverso la città, vi respira dentro. Quello che di giorno è una lingua invalicabile, di notte è un liquido misterioso cosparso di luci e riflessi. La Torre dell’Oro ci si specchia sopra mentre i lampioni di Triana rigano di pailettes la sua superficie.
E da animali quali siamo non riusciamo a sottrarci all’incanto delle luci nella notte, del corpo dell’acqua, del pericolo del mistero.

venerdì 19 giugno 2009

granada - il ritorno


Lo spazio scorre accorciandosi davanti a me, come un conto alla rovescia dove i minuti han lasciato il posto ai chilometri. È un rincontro da film, un’attesa in movimento.
I cartelli passano di fianco al finestrino del bus sancendo l’ennesimo chilometro. Quaranta.

Scendo dal bus e, ancora una volta, mi pervade la sensazione di essere tornato a casa. La sensazione di avere qualcuno da andare a trovare, da salutare. Eppure questo qualcuno non ha voce per rispondere. Sono vie e strade, sono locali ed edifici. L’Alhambra in lontananza, splendida nella notte. Camino de Ronda e i suoi negozi chiusi. L’appartamento, centro di un piccolo microcosmo che non può scomparire, ma che ha lasciato le sue tracce un po’ ovunque. La riva del Genil. L’Albaicìn, il Realejo. Cuesta del Pescado.
Esattamente come il rincontro col primo amore, così ogni gesto è silenzioso e lento, un rituale di rincontro e di addio.

domenica 7 giugno 2009

asfalto bagnato


Apro gli occhi ed il mondo torna a esistere. Un intreccio di rampicanti ha sostituito il cielo macchiando di vegetazione il mio risveglio. Il corpo intirizzito dalle doghe e dal pranzo si scuote, battezzando definitivamente gli aliti gelidi come preludio di tempesta.
Comincio a camminare, cercando così di scaldarmi, ma è tardi. L’acqua arriva silenziosa e spazza via in un secondo la calura estiva, l’afa nascosta nelle ombre, i pranzi al riparo dal sole.
La città diventa momentaneamente muta e si ferma, come in attesa di sapere se dovrà vestire le parti della malinconica o tornare radiosa. Ed è lì, mentre attraverso una stradina deserta tra grandi edifici desolati, che un profumo urbano e familiare sale da terra, traspirando dalle rughe della crosta: è l’odore dell’asfalto bagnato. Continuo a vagare incurante della pioggia ma qualcosa comincia a muoversi dentro di me, a cercare di risorgere dalle ceneri del passato. E poi mi investe, con tutta la carica della memoria.

E mi ricordo.
Mi ricordo di noi, sotto una pensilina fiorentina.
Noi, che cercavamo riparo da un acquazzone estivo che aveva sciolto i nostri vestiti.
Di un bambino che aveva paura dei lampi, protetto dal suo impermeabilino giallo.
Della scimmia di casa, arrampicata su un traliccio, che cercava di impressionare il mondo con una morte eroicamente stupida.

Mi ricordo di cose che allora non avevano significato e mi sembravano la noiosa normalità della mia momentanea felicità. Il suono della pioggia sull’asfalto, che sciacquava via le nostre parole dalle orecchie del mondo. Quei momenti morti che avevano nel loro essere il senso d’esistere. E quel profumo, estivo e cittadino, di un asfalto rovente che trova sollievo in una pioggia passeggera.
Già. Proprio così. Un asfalto rovente, in attesa di una pioggia passeggera.