martedì 16 febbraio 2010

vetro a piombo

Corri corri corri corri. Riempi la tua clessidra, girala, non lasciare che un solo granello riposi per troppo tempo.

Lavora. Lavora fino a essere stanco. Non stanco fisicamente, spossato dall’attività, sfinito dal fare. No. Lavora tanto da essere stanco del lavoro. Tanto da poterti lamentare di non avere tempo. Tanto da vestire la parte della vittima sociale.

Iscriviti a un corso, scegli uno sport, stabilisci giorni nei quali fare cose. Crea una routine che ti permetta di essere sempre di corsa, di avere poco spazio per il silenzio, per la pausa, per te.

Perché quando succede che resti solo, che la sera è vuota e la casa silenziosa. Quando le tue dita non sanno che parole digitare sullo schermo, quando la sensazione di adrenalina da affanno, da rincorsa finisce, .. beh, allora non resti che tu.

Allora ti guardi intorno, sposti l’occhio dalle vetrate che ti ritraggono calciatore, architetto, animale socievole, viaggiatore, cavaliere. Ti allontani e vedi la cornice della tua opera, vedi i grandi muri pesanti e spessi.

E scopri di aver decorato magnificamente le vetrate della tua prigione.

night on earth


La tapparella a mezz’asta lascia penetrare il baluginare di un cielo color varechina nella stanza spoglia. La lampada Ikea, come l’occhio di bue di un teatro da 4 soldi, rischiara di riflesso i pochi oggetti assopiti. Li guardo al di sopra dello schermo del portatile appoggiato sulle mie gambe. Una parete di oggetti impiccati a chiodi piantati casualmente, un ombrello, delle cuffie, cavi, uno zaino, dei fogli. Una mensola d’angolo con qualche libro, un tavolaccio alto e dipinto. Una poltrona bassa nascosta dalla giacca e dall’accappatoio che pendono dalla parete. Qualche vestito gettato sul letto. Il mobile alto e traballante senza cassetti.

Seduto su un grande e vecchio materasso sorrido mentre le dita sulla tastiera mi fan dimenticare la nuova abitazione. Svanisce, nella magia delle luci teatrali, e nei miei occhi attraverso le parole che compaiono sullo schermo si riavvicina la Spagna, ricompare la Francia, l’Italia si raduna in un momento.

Nella stanchezza di una notte bolognese, mentre intorno i profili delle case sono bui e sognanti, una bolla di entusiasmo continua a connettersi col mondo.

sabato 6 febbraio 2010

elogio dell'ozio - R.L. Stevenson


Il cosiddetto ozio – che non è affatto il non fare nulla, ma piuttosto il fare una quantità di cose non riconosciute dai dogmatici regolamenti della classe dominante – ha lo stesso diritto dell’operosità di sostenere la propria posizione.

L’attività frenetica, a scuola o in università, in chiesa o al mercato, è sintomo di scarsa voglia di vivere. La capacità di stare in ozio implica una disponibilità e un desiderio universale, e un forte senso d’identità personale.

divieto di affissione


Sopra il cielo è scomparso, sostituito da una massa incolore di nuvole. Mentre misuro coi passi il tempo della pausa pranzo, penso ai vari oggetti che mi serviranno per rendere confortevole la mia nuova camera, per trasformare quel guscio di muri in qualcosa che mi faccia sentire a casa. Ed è lì, mentre ripasso mentalmente quel che mi serve, che il pensiero devia su un binario laterale portandomi via con sé.

Ecco qual è il vantaggio della nomadìa, dell’attitudine a migrare. Ecco perché fatichiamo così tanto a mettere radici profonde nei vari ripari che chiamiamo casa.

Sapere di poter prendere la nostra vita e spostarla, alzarla dalle fondamenta e trasferirla altrove, ci permette un inconscio pensiero, un sorriso quando fuori c’è la tempesta. Sì, perché quello che sta sotto la lingua dei nostri pensieri inespressi è proprio questa ultima speranza di poter avere un’alternativa se la nostra vita non ci piace. Quando il lavoro non ci soddisfa, l’umanità ci annoia, il clima ci abbatte. Quando tutto sembra cospirare per la nostra infelicità sappiamo che ci basta respirare una scintilla di bellezza inaspettata per avere il coraggio di andarcene, fare le valigie e ricominciare tutto, ancora una volta.

martedì 2 febbraio 2010

il taglio del nastro


Fuori il cielo è slavato; quel colore che ha la notte quando la neve fagocita il buio. Il silenzio ovattato della periferia penetra attraverso la grande finestra. La stanza è un ammasso indistinto di vestiario, libri, zaini, buste. Guardo le pareti, sfregiate da anni di abuso selvaggio, l'armadio scardinato e le mensole a terra. Il tecnigrafo dipinto. Il letto con le ante di un qualche mobile per rete.

Tolgo il maglione per cominciare a sistemare nei cassetti la mia vita, pulire e dare un ordine ad un nuovo inizio. E' proprio allora che lo sento cedere. Guardo le mani sorpreso ed impigliato ci trovo il braccialetto.

Ne sono sempre più sicuro. Ci sono momenti, passaggi di vita, che hanno bisogno di riti propiziatori. Come una volta si tracciava il campo prima di costruire, si chiedeva ai vecchi, ai saggi, di inaugurare le nuove case, così ora una rottura fortuita sancisce la rottura col passato, e l'inizio di un nuovo presente.