venerdì 30 maggio 2008

cervelli sott'olio


Ok. Svegliarsi con il cervello in salamoia per i bagordi del giorno prima è una situazione abbastanza conosciuta ormai.
Ma svegliarsi con il cerchio alla testa, gli occhi gonfi e roventi, lo stomaco in pappa la mattina prima della festa, ancora sinceramente non mi era mai successo.

lunedì 26 maggio 2008

risciacquare i pensieri in arno



La corrente ci porta silenziosa a scoprire il mondo misterioso della città vista da un’altra prospettiva, quella di chi il fiume lo vive e lo naviga. Ponte vecchio, con le sue gigantesche volte puntellate. Le magnifiche teste di capra in marmo appese al ponte dell’Ammannati. I fronti della speculazione postbellica.
Ma non è questo a lasciare incantati.
È un sentimento più antico del Ponte vecchio, più remoto del concetto del ponte e dell’argine.
È una memoria ancestrale ed atavica scritta nel sangue.
È il richiamo dell’acqua.
È la sensazione di stare immersi in questo immenso corpo liquido, che sembra avere una sua volontà, seppur sopita nei riflessi della notte. La straordinaria presenza dell’acqua, a dieci centimetri da me, al mio lato, intorno e sotto. E io ci sono dentro. Non sopra. Dentro.

sabato 24 maggio 2008

postal desde lyon


Como no estabas con nosotros en Lyon, sacamos una postal para ti.
Y aqui ahora la tienes..
Pasalo bien JL!

mi sento solo - gianmaria testa


Mi sento solo
Solo come quei balconi
Con le tapparelle abbassate
Abbandonati
Dove la pioggia cade
La sabbia si posa
Si posa la polvere
E che se avessero voce li sentiresti invocare gli uccelli
Se avessero mani li vedresti disegnarsi gerani e azalee

Aspetto come loro
Qualcuno che mi riapra

Pavimento da calpestare
Veicolo di luce
Altro non so immaginare

domenica 18 maggio 2008

i giorni limbo


La luce entra fioca dall’alta finestra della cucina. Assaporo con avidità le patate fritte di Rocio, e le sue tostate. Il mio stomaco in preda alla fame chimica la ringrazia. Eve ci guarda mentre il sonno le vela gli occhi e le orecchie. Martin e le sue occhiaie leggendarie mi fanno compagnia in questo banchetto mattutino.

Mentre spalmo del pomodoro sul pane ripenso alla festa iniziata la sera prima. Al coniglio in gabbia, alla stanza spettacolare del Done. Al suo schermo da mille pollici, al suo patio, ai lituani. A quando siamo andati al Kitsh, al rum e pera, al telefono, alla pioggia che continuava a cadermi sulle braccia. Una chiamata che era meglio se non arrivava, la bicicletta senza freni all’1 di notte. La città che mi scorre di fianco, Beccaria, Poste, Duomo, S. Marco, Indipendenza, Fortezza. Cazzo, ho sbagliato strada. Porta al Prato, Stazione Leopolda. Torno con la mente al dopo concerto, al tavolo dove Eve raccontava un gioco, mentre un greco, due francesi, un’inglese, due spagnole e un tedesco provavano a risolverlo. Alle risate contagiose del ballerino hip hop, alle foto sullo schermo. Alle patate, al cous cous, al budino fluorescente. La strada del ritorno, in salita, contromano. Il divano, il computer, e la voce romagnola della 500 di cars che mi faceva morire dal ridere. Al casino che sempre accompagna Martin e Rocio, a quando entrano. Rivedo quando mi chiede se ho fame e inutilmente cerco di negare, recitando pessimamente.

Mentre sto per uscire con la bici il cielo decide nuovamente di scaricarsi sulla terra, lavando le strade. L’orologio segna le 8 del mattino. Mi addormento, mentre Rocio mi racconta i detti più volgari del sud della Spagna e Martin si intrippa con il suo computer. Alle 13 il cielo si è calmato. Mi vesto e sono in strada.
Puntualmente, come la sveglia, l’acqua torna a cadere e accompagna il mio ritorno a casa.

munich team


sabato 17 maggio 2008

vetri rotti


Probabilmente aveva ragione. L’amore è un affare di economia.
Si decide per un tornaconto personale. Non necessariamente monetario, magari morale. Anche il volontariato, l’altruismo, la carità, in fondo sono finalizzate a sentirsi meglio, ad un soddisfacimento personale. Stare insieme a qualcuno è una questione economica, diceva Tonni. Non in maniera così esplicitamente cosciente magari, ma fondamentalmente nasce dai vantaggi che abbiamo a non stare da soli.
E probabilmente avevi ragione. In fin dei conti è un’applicazione della teoria prestazionale.
Tante volte le persone che entrano prepotentemente nelle nostre top 10 hanno caratteristiche comuni, quasi persone che ritornano, con altri volti e altri nomi. Chi ci conosce avrebbe potuto scommettere che avrebbero fatto breccia nel nostro mondo.
E quando le vedi tornare, dopo anni magari, con altri accenti, il senso di dejà vu ti lascia un po’ tramortito, come un avvertimento. Come camminare sulle stesse orme e non poterne cambiare la traiettoria.

venerdì 16 maggio 2008

ultimo amore - capossela


Fresca era l'aria di giugno
e la notte sentiva l'estate arrivar
Tequila, Mariachi e Sangria
la fiesta invitava a bere e a ballar
lui curvo e curioso taceva
una storia d'amore cercava
guardava le donne degli altri
parlare e danzare

e quando la notte è ormai morta
gli uccelli sono soliti il giorno annunciar
le coppie abbracciate son prime
a lasciare la fiesta per andarsi ad amar
la pista ormai vuota restava
lui stanco e sudato aspettava
lei per scherzo girò la sua gonna
e si mise a danzar


lei aveva occhi tristi e beveva
volteggiava e rideva ma pareva soffrir
lui parlava stringeva ballava
guardava quegli occhi e provava a capire
disse son zoppo per amore
la donna mia m'ha spezzato il cuore
lei disse il cuore del mio amore
non batterà mai più

e dopo al profumo dei fossi
a lui parve in quegli occhi potere veder
lo stesso dolore che spezza le vene
che lascia sfiniti la sera

la luna altre stelle pregava
che l'alba imperiosa cacciava
lei raccolse la gonna spaziosa
e ormai persa ogni cosa
presto lo seguì


piangendo urlando e godendo
quella notte lei con lui si unì
spingendo, temendo e abbracciando quella notte
lui con lei capì
che non era avvizzito il suo cuore
e già dolce suonava il suo nome
sciolse il suo voto d'amore
e a lei si donò

poi d'estate bevendo e scherzando
una nuova stagione a lui parve venir
lui parlava inventava giocava
lei a volte ascoltava e si pareva divertir
ma giunta che era la sera
girata nel letto piangeva
pregava potere dal suo amore
riuscire a ritornare

un giorno al profumo dei fossi
lui invano aspettò di vederla arrivar
scendeva ormai il buio e trovava
soltanto la rabbia e il silenzio di sera
la luna altre stelle pregava
che l'alba imperiosa cacciava
restava l'angoscia soltanto
e il feroce rimpianto
per non vederla ritornar

il treno è un lampo infuocato
se si guarda impazziti il convoglio venir
un momento, un pensiero affannato
e la vita è rapita senza altro soffrir
la poteron riconoscere soltanto
dagli anelli bagnati dal suo pianto
il pianto di quell'ultimo suo amore
dovuto abbandonar

lui non disse una sola parola
no, non dalla sua gola un sospiro fuggì
i gendarmi son bruschi nei modi
se da questi episodi non han da ricavar
così resto solo a ricordare
il liquore pareva mai finire
e dentro quel vetro rivide
una notte d'amor

quando dopo al profumo dei fossi
a lui parve in quegli occhi potere veder
lo stesso dolore che spezza le vene
che lascia sfiniti la sera
la luna altre stelle pregava
che l'alba imperiosa cacciava
a lui restò solo il rancore
per quel breve suo amore
che mai dimenticò


martedì 13 maggio 2008

spirito DiVino

I pomodori gratinati arrivano in tavola, incuranti del nubifragio. A guardarli ci sono 4 italiani e 2 catalani. Uno di loro ha una fame che non ci vede più (!). Xavi non ne ha molta, e sembra masticare solo catalano. Non c’è verso di fargli sputare neppure una parola in castigliano (come d’altra parte non riusciremo a fargli mangiare le cipolle gratinate). Eppure questa è la nostra prima cena e, di fatto, anche l’Ultima. Forse sarà per questo. Forse è merito del vino e del suo Spirito, ma improvvisamente ogni parola che esce dalla sua bocca, ogni frase di quell’idioma ignoto, diventa comprensibile. Senza rendercene conto ci addentriamo in discussioni bilingui, in una follia del pensiero che elimina le incomprensioni.
La luce delle imposte non segna già più il tempo, e ce ne andiamo a letto.


Ci sediamo spalle alla strada, a guardare gli alberi e il nulla. Cosa pensi di fare? Non so. Tornerò a casa, prima o poi, ma non ora. Già. Ci rivedremo qui? Forse vengo a trovarti. Forse verrò prima io. Grazie della collana. È stato un piacere.
L’autobus del ritorno corre trai filari di alberi. Mi addormento pensando che anche questa volta ho perso un appuntamento alla stazione. Con la Estaciòn del Norte proprio non ci prendo mai...

C’è chi guarda fuori. E pensa a quello che ha lasciato. Quello che troverà una volta ridiscesa quella scala. C’è chi guarda fuori e non pensa. Guarda quel grande e strano uccello di ferro e si meraviglia.
Sotto, sembra che qualcuno abbia appoggiato un gigantesco tappeto di lana soffice su uno sottile strato di acetato trasparente. Solo che l’acetato sta a qualche centinaio di metri sopra le teste dei barcellonesi.

domenica 11 maggio 2008

gotham city


Dormo, mentre sotto di noi passano i chilometri di coste. Uscito dall’aereo salgo sull’autobus, mi siedo e mi addormento. L’avvicinamento alla città si fa sempre più sfumato, nascosto nelle nebbie del sonno. Le voci intorno a me parlano portoghese, inglese, catalano, italiano. Nel silenzio della landa catalana, nascosta dalla notte, trasportata dal nastro dell’autopista, la nostra truppa di mercenari corre dritta verso la città. Siamo un’attacco, una minaccia silente che arriva ad invadere i marciapiedi della metropoli, a rubarle la luce e ad accenderne i neon.
Il taxi è l’ultimo ambasciatore che mi lascia all’angolo tra Diagonal e Roger de Flor.


Probabilmente ho sbagliato aereo. Probabilmente ho sbagliato città. Probabilmente, se guardo bene, in cielo si ritaglia qualche bat-segnale.
Dagli spiragli delle imposte chiuse intravedo i tetti rigati di pioggia ed il volume massiccio di un attico in stile vittoriano. La città si è scolorita in una scala di grigi, striando i suoi muri come nelle migliori ambientazioni di Frank Miller.
Mi sento un abitante nordico di un mondo di cellulosa. Le scarpe perennemente fradice, l’acqua fino al ginocchio, l’ombrello come estensione naturale della giacca. Mi perdo per i quartieri bassi della mia Gotham City, in cerca di qualcosa che non so cosa sia. Sono il riflesso sui vetri di bar sudici, di design, squallidi, chiusi, irlandesi. Un monsone preso in prestito o forse semplicemente smarritosi, si porta via rami, ombrelli, salute.

Il sabato pomeriggio si colora improvvisamente del proiettore di un cinema, mentre fuori il cielo continua a sciogliersi. Carol vieni, che ti offro una birra. Seduti a lato di un polveroso muro in mattoni a vista, mentre una leggera musica anglosassone ci accompagna, i nostri accenti stranieri si scambiano pezzi di vita, collane di nostalgia, bicchieri di allegria. Tra le bollicine digiune nel bicchiere mi sento, rifugiato in questo bar incastrato in Gracia, prima che inizi la notte del fine settimana. Cittadino di una città straniera, all’assalto flemmatico di una quotidianità irraggiungibile.


Puedo contaros un chiste? Una sagoma dietro di me prova ad attirare l’attenzione, come un bambino che abbia appena scoperto qualcosa di divertente. Non lo guardare, dice l’Ale.

Col portatile sulle gambe, il cavo che disegna una diagonal sulla trama del pavimento, aspetto con Gioia che questo pomeriggio si disegni solo.

martedì 6 maggio 2008

bianco spuma- cap 6


- Dio mio. È tremendo – sussurrò Brandàn.
- Quella donna era un demonio – fece Krad grattandosi la peluria che aveva in testa.
- Non credo. Solo non ebbe mai il coraggio di scegliere tra la vita che aveva e quella che desiderava. La debolezza fu la sua sola colpa.
Negli occhi della barista si poteva leggere una profonda tristezza. Come se potesse intuire quella che per anni aveva accompagnato la donna.
- Se mia moglie mi avesse ingannato così l’avrei data in pasto agli squali! – disse in un impeto il gallego sbattendo il boccale sul bancone, come suo solito.
- Se tua moglie ti avesse ingannato così neppure te ne saresti accorto. Sei sempre in giro per i mari, idiota! – sottolineò Krad con la sua solita grazia.
- Poi Bris fece la cazzata di avvicinarsi alla donna e dirle che non sarebbe dovuta essere lì, ma che era contento di rivederla, dopo tanto tempo – incalzò il capitano perché Sara continuasse.
- Ovviamente Farrel non lo poteva sopportare. Vide negli occhi di Nnersi quello che da anni era scomparso. La luce di quella gioventù che l’aveva affascinato anni prima. Prese la cassa degli strumenti e la gettò addosso ai due. “Perché cazzo hai voluto portarla qui, traditore figlio di un cane?” disse fuori di sé. “Non ti bastava che ti punissi? Vuoi proprio che vi uccida entrambi?” “Non mi ha detto proprio nulla, Farrel. È dal giorno delle nozze che io e tuo fratello non ci parliamo più. È stato Ertmo. Mi disse che Bris gli aveva chiesto se una notte in mare avrebbe peggiorato di molto le sue condizioni. Gli scappò detto che era con te che doveva incontrarsi. In preda al panico il dottore venne a visitarmi e mi raccontò tutto” “Quel lurido verme. E io che mi sono fidato di lui in tutti questi anni. Non ha neppure le palle per affrontarmi a viso aperto” “Non è la sua guerra, Farrel. Ci è capitato in mezzo. Non lo voleva, ma l’abbiamo coinvolto. Abbiamo condannato anche la sua di esistenza senza che ce lo chiedesse” “Che siate dannati! È mai possibile che in questo paese nessuno abbia il fegato di affrontare i suoi errori?” ruggì “Deve sempre essere il sangue a estinguere le colpe?” e così dicendo prese il fratello e lo scaraventò contro il parapetto del ponte. “Ha colpe chi conserva i segreti altrui?” disse la donna con una voce che ormai non aveva più un briciolo di vita dentro. Il marito si avvicinò fino ad un palmo dal suo viso. “Ha colpa chi tradisce e continua a vivere nel tradimento.” “Non l’ho più visto da allora …” “Ha colpa chi tradisce e scappa alle sue responsabilità” “Voleva evitarti …” “Ha colpa chi conosce il peccato e lo nasconde” “E non ha forse colpa chi giura amore di fronte a Dio e poi se ne dimentica di fronte alla propria moglie?!” gridò Bris saltando al collo del fratello e sbattendolo a terra. Poi fu questione di un attimo. Il pescatore raccolse la fiocina da terra, si voltò e sparò. Bris non fece neppure in tempo a sentire il dolore alla spalla. Si rese solo conto che stava volando oltre il parapetto, dentro al nero mare.
Krad ebbe un singulto. Qualcosa dentro gli si bloccava ogni volta che raccontavano di uomini sommersi dalle acque.
Il vento sibilava tra le assi del tetto della baracca, ma nessuno sentiva nulla più che la voce sconosciuta di Nnersi ed un inspiegabile dolore alla spalla.
- Suo marito prese un coltello e le si avvicinò. Lei non si mosse. Nel mezzo del ponte, su quella nave che si lasciava trasportare dalla furia del mare, solo un soffio li separava. La guardò negli occhi e sentì il vuoto. Non c’era né desiderio di vendetta né liberazione. Né odio né paura. Quegli occhi erano morti, ora lo vedeva. “Tu non mi hai mai amato” disse serrando la mano sul coltello. “Io ti ho amato, ma non era di te che ero innamorata” rispose senza colore, in una maschera di lacrime. Alzò la lama e la appoggiò sulla gola di lei. Senza smettere di guardarla, con la voce rotta dalla rabbia e dal dolore, le disse: “Avrei potuto perdonarti. Avrei potuto fingere che mi amassi. Ma tu smettesti di vivere. Smettesti di parlare, di uscire, di ridere. Mi lasciasti solo a farlo per entrambi. La pena che volevi portare da sola, che non volevi condividere con me, ha finito per uccidere tutti e due. Perché se tu affondavi, io affondavo. Non esiste una colpa così imperdonabile come smettere di vivere, smettere di provarci. Non odiavo mio fratello perché ti amava. Lo odiavo perché la sua assenza era più importante della mia presenza. Non ti odio perché non mi amasti. Ti disprezzo perché lasciasti la tua vita al bivio, quando non riuscisti a decidere per nessuno di noi due.” Respirò profondamente, inchiodando i suoi occhi a quelli di lei “E mi sono odiato profondamente, nel silenzio delle nostre notti, quando scoprii di aver preferito la tua presenza alla tua felicità.” Fece correre la lama e vide quegli occhi scintillare, prima di spegnersi definitivamente e cadere fuori dalla sua vista.
Sara rimase in silenzio e chiuse gli occhi. Come se il coltello avesse aspirato la sua di vita. Gli altri abbassarono lo sguardo cercando sollievo nel fondo dei bicchieri.

lunedì 5 maggio 2008

mollette

e se cominciassimo ad appendere case al cielo?
forse basterebbero un paio di semplici mollette...

e allora mambo...












bianco spuma - cap 5


Sara si fermò un attimo. Lunghi brividi le correvano per la schiena e le mani le formicolavano d’emozione. Sentiva quello che stava raccontando, lo poteva vedere. Era il mare che infuriava e che cullava il peschereccio. Era la tempesta che aspettava il sangue per sprigionarsi. Era Tierry che chiudeva gli occhi per la paura e trovava finalmente il senso di quello che sua mamma chiamava pregare. Era l’ombra che usciva nella notte.
Spostò il suo sguardo dall’orizzonte al suo pubblico. Brandàn, Krad e Abner stavano seduti sui loro panchetti ad ascoltarla con la bocca aperta, come grossi pesci trascinati in secca e in attesa del loro destino. I loro occhi erano fissi su di lei, pieni di desiderio. Evitava sempre di porsi la domanda se era lei che desideravano, in quei momenti, o la fine della storia. Prese fiato e proseguì.
- Bris non accennava a reagire. Farrel stava per sferrargli un colpo alla testa quando qualcuno incominciò a parlare, qualcuno di cui non riconosceva la voce. “Ti sbagli. Non è stata colpa loro”. Farrel si fermò, con il braccio alto nella tempesta. Pensava che fossero soli sulla nave e invece qualcuno li aveva seguiti. Questo complicava le cose. Cercò di capire chi fosse ma né il tono duro delle sue parole, né i lineamenti nascosti nel buio della notte lo potevano aiutare. Portava una lunga veste nera che la pioggia aveva bagnato ad arte. Fu allora che comprese. Sbiancò in viso e il tubo gli cadde dalle mani rotolando lontano. Sotto quel velo di lutto si celava un corpo che lasciava ancora intuire quella potenza che gli anni e la malattia tentavano di portarsi via. Nnersi gli si fermò di fronte e riprese a parlare: “Sì, Farrel. Questa è la mia voce. Parlo la tua lingua. Sono malata e sto morendo. E sì, il mio errore ci ha condannati tutti questi anni, e continuerà a farlo finché non saremo tutti sul fondo del mare. Come vedi ci sono molte cose che non sai di me, che non ti sei mai sforzato di capire”. Con il braccio ancora alzato il pescatore non riusciva a credere alle sue orecchie. Una rabbia incontenibile cominciò a crescere in lui. La coscienza di aver vissuto per anni accanto a un’estranea. Di aver dedicato a suo modo la vita ad una persona che non era con lui che desiderava invecchiare. “Non saresti dovuta venire …” le disse Bris dolcemente, mentre con una mano tentava di tamponare il sangue che gli usciva da un orecchio. “Fu un errore. L’errore più grosso della mia vita” proseguì la donna rivolta al falegname. “Mi lasciai conquistare dalla tua dolcezza quella notte, ma non riuscii a dire di no a quell’uomo che mi prometteva una vita prospera, quell’uomo a cui col silenzio avevo legato la mia vita. Non sai quanto mi sono pentita in tutti questi anni di non aver mai saputo scegliere. Di non aver mai avuto il coraggio di vivere la mia vita o abbandonarla per ricominciarla con chi realmente sentivo che mi amava. Il dubbio mi mordeva per dentro. Per anni pensai che non scegliendo di fatto avevo scelto una vita di rimorsi. Quello che durò una sola notte con te, Bris, mi tormentò per anni come un peccato da espiare. Ma la solitudine e il silenzio non erano abbastanza. Fortunatamente poco dopo scoprii che non erano solo il dubbio e il pentimento a mordermi per dentro. Ma il frutto del peccato”. Nnersi si toccò il ventre, come ricordando. Ancora accasciato per terra il falegname sgranò gli occhi per lo stupore e balbettò: “Oh mio Dio, Nnersi … tu …” “Sì. Non mi lasciasti dentro solo la tua malattia, ma qualcosa che cresceva molto più in fretta” “Non è possibile!” scoppiò Farrel fuori di sé. “Me ne sarei accorto! Non si può nascondere una gravidanza!” “Era la stagione della pesca. Tu rimanesti per mesi in alto mare ed io non uscii mai di casa. Nessuno aveva mai parlato con me in paese e questo mi aiutò a scomparire. Per tutti quei mesi vissi di quello che produceva il nostro orto. Quando poi giunse la notizia che in qualche settimana saresti ritornato il bambino era già all’ottavo mese. Non so se lo capì o se le mie paure lo spinsero ad uscire, ma nacque precoce, all’improvviso. E così ci salvò ad entrambi. Quella stessa notte lo portai fino alla porta del convento dei frati; al tuo ritorno ero sola e chiamasti il dottore perché curasse quella che pensavi essere febbre. Ovviamente quando mi visitò capì che avevo appena partorito. Non fece domande, pensando probabilmente che volessimo tenere segreto un aborto. Nel frattempo incominciarono a manifestarsi anche i sintomi della malattia. Il dottor Ertmo non poteva credere a quel che il mio corpo gli diceva e diagnosticò malattie che non avevo. Senza le dovute cure il male avanzò velocemente. Poi, qualche tempo fa, tuo fratello parlò con lui e gli spiegò tutto. Ma era già troppo tardi.” Farrel era senza parole. Le sue pupille dilatate erano un covo d’ira e la rabbia gli stava esplodendo dentro, ma non riusciva a dire una sola parola. In un istante tutto il suo mondo era crollato al suolo. Come quella pioggia che tanto aveva atteso in cielo e finalmente si rovesciava a terra devastando tutto. Come questa pioggia che da allora non ci lascia tregua.

venerdì 2 maggio 2008

bianco spuma - cap 4


Sara si appoggiò con la schiena alla parete e continuò. Non distoglieva mai gli occhi dal mare là fuori, come se vi potesse leggere tutto quello che stava negli occhi del ragazzo ma che nelle sue parole non trovava spazio. Come se la storia fosse scritta là dove era finita.
- Appena salpati Farrel disse che sua moglie era malata, che stava morendo. Bris ascoltava in silenzio ma non sembrava sorpreso. Anzi, rispose che non ci voleva un genio per capire che Nnersi non stava bene. Il pugno di Farrel arrivò improvviso e sbatté Bris al suolo senza che potesse reagire. “Ho dovuto costringerlo” disse il pescatore “però alla fine il dottor Ertmo mi ha detto tutto. Mi ha spiegato perché era certo che non saremmo riusciti a curarla. Mi ha raccontato che questo male da anni uccide i componenti di una famiglia del paese e che nessuno ancora è riuscito a curarlo. È da quando esercita la professione che li controlla e li ha visti morire tutti, uno dopo l’altro. Solo ogni tanto ne nasce qualcuno stranamente sano che, per ironia della sorte, provvede a trasmetterlo ai suoi figli. Gli chiesi chi era questa famiglia. E sai qual è?” si fermò per guardare negli occhi il fratello prima di continuare. “La nostra. La nostra, cazzo!” e così dicendo gli sferrò un calcio allo stomaco.
- Che stronzo di merda – sussurrò Krad, quasi parlando con se stesso.
-“Ho pensato che fossi spacciato, che non me ne fossi accorto ma che stessi morendo. Eppure mi sentivo così pieno di forze. Chiesi al dottore quali erano i sintomi e scoprii che non ne avevo nessuno. A quanto pare ero stato risparmiato. Ma com’era possibile allora che Nnersi avesse potuto contrarlo se io non ne ero affetto? Mi sono scervellato per giorni e giorni. Ma poi ho capito. Ho capito perché papà ti proteggeva sempre. Ho capito perché decidesti di andare ad abitare da solo nella foresta, lontano da tutti. Ho capito che la lezione che ti avevo dato il giorno del mio matrimonio evidentemente non era bastata.” Farrel sputò in faccia al fratello che nel frattempo tentava di rimettersi in piedi appoggiato alla cabina di pilotaggio. “Non so perché cazzo non ti uccisi quel giorno, su quella rupe. Invece che spaccarti la faccia e minacciarti avrei dovuto buttarti giù. Già, perché non ero io, quello malato, vero Bris? Eri tu. Me l’avete sempre tenuto nascosto tu, mamma e papà, ma non c’erano molte altre possibilità. E il dottor Ertmo me l’ha confermato.” “Tu l’hai rovinata, Farrel. Tu l’hai condannata all’infelicità. Non puoi che rimproverare te stesso per averla uccisa prima del tempo.” “Io l’amavo. E le ho sempre dato tutto quello che desiderava.” “Come puoi sapere cosa desiderava se neppure la capivi? Se neppure ci parlava con te!” “Le ho dato tutto ciò di cui poteva aver bisogno. Una casa, un marito e …” “e la totale incomprensione. Non hai mai provato a capire perché fosse così triste. Perché invecchiasse così precocemente. Qual era il male che la mangiava dentro? Ti bastava averla lì, in casa, quando tornavi.” “Io ero la sua famiglia. Tu l’hai condannata. Tu le hai attaccato il male che la sta uccidendo, questa è la colpa che vi portate entrambi per aver tradito il nostro matrimonio …” “Non è la malattia che la sta uccidendo. L’hai mai sentita parlare? Nella nostra lingua intendo.” “…” “Io le ho insegnato. Con nessun altro che con me parlava la nostra lingua. A me solo confidava quello che la divorava dentro, la nostalgia della sua terra, la paura del nostro peccato …” Un cazzotto in pieno viso gli impedì di continuare.
- Come puoi sapere … – azzardò Brandàn, ma subito Krad lo zittì, interessatissimo.
- Chiudi quel culo e ascolta.
Nessuno più si azzardava neppure a bere. Tutti ascoltavano. Abner conosceva la storia della madre di Tierry, ma tutto quello non c’era. Eppure neanche per un secondo dubitò della veridicità di ciò che sentiva. Sara guardava il ventre del mare, e dava voce alle sue onde. Chiunque avesse conosciuto i due fratelli sapeva che quelle parole avrebbero potuto uscire dalle loro labbra.
- “Tu continuasti ad desiderarla, alle mie spalle, alle spalle di tuo fratello!” “Tu la sposasti nonostante sapessi che io l’amavo, nonostante sapessi che lei mi amava! Lo facesti apertamente, certo, ma questo non cambia nulla. Quella mattina, quando ti dissi che non potevo essere tuo testimone perché volevo sposarla, quasi mi ammazzasti. Probabilmente hai ragione, avresti fatto meglio ad uccidermi allora. Ma non l’hai fatto, e ci hai condannati tutti ad una vita meschina e di tradimenti” “Tu … tu … dovevi solo restartene fuori, e tutto sarebbe andato per il meglio. Invece no. Hai finto di scomparire ma poi te la facevi con lei in mia assenza, le attaccasti il tuo morbo quando io ero lontano, in alto mare” e così dicendo sferrò un altro pugno. Un fiotto di sangue uscì dal suo naso per andare ad imbrattare la cabina. “Ti sbagli. Tutto questo successe prima. Rispettai il tuo matrimonio, Farrel, contro la mia volontà. Non vidi più Nnersi dopo che vi sposaste, anche se non sai quanto avrei voluto. Avevo tutte le ragioni per distruggere la vostra unione. Mi dissero che non avevi scelto altri testimoni. Che il matrimonio non era valido. Mi dissero che Nnersi stava male, che aveva cominciato a spegnersi da dentro. E dai racconti che mi giungevano potevo leggere in lei i sintomi dello stesso male che mi perseguita. Ma invece di tornare mi convinsi che dovevo stare lontano, vivere isolato, fuori dalla vista di tutti, dove nessuno potesse riconoscere che era lo stesso demone quello che ci distruggeva pian piano. Poi però peggiorò, e tu non sapevi far altro che accusare il dottor Ertmo dell’inutilità delle sue cure. Durante una visita gli confessai quello che già da tempo sospettava ma che non aveva mai osato chiedere. Gli feci giurare di non dire nulla sulla nostra malattia. Mi raccontò che il ritardo nella diagnosi aveva aggravato le sue condizioni e che il tempo che le rimaneva purtroppo non era molto” “Lo vedi?! Tu e quel dannato dottore da quattro soldi l’avete uccisa. Vi dovrei impiccare a entrambi!” Farrel si chinò sulla cassa che si trovava sul ponte, prese un tubo di ferro e sferrò un colpo tremendo colpendolo al fianco. Tierry, dal bordo della stiva chiuse gli occhi per lo spavento. Scese nuovamente, impaurito, e si rifugiò in un cantuccio. Si chiudeva le orecchie, voleva solo scomparire. Che il mare se li mangiasse tutti e lo lasciasse tornare dalla sua famiglia. Fu solo allora che si accorse di non essere solo nella stiva. Vide uscire dall’ombra nell’angolo opposto una sagoma; la vide alzarsi e uscire sul ponte.