giovedì 31 luglio 2008

raccolte a punti


Persone come trofei. Come giustificazione di una vita.
Persone come bonus di una ideale raccolta a punti. Come se l’averle desse diritto automatico alla dignità di esistere. Come se per il fatto di averle con noi ci sentissimo vicini a qualche premio.
Persone come alibi, acqua sul fuoco del desiderio.

Sembra che la nostra esistenza debba giudicarsi più negli occhi di chi guarda che nella ossa di chi se la porta addosso.

mercoledì 30 luglio 2008

il treno per il dajeeling


- Se stasera scopiamo domani mi sentirò una merda..
- Per me va bene.
Bella l'idea del piccolo cortometraggio iniziale. E, in realtà, è la parte che ho apprezzato di più.

darwin


È incredibile, a volte, come uno riesca a sbagliarsi.
No, non proprio sbagliarsi.
A convincersi, ingannarsi.
Ci deve essere qualche sorta di miopia della vita che affetta i miei occhi, perché altrimenti non capisco. Come, tra tante strade, riesca sempre a scegliere quella che riporta al punto di partenza. Quella che non ha un futuro se non un ritorno all’inizio. All’inizio mi incammino titubante, ma poi osservando quello che ho intorno mi conforto, trovo coraggio ed entusiasmo. Finché .. bim! Lo stesso bivio. Lo stesso incrocio da cui ero partito e nessuna conclusione per ciò che avevo iniziato.
L’incapacità di interpretare i segni della vita mi rendere una specie in via di estinzione, caro Darwin.
Sei stato tu a girare tutti i segnali? Sei tu che ridi, nascosto dietro i cespugli, dei miei goffi tentativi di trovare il sentiero giusto?

martedì 29 luglio 2008

21


Forse è solo perché ero al cinema all’aperto.
Forse perché era realmente la prima volta che andavo da solo a vedere un film al cinema.
O perché di fronte a me stavano seduti 4 amici che sembravano usciti da un film di Ligabue, quella generazione di appenapiùchetrentenni, caratterizzati proprio come fossero personaggi da copione.
O più semplicemente perché a tutti è capitato almeno una volta nella vita di avere la sensazione di potere tutto. Una combinazione di situazioni che giocano a tuo favore e ti fanno sentire di poter trasformare la tua esistenza in qualcosa di mitico. Certo. Sul nostro tavolo non c’erano milioni di $, pestaggi, sballi, balli, alberghi di lusso, Las Vegas e una topona bionda da paura, ma in fondo sono solo dettagli. La sensazione di poter trasformare la vita con le proprie forze è qualcosa di eroico, e tutti sappiamo che dentro il nostro piccolo-anatroccolo-nerd si nasconde un gran giocatore d’azzardo. Con più di un asso nella manica.
Insomma, qualunque sia il motivo, mi è piaciuto e mi ha preso. Un bel film.

domenica 27 luglio 2008

tortilla flat - steinbeck


Due galloni sono molto da bere, anche per due paisanos. Ecco come si possono graduare, agli effetti spirituali, le fiasche: due dita sotto il collo della prima, conversazione concentrata; due dita più sotto, mestizia di dolci ricordi; tre dita ancora più sotto, pensieri di vecchi amori felici; un dito più sotto, pensieri di amori infelici; fondo della fiasca, tristezza in ogni senso; due dita sotto il collo della seconda fiasca, disperazione nera; due dita più sotto ancora, canto di morte; altre due dita più sotto canto di morte e dannazione. Da questo punto in poi inutile graduare; nulla vi è di certo e può accadere qualunque cosa.

Egli, peraltro, non era cieco, come molti santi lo sono, al male che c’è nelle cose buone. E non aspirava a diventare un santo. Nel fare il bene si contentava, per tutta ricompensa, della gioia stessa di farlo, e della beatitudine che sempre deriva da un adempimento di fraternità umana.

- Che c’è, Danny?
- Niente.
- Stai male?
- No.
- Che cosa ti fa allora così triste?
- Non lo so – Danny disse – È solo questione che non ho voglia di niente.
- Chiamiamo un dottore?
- Mica sono malato.

due chiacchiere


Ieri facevo due chiacchere con l'Ironia Della Vita e lei mi diceva che a volte le piace scambiare i copioni a sorpresa.
E allora le domandavo: "scusa e i personaggi come fanno?"
e lei mi rispondeva: "è questo il bello! Non ci sono i personaggi."

"Ma se non hai una parte come fai a sapere chi sei?"
"Um... tu chi vorresti essere?"
"..."
"Appunto..."
"Vorrei essere straniero in tutte le città del mondo, essere in viaggio e sentirmi a casa, parlare dieci lingue e non sapere dire la cosa giusta alla persona importante..."

"e quale dono ti piacerebbe? quale vorresti che fosse la tua capacitá che ti distingue dagli altri?"
"mi piacerebbe trasformare le parole in musica, i suoni in immagini, la luce in emozione, il quotidiano in epico. vorrei saper raccontare storie"
"per quale motivo?"
"la gente ha bisogno di storie. ha bisogno di entrare in un mondo dove ogni cosa, ogni dettaglio è un passo di una trama, in cui il senso sta nel semplice esserci e nella potenza dell'umanitá di ogni sofferenza. che impari ad apprezzare quel che ha e desiderare di piú"

"e che vantaggio ne avrai?"
"..."
"..."
"incantare la persona che amo. e distrarla dal fatto che io così non so vivere"

venerdì 25 luglio 2008

into the wild


Ho vissuto molto e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felice. Una vita tranquilla, appartata, in campagna, con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna. E dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?

Mi mancherai anche tu, Ron. Ma ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto, è ovunque, in tutto ciò di cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose.

Happiness is only real when shared.

giovedì 24 luglio 2008

il trasloco


Ecco fatto.
Tutto ora è al suo posto. I vestiti nei loro cassetti, i libri nella libreria.
È stato liscio e indolore. Anche se cercavo di caricare i gesti della forza dell’Ultimo Gesto non mi è riuscito un granché bene.

Appena usciti da Forlì ho tolto il cd di musica dance eh ho messo quello che avevo appositamente fatto, l’Appennino Soundtrack. Come in Elizabeth Town doveva accompagnare il nostro viaggio e le nostre chiacchiere. Ancora una volta in mezzo alla strada, arrivati in cima, c’era il muro del Muraglione. Ci siamo fermati e siamo entrati nel bar. Era l’unico posto aperto nel giro di chilometri, una stanza dove un immobile barista aspettava i clienti, protetto dal suo bancone e dai suoi snacks. Dava l’idea di essere l’unico ventre vivo, l’unica grotta ancora abitata in quel mondo fatto di boschi e vegetazione. Un insensato baluardo di civiltà. Abbiamo attraversato la strada e ci siamo seduti a mangiare patatine di fronte alle valli che si stendevano fino all’orizzonte, probabilmente fino a Firenze. Prima di andarcene abbiamo spedito una lettera, dal cucuzzolo della montagna. Chissà ogni quanto tempo passano i postini, lassù.




Firenze, poi, era come ce l’aspettavamo. Anzi, anche un po’ più fiacca. Già non c’era più nessuno, e il sonno ci ha presi in breve tempo.
La mattina dopo mi sveglio alla caccia di un parcheggio gratis, e finisco ad ammirare le spirali del nostro amico Nervi. Non penso neppure che in tutti questi anni non le ho mai viste, da dentro.


Prendo la bici e mi inerpico per la salita che costeggia le mura, fuori Porta S. Niccolò. Mentre sudo come un suino mi domando: ma dove minchia sto andando, con questo caldo, questa maglia nera, su per la salita più ripida di Firenze? Arrivato in cima al Forte faccio un giro e mi infilo in un giardino privato, sfruttando il mio libretto. E finalmente scopro cos’è quel magnifico giardino che, dalla nostra parte dell’Arno, si vede vicino al Forte. È Villa Bardini. Una magnifica loggia con tetto a spiovente sorretto da colonne in pietra si affaccia su una terrazza panoramica che offre una visione incredibilmente vicina del centro storico. Da qui scende un percorso accompagnato da terrazzamenti verdi e statue.








Già che ci sono faccio anche un salto a Boboli, giusto per concludere il mio Green Tour.




Il pranzo in via Giotto è rilassato e fresco. La Rita e la Fede hanno ancora il cervello fritto dall’esame e le risate abbondano. Ringraziamo la Coop per averci offerto l’ennesimo pranzo e vado a riprendere la macchina.
Con Parmino smontiamo la poltrona e la carichiamo in macchina. Riponiamo con cura le piantine in uno scatolone e, con le dita piene degli spini dei cactus, partiamo alla volta della casa dell’Irene. Dopo aver salutato i soldi di Parmino e aver fatto tappa da Sgnao, carichiamo gli scatoloni sulla macchina dell’Ire e partiamo. Il tramonto inoltrato ci trova sempre là, dietro al grande muro del Muraglione. Ci sediamo di fronte al mondo che scompare a layer verso l’orizzonte, mangiando Pringles e bevendo Coca.





Poi, il resto è Romagna. La casa e la nonna dell’Ire, i segnali non visti, l’autostrada, Rimini.

Ecco fatto.
Ora tutto è al suo posto. I pranzi in famiglia, il sole sul terrazzo.
È stato liscio e indolore. Fin troppo per un addio.

lunedì 21 luglio 2008

un palio di sequenze


D'altra parte, nella confusione totale di una piazza gremita che aspetta la corsa dei cavalli, potete immaginare come la comunicazione sia affidata all'espressione corporea.
Allora a voi interpretare le parole.

Ps. Grazie a Mirjam per le foto

venerdì 18 luglio 2008

hic et nunc


Questo doveva essere un post di pre-addio. Ma non mi riesce. Non riesco a pensare che a ora. Non riesco a immaginarmi tra 2 giorni. Non riesco ad immaginarmi quando la mia sola casa sarà quella di Rimini. Non riesco ad immaginarmi a non condividere lo stridore di una vita insieme. Delle ore che passano senza farsi sentire sull’orologio (quell’orologio da due soldi che da anni scandisce malamente i tempi dei pasti). Delle cene infinite ed espanse. Della sala studio e della sala cazzeggio. Dei letti in camera che si riempiono e liberano praticamente a caso. Delle piantine che mi avete stroncato. Delle ragnatele, la parete scritta, i divani raccattati dal bidone, gli amici raccattati in giro. Della Coop, la nuova piazza cittadina. Del fornino e del gelataro, del chiostrino e del mercato. Delle aule ormai dimenticate, dei chilometri in bici per scoprire quante sedi ha la facoltà, quanti stanze nascoste e quanti piani ha S. Niccolò. Delle serate a Santa Croce, delle birre dal cinese, della loggia de’ Ciompi, di piazza Ghiberti. Delle notti a vedere film a casa di Palmisia quando non c’era la Carlotta, del tavolo della Manu quando non avevo le chiavi di casa.
No. Proprio non mi riesce di fare un post nostalgico.
Mi spiace.

acqua su acqua


Pfff … blurulu
Pfff … blurulu
Pfff … auff
Giro la testa a raccogliere più aria possibile sul pelo dell’acqua. Batuffoli di piombo incombono dall’alto, minacciando pioggia.
Pfff … blurulu
Pfff … blurulu
Pfff … auff
Aria ancora una volta. È magnifica la sensazione. Protetto, immerso nel liquido clorato, osservo ritmicamente – pfff … blurulu – il cielo sopra, grigio e funesto. Pensa che bello se si scatenasse – pfff … blurulu – la tempesta. Acqua su acqua. Ticchettare sulle schiene quando riaffiorano. Pois di pioggia che esplodono – pfff … auff – sulla faccia, quando cerca l’ossigeno. Gocce come proiettili sulla superficie.
Acqua su acqua.
Invece non succede nulla. Il grigio si fa antrace e poi più scuro.
Le mie mani continuano a disegnare curve per le bolle, i miei piedi a spingere da una sponda all’altra.
Pfff … blurulu
Pfff … blurulu

martedì 15 luglio 2008

carta a quadretti


Sono piccoli elementi in successione. Lo spartito musicale su cui si canta la vita di ogni giorno. La carta a quadretti che irretisce le diversioni quotidiane.
Il martedì piscina, il giovedì calcetto. La cena con gli amici, il sabato sera fuori a ballare. Il corso di pittura, le nuovi canzoni da imparare, il tango lunedì. Il pranzo con quelli che non vedi mai, che tanto il pranzo è corto e di loro ti frega il giusto. Tanto per non abbandonarli.
Sono come la struttura del tempo, una scansione che ci creiamo per non affondare. Una successione di rituali propiziatori coi quali ancoriamo il nostro tempo alla “produttività” ed evitiamo di sentirci in balia delle maree. Una rete di impegni e svaghi che ci rende tranquilli, ci orienta.
E proprio quello che ci fa sentire “a casa” è poi quello da cui spesso cerchiamo di fuggire. Quella maglia che ci dà sicurezza e che, alla lunga, ci viene stretta. La sentiamo condizionarci le giornate e costringere la fantasia. Un alibi per la mancanza di originalità.
Il caffè. La sigaretta. Il bar.
Sono necessari per stare in piedi.
O forse no?

sabato 12 luglio 2008

by my side


Cammino solo per il corridoio. Le lame di luce degli scuri fendono l’aria e disegnano la parete con curiosa abilità grafica. Intorno solo il rumore della città, scrosciante e alternato come lo scorrere del mondo. La casa non emette un suono, non un movimento disturba la sua quiete. Respiro questa solitudine e l’assaporo, intimamente. Torno ad essere proprietario dei gesti, dei movimenti, dei suoni, dei pensieri. Torno a sentire il tempo passare su di me. A gustare i minuti che lenti rotolano nella calura estiva.

piscina


Sdraiati a cercare la migliore posizione. La perpendicolare ai raggi solari. Si ungono, si cospargono di creme, nascondono i propri lineamenti dietro grandi occhiali da sole. Glabri, si muovono nel sole come camaleonti, guardandosi, ammirando la propria pelle cambiare colore. Si stimano intimamente e sfoggiano negli occhi l’orgoglio del tempo passato aspettando di diventare bronzei.
Mi sento in un rettilario umano, dove ognuno si crogiola al sole, concentrato sulla propria estetica.

giovedì 10 luglio 2008

cloverfield

È la registrazione delle vacanze di due amici, nella magica New York. Momenti di relax, divertimento, romantici. Poi improvvisamente compare quello che è stato registrato, sullo stesso nastro, 2 settimane dopo. Una festa di addio, storie che si incrociano, litigi.
E poi la terra comincia a tremare.
Un thriller che non ti aspetti, visto attraverso la telecamera amatoriale che riprende la storia di un gruppo di amici che assistono alla distruzione di Manhattan.

mercoledì 9 luglio 2008

la fabbrica dell'entropia


Effettivamente non l’avevo ancora vista da questa prospettiva. Guardo la tristezza velare leggermente i suoi occhi e il silenzio coprire quello che non si può dire.
Sto per lasciare questo posto. Dopo anni di studio, vagabondaggio, divertimenti e lotte. Dopo anni in cui il posto cui ritornare, anche mio malgrado, era sempre O31. Il covo dell’entropia del mondo, la fabbrica del disordine, la patria dei lavori invano. Sta per non essere più casa mia.
Le notti di fronte allo schermo (la maggior parte delle quali passate a dormire), le cene, i pranzi coi Simpsons. La gente. La gente che va e viene, che si invita a cena, che si invita a dormire, che si invita a studiare. Le notti. Le notti passate insonni, davanti allo schermo del computer, i minuti di riposo sul divano, le paste al bar disotto, le revisioni in condizioni da famiglia Addams. I chilometri macinati con la bici, le bici. I vicini che pian piano entrano a far parte del mondo O31, quelli che scompaiono, quelli che li sostituiscono. Le americane, gli spagnoli, i giapponesi, le francesi. Le partite a calcetto, le corse all’Albereta, la corsa fino a viale Europa (ancora ce lo ricordiamo, eh Luke?). Halloween e tutto il casino che si è portato dietro. L’Erasmus, che in varia maniera è passato anche di qui, sempre più prepotentemente. La decisione di seguire chi era mio amico, perderlo, ritrovarlo, abbandonarlo. Rovinare tutto per qualche parola di troppo, dare fuoco a ciò che era quotidiano. Vedere il tempo passare nelle loro facce.
E poi. Arrivare alla fine. Arrivarci deluso e contento.
Cambiato.
Metterò quelle quattro cose che mi porto dietro nel mio solito fagotto e riattraverserò l’Appennino. Come anni fa, in un percorso a ritroso che mi riporterà a casa. Quella casa ormai (quasi) sconosciuta.

lunedì 7 luglio 2008

Uto - Andrea De Carlo


L’unica cosa che ero riuscito a fare era stata compensare e compensare, costruire schermi interiori dietro cui ripararmi. Mi ci ero abituato così tanto che in certi momenti mi sembrava di non avere bisogno di niente per vivere, poter resistere a qualunque genere di interferenze.
A capire che è un lavoro, essere felici. È una costruzione. Devi metterla giù tavola per tavola e chiodo per chiodo, e controllare di continuo che tutto sia a posto, e tenere ben spalato tutto intorno. Ci vuole un sacco di manutenzione, Uto. Anche solo per stare insieme tra un uomo e una donna. È un lavoro.

Non ero mai stato un grande abitatore di case, o usatore di oggetti; non avevo mai avuto bisogno di molto. Mi chiedevo se era un modo di sentirmi libero, o di compensare la delusione che il mondo mi provocava di continuo; se era una rivalsa o era paura o incapacità o cosa.

Un tempo passavo attraverso i luoghi senza lasciare la minima traccia, e mi sentivo libero. Stavo in una casa senza appendere un solo foglio di carta alle pareti, tenevo i miei vestiti nelle valigie. Stavo attento a non dipendere da nessuno, non far dipendere nessuno da me.

È che siamo così vigliacchi e deboli, madonna. Noi uomini, no? Passiamo la vita a cercare una donna abbastanza forte da poterle passare le consegne di nostra madre. Come bambini striscianti e imploranti, Uto. E loro sanno benissimo di avere il controllo, giocano sui nostri sensi di colpa e di inadeguatezza e sui nostri sistemi di proiezione con un istinto così sicuro. Giocano di attesa e di rimessa, no? Stanno lì in poltrona e stanno lì sulla porta, stanno lì a guardare tutto il tempo quello che riesci a fare, per decidere se dirti “bravo” o dirti che fai schifo.

ritorni di fiamma


A volte basta poco a scomporre i nostri fragili equilibri.
Come lettere che compaiono improvvisamente sullo schermo, dopo anni di assenza. Lettere che si combinano in parole e celano la gioia di una vita lontana. Le conquiste e le novità. Mi suggeriscono immagini di piogge tropicali, di notti sulle amache, il sole della Corsica, la solitudine allegra degli abitanti di Tahiti.

Allora alla fine l’hai trovato..
Si, ed è magnifico. E tu? Mi sembra impossibile che ancora …
No. Ancora no.

domenica 6 luglio 2008

even now



Mi tuffo sulle ultime onde prima del tramonto. Mi immergo nel buio della cecità forzata e dell’apnea. L’acqua torbida mi scorre intorno mentre mi muovo come una rana, puntando verso il largo. Torno verso l’alto, buco la superficie e riemergo per respirare prepotentemente.
Dietro di me ci sono loro. Come al solito accenti stranieri, lingue diverse, sguardi più o meno sconosciuti.
Lascio che il mare mi entri dentro, caldo e confortante nella sua immensità, che mi lavi le colpe e mi riempia i pensieri.
Una sola sensazione riesce a scappare, dribblando, scorrendo attraverso le gambe, risalendo per i muscoli ed insinuandosi alla base del cervello. Poco prima di scomparire lancia un ultimo grido.
Che emozione ricominciare tutti i giorni. Da zero. Eppure che fatica.

venerdì 4 luglio 2008

pugnali di caramello


I ricordi altrui sono sempre agrodolci. Sono pugnali di caramello. L’entusiasmo nelle sue vene e l’aria trasognata si chiudono a scrigno su una parte della sua vita cui non avrai mai accesso.

siena - palio











E le foto del Palio? direte.
Beh non le ho messe. Ne avevo solo un palio...