domenica 18 dicembre 2011

spine


I nostri passi risuonano per via Ercole I d'Este e così le nostre parole, macchiate da accenti diversi. Un androne, stranamente illuminato ed aperto in questa notte anticipata, ci invita a salire e introdurci al primo piano.
Un appartamentino curato con estremo gusto, un corridoio con vetrate anni '20 e orchidee, una serie di quadri nella camera da letto, tele appese al soppalco, un magnifico e massiccio rinoceronte in pietra sospeso da nastri. Ma è il soggiorno ad attirare la nostra attenzione: due stanze che accolgono la personale di un'artista ferrarese. Racchiusi in una cornice immateriale alcuni oggetti del passato fanno mostra di sè attraverso veli dai ricami essenziali e onirici, perfetta simbiosi tra obect trouvè e memoria dello stesso, tra delicatezza dell'esistere ed epicità del ricordo. E poi il grande arazzo, incredibile, a campeggiare sulla parete: una grande tela, una trapunta diresti, sulla quale scintilla una rosa, stranamente tridimensionale e striata di luce metallica. Un quadro di filamenti argentei, di sinuose pennellate scintillanti che ricorda lo splendore bohemien dei caffè parigini d'inizio Novecento. Ma è avvicinandosi che la meraviglia aumenta, quando scopriamo che non sono fili a comporlo, bensì una serie incredibile di spilli, aghi metallici che si rincorrono l'un l'altro e danno forma alla composizione, fondendo così in una nuova immagine l'ideale impressionista e l'antica arte del ricamo, metonimicamente rappresentato dal suo oggetto simbolo. E poi una tela, sulla parete a fianco. Un'altra rosa, questa volta effettivamente ricamata, un filo che segna essenzialmente la superficie bianca del fondo imprigionando dentro di sè spine reali. Giocando ancora una volta sulle distinte percezioni dello stesso oggetto, affascinante e sensuale da lontano, irriconoscibile e pungente da vicino. Ennesima rappresentazione della difficile coesistenza tra bellezza e dolore.
Ci riaddentriamo per le fredde strade acciottolate di questa città. E mentre le nostre parole stentate si perdono nella notte, sento quanto tutto questo mi mancasse.

giovedì 24 novembre 2011

tracce


Ho visto i colli. Ho visto le ville. Ho visto i viali alberati, i giardini, la ferrovia. Il ristorante sudamericano, il centro di quartiere. Gli edifici giapponesi della fiera stagliarsi imponenti contro il cielo fluorescente. Ho visto le prostitute, i travestiti, la gente della notte. La caserma abbandonata, le fabbriche dismesse, brandelli di vita sparsi sui selciati. L'unica stella a brillare, sola, nell'oscurità. Chinatown. Un appartamento di periferia, buio e silenzioso.
Ho visto tutto questo al ritmo di passi certi, questa notte.
Eppure tutto ciò non ha portato alcun sollievo.

sabato 19 novembre 2011

cinder


Suoni che si perdono nel silenzio della notte. Una voce maschile disegna storie in un piccolo stanzino nascosto nella China Town bolognese. Una voce femminile risponde da un salotto al confine tra Svizzera e Francia. Il nulla intorno. Solo il confortante peso di parole che strappano un momento di senso e di comprensione a tutto ciò che li circonda.

mercoledì 12 ottobre 2011

piccoli passi nella notte


Finchè non ricompare.

Ci parli. Risenti il suono della sua voce, le inflessioni del suo umore, lo spessore della sua intelligenza. La dolcezza del suo essere lontano, la pace ponderata delle parole nella notte, il pungente miele della tristezza comune.

E ti accorgi che ti manca. Che non lo sapevi, ma ti manca.

mercoledì 21 settembre 2011

thank you for smoking


Si appoggia coi gomiti alla struttura che sostiene il bilanciere e mi guarda. I bicipiti gonfi, il fisico massiccio di un sollevatore di pesi professionista. Eppure il viso è quello di un uomo buono, glielo puoi leggere negli occhi e nella dolcezza dei lineamenti.


Sono ingegnere meccanico, dice. Ho fatto il dottorato e poi ho trovato lavoro in una piccola ditta che commerciava principalmente con gli Stati Uniti. Ma dopo l’undici settembre è arrivata la crisi e sono falliti. Adesso lavoro per una compagnia più grande, siamo una delle due al mondo che producono macchine per impacchettare sigarette. Lo so, lo so. Creiamo macchine che producono morte, come i produttori di armi. Ma, cosa vuoi, bisogna pur portare a casa i soldi. Poi, per lavarci la coscienza, doniamo un reparto all’ospedale S. Orsola o al Rizzoli, e ci sentiamo un po’ più a posto.

domenica 11 settembre 2011

il Nulla - la storia infinita


- Perché Fantasia muore?

- Perché la gente ha rinunciato a sperare, e dimentica i propri sogni. Così il Nulla dilaga.

- Che cos’è questo Nulla?

- È il vuoto che ci circonda. La disperazione che distrugge il mondo. Ed io ho fatto in modo di aiutarla.

- Ma perché?

- Perché è più facile dominare chi non crede in niente. E questo è il modo più sicuro di conquistare il potere.

martedì 6 settembre 2011

ospitalità


Entrate, entrate.

Pensavamo che fossero muratori che ci offrivano di condividere con loro la pausa pranzo, un panino sotto un albero, e invece guarda cosa ci riserva il cammino di oggi.

Appoggiamo gli zaini ingombranti di fianco al camino di pietra e ci sediamo sulla panca, al centro della tavolata. Davanti a noi si siedono i figli, sei ragazzi trai tredici e i ventiquattro anni. Carnagione scura, lineamenti meticci, capelli crespi, quasi africani, occhi nerissimi, tutti vagamente bassi di statura. Le ragazze ci servono le pietanze per primi facendo la spola tra la cucina e la tavola, mentre i ragazzi chiacchierano con noi di università e viaggi.

Ci osservano con tranquillità, senza tradire stupore o timidezza. Ma mentre le ragazze controllano che non ci venga a mancare nulla, i maschi hanno uno sguardo falsamente disattento. Ogni gesto o frase lievemente anomala richiama, infatti, istantaneamente la loro attenzione, e accende quegli occhi di ossidiana. È il bagliore tipico dell’animale che studia chi è entrato, fortuitamente, nella sua tana.

Ad un capo della tavola siede quello che sembra essere il padre. Un uomo magro e alto, siciliano emigrato qua, sull’Appennino Romagnolo, neppure ventenne. Fratello, a quanto dice, di un famoso imprenditore del milanese. Parla a voce bassa, col tono sommesso e lento di chi ha poca istruzione e troppa fede. La preghiera che inaugura il pranzo è un misto tra un’invocazione contadina e un rito da pastore americano.

All’altro capo, in silenzio, intento a mangiare, siede quello che a quanto pare è un cugino. Un ragazzo con qualche anno meno di noi, che si è unito alla famiglia per aiutarla coi lavori edili nel cortile di casa.

Di fianco a noi si siede quella che, a questo punto, dovrebbe essere la madre. Una signora peruviana tracagnotta, alta meno di un metro e mezzo, con una rastrellata di capelli bianchi a trasformarle la chioma e darle un’età. Col caratteristico accento ispanico, mischiando l’idioma andino a quello nostrano, ci racconta del suo passato a Lima, dei suoi viaggi a Cuzco, dei suoi trasbordi a dorso di mulo o sui cassoni dei camion.

Le pietanze sono evidentemente quelle di una famiglia povera, ma con l’abbondanza di una piccola festa. Quella di avere due ospiti inattesi.

lunedì 5 settembre 2011

tel aviv


La guardo negli occhi, forse realmente per la prima volta. Quegli occhi che mi fissano da una cornice di piccole rughe, sentenza evidente della sua età, pedaggio dei quaranta.

Non c’è fretta né timore in loro, non c’é entusiasmo. Forse è un’ombra indelebile di noia quella che vi leggo dentro, forse stanchezza. Seduta sulla sedia pieghevole, spalle alla valle e ai suoi trulli, si muove con lentezza, come se avesse un altro peso. Si porta addosso, con silenziosa dignità, quel principio di disadattamento che caratterizza i viaggiatori inquieti.


Hai viaggiato tanto, le dico pensando alle sue origini fiamminghe, alla sua attuale residenza a Tel Aviv, ai suoi trascorsi in Italia e Francia. È a Tel Aviv che vuoi vivere?

La risposta arriva nuotando nel suo magnifico accento francese.

Tel Aviv non è male. Ma non so. Non la considero casa mia. Non più di altre almeno.

Ma c’è un posto che ti sembra possa essere casa tua? Un luogo dove, quando sei arrivata, hai pensato che sarebbe stato bello rimanere?

In questo momento no. Casa è dove qualcuno ti aspetta, ed io ora non ho nessuno che mi aspetta.

Lo dice con un sorriso privo di tristezza, come una constatazione anonima.

Non escludo di avere più case. Una a Tel Aviv e una a Parigi. E di lavorare in giro per il mondo. E poi se succederà che vorrò fermarmi da qualche parte mi fermerò.


La osservo. E più che uno sguardo è un abbraccio visivo.


mercoledì 31 agosto 2011

ultimo - questa storia - a.b.


Perché sei sempre triste?, gli ho chiesto.

Non sono triste.

Sì che lo sei.

Non è quello, mi ha detto. Mi ha detto che secondo lui la gente vive per anni e anni, ma in realtà è solo in una piccola parte di quegli anni che vive davvero, e cioè negli anni in cui riesce a fare ciò per cui è nata. Allora, lì, è felice. Il resto del tempo è tempo che passa ad aspettare o a ricordare. Quando aspetti o ricordi, mi ha detto, non sei né triste né felice. Sembri triste, ma è solo che stai aspettando, o ricordando. Non è triste la gente che aspetta, e nemmeno quella che ricorda. Semplicemente è lontana.

martedì 30 agosto 2011

il conte - questa storia - a.b.


Non aveva figli, non ne voleva, e detestava quelli degli altri, ritenendoli comicamente inutili, privi di futuro com’erano. Gli piacevano le donne, e forse ne avrebbe sposata una, per non complicare le cose. Ma voleva bene ai suoi cani, e a nessun altro. Un giorno il caso l’aveva fatto cascare su un assurdo garage, perso nella campagna. Tutto quello che aveva trovato lì, poi, era stato come un viaggio nel rovescio del mondo, dove le cose avevano ancora una ragione e le parole indicavano ancora le cose: ogni giorno una forza sconosciuta vi separava il vero dal falso, come il grano dalla pula. Non ne aveva dedotto niente, né aveva pensato, neppure per un istante, di interpretarla come una lezione da imparare. Era tutta roba perduta, per lui, e nulla avrebbe rovesciato il corso delle cose. Però, riprendere di tanto in tanto quella strada nella campagna, era diventato il suo personale anestetico contro la pena dell’insensatezza generale. Così aveva scelto i gesti giusti con cui scivolare sempre più nelle abitudini di quel mondo, arrivando a farsi accettare come una sorta di clandestino un po’ bizzarro, e degno di pietà. Non aveva in mente di far loro del male, né era abbastanza onesto, con se stesso, da capire che far loro del male sarebbe stato inevitabile. Voleva solo stare lì. E per farlo, nulla sarebbe stato troppo insensato, o pazzo.

lunedì 29 agosto 2011

perticara


Ci sediamo al bar del paese, al riparo della tettoia, fronte alla strada.

Dietro di noi si trova la lunga parete gialla del locale, dipinta in vago stile cubano. A quanto pare è la meta preferita del proprietario, che vi si reca ogni tanto e si scorda puntualmente di riportare a casa il cuore.

A destra, di fronte all’ingresso, sono seduti alcuni degli uomini del paese. Raccolti intorno ad un tavolo sorseggiano dai loro bicchieri e parlano nel dialetto stretto di chi vive lontano dalle città. Parlano di quello di cui gli uomini, sempre e per sempre, parleranno. Ogni tanto qualche sguardo fugge verso i due stranieri, così assurdamente agghindati da sembrare un marocchino e un libanese, con quegli zaini enormi, stremati.

Sul nostro tavolo una Franziskaner fredda campeggia come una Coppa dei Campioni, circondata di patatine e salatini.

E davanti ai miei occhi, a stagliarsi tra il cielo e le case del paese, sta la montagna, nuda e tornita. Una presenza concreta, una massa docile padrona dello spazio.

domenica 28 agosto 2011

polene di terra


Usciamo ringraziando dalla casa di chi, sconosciuto, ci ha fatto entrare, dissetato e dato informazioni. Trasciniamo i nostri corpi verso il basso per poi risalire il dislivello fino alla chiesina di Uffogliano. Qui, un minuto promontorio verde si addentra nel lungo ventre della vallata. Come polene di terra ci sporgiamo ad osservare il greto del fiume, là in fondo, disegnare vene d’acqua e ghiaia. Dall’altra parte i due santi del luogo si fronteggiano dalle rispettive rocche.

Piantiamo la tenda prima che faccia buio e ci prepariamo per la notte. Mentre l’ultimo sole ci sorprende a lavarci alla fontana del cimitero, incontriamo i nostri nuovi vicini, tre famiglie che pernottano nella canonica. Ci invitano a mangiare con loro per terminare gli avanzi del barbecue e così il nostro pasto a base di pan carrè e salame si trasforma in una cena con piada e salsiccia, carne alla brace, verdura, vino, caffè e ammazzacaffè.

Ancora una volta ce ne andiamo ringraziando dell’ospitalità gratuita, con un moto di meraviglia inespressa. Ci dirigiamo verso la tenda e ci prepariamo a dormire. Domani dovremo camminare più del previsto.

sabato 13 agosto 2011

penso denso


Penso. Denso.

A promesse non mantenute. Ad arpie mantenute. Al desiderio, all’ambizione, all’orgoglio, all’impossibilità di ottenere ciò che voglio. A crepuscolari solitudini di reietti autoesclusi dalla società spiaggiate su lidi comodi di una precisa necessità. Non tanto quella economica, animale o dell’essenza, quanto quella prosaica e concreta della mutua assistenza. Quella che nasce nell’essere adulto di poter contare sull’altrui aiuto. Perché le difficoltà, il lavoro, il futuro, tutto s’affronta. Ma quando il fisico ci abbandona siamo una nave che affonda. E quel che ci salva in quel momento non è l’affetto o l’affettato, ma il soccorso di chi ha scelto di stare al nostro lato.

Animali sociali, disse qualcuno guardando i suoi simili; e forse sognava già l’estati sensuali di Rimini. Perché tra animo, anima e animale, il passo è breve e spesso banale.

domenica 7 agosto 2011

trame-n


Ci sono milioni di fili. Intrecciati a creare una trama, una superficie, una base. Corrono regolari e immutabili gli uni sotto gli altri, onde sinuose di una geometria perfetta e rigida. E poi ci sono i fili d’oro, che viaggiano all’interno della trama con libertà e grazia, facendo del tappeto un’opera d’arte o un oggetto di consumo.

Ci sono milioni di case. Edifici, residenze, appartamenti, che si stendono indefinitamente sul territorio della città. Omogenee nella loro assoluta mancanza di qualità e prevedibilità, costituiscono il tessuto urbano. È solo all’interno di una città creata a questo modo che possono trovar posto le grandi opere delle piazze, dei mercati, delle cattedrali.

E poi ci sono milioni, miliardi di vite. Esistenze inutili e ripetitive, monotone, banali, assurdamente prevedibili, che tracciano la trama della storia umana. Ed è all’interno di questa quotidiana nullità, di questo frustrante “esistere” che nuotano, come pesci d’argento, i geni, gli uomini di talento, di intelletto, gli uomini capaci di distinguere la storia tra lo scorrere imperturbabile di una sequenza animale e le più alte vette dell’Umanità.

sabato 6 agosto 2011

oceano mare - a. baricco


Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così … Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo … salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile; e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male.

mercoledì 3 agosto 2011

testa-menti


Non c’è dubbio. È colpa della nostra testa, non del contesto.

Possiamo dare la colpa ai talenti, che ci impongono di utilizzarli al meglio. All’intelligenza, alla condizione economica, alla situazione affettiva. Possiamo rivoltare la frittata in mille modi, mordere la vita come nessuno, ma in fondo ciò che ci impedisce di viverla serenamente non sta al di fuori delle nostre mura.

lunedì 1 agosto 2011

passo e chiudo


È quasi la mezzanotte del primo di agosto. Le auto scorrono lungo il serpentone d’asfalto, attraversando uno dopo l’altro i piccoli paesini, pietre di una collana sgranata e antica. Scivolano nella notte, le luci silenziose, fino a raggiungere il Passo.

Ed è lì, nel cuore della notte e nel cuore dell’Appennino, a novecento metri di altitudine, che gli occhi assonnati faticano a realizzare quel che vedono. Mandano strani segnali al cervello che tarda a tradurli in un pensiero di senso compiuto. E così ogni cervello, lasciando dietro di sé quella visione onirica, riesce a concludere unicamente: cazzo ci fa un surfista quassù?


Seduti al tavolino del bar chiuso guardano le stelle, in quello squarcio di cielo tra il tetto dell’albergo e la chioma degli alberi. La notte è fresca e limpida, promessa di un grande nuovo inizio.

I due chiacchierano, sgranocchiando patatine messicane da quattro soldi, senza guardarsi in faccia, gli occhi fissi sul cielo stellato.

Parlano, ma quel che esce dalla loro bocca sembra non importare. Non hanno peso quelle parole. Perché non è la comunicazione il loro fine, non stasera. No, questa volta devono tracciare il tempo, isolare nella mente questo istante. Sono bolle di suono che si rompono nel silenzio della notte, imballaggio di memorie future. Come fossero il ticchettare di un orologio. Come se disegnassero una cornice sonora all’addio.

Poi i due si alzano, appoggiano la tavola da surf alla parete del bar e lasciano un messaggio di ringraziamento. Non ai gestori. Ma alla montagna.

Rimontano in auto e tornano verso valle, come pesci che risalgono la corrente per tornare là dove sono nati.

venerdì 29 luglio 2011

pneumatici


Una generazione che ha fatto della precarietà una professione. Che ha scambiato l’incertezza per indipendenza, la mobilità per libertà, le psicosi per normalità.

Un popolo che ritiene il futuro un pensiero del passato, il lavoro un prodotto di scarto di quella fabbrica di sogni che è l’educazione, i diritti conquistati dai padri un regalo dovuto. La giustizia un esito della sorveglianza.

Una gioventù che ha barattato l’affetto con il corpo, i valori morali con quelli economici, la vita con la fiction.

Una frangia della storia che ha perso una ruota in curva, che sbanda pericolosamente verso una rivolta indignata contro tutto ciò che la circonda.

domenica 24 luglio 2011

il mondo in una tenda


La montagna domina un piccolo bacino, circondata da un dedalo di gole e valli. Su di un avvallamento del terreno, poco sotto la cima, sta la tenda, riparata dal forte vento che preannuncia tempesta.

Al suo interno un ragazzo polacco sta usando il suo iPhone per connettersi a internet e chiamare, tramite skype, la sua ragazza statunitense, originaria di Taiwan, che lavora a Kyoto.

Penso a questa assurda combinazione di locale e globale, tradizionale e moderno, e sorrido.

lunedì 30 maggio 2011

piano sequenza


Prendere la macchina, incontrarsi, e volare verso il mare. Sbagliar strada, perdersi nel fuso di terra tra la zona industriale, il canale e la ferrovia. Prendere il traghetto per 10 metri e riderne. Finire in spiaggia, dove centinaia di giovani ballano la loro contentezza stagionale. Tornare a casa e pranzare a mezzanotte con una pizza surgelata. Svegliarsi ed accudire i propri figli come un pensionato. Inforcare la bici e perdersi trai colli. Scoprirsi a pensare che ogni città, vista sufficientemente da lontano, è bella ed affascinante. Come succede quando vedi la terra dall’aereo. Come succede quando vedi la costa dal mare. Come succede quando pensi a te stesso anni fa. Mettere le cassettine della scuola nello stereo ed ascoltare gli Smashing. Affacciarsi e vedere uno squarcio di cielo stellato, mentre le facciate degli edifici intorno sono pallidi di luna. Pensare all’orto come una porzione di mondo pura e salva, un’isola franca.

mercoledì 25 maggio 2011

3x2


Perché ci lanciamo sparati, convinti che la strada sia giusta, di aver finalmente trovato casa.

Corriamo in preda all’entusiasmo, respirando a pieni polmoni.

Poi arriviamo di fronte al numero civico che cercavamo.

E ora?

sabato 21 maggio 2011

altalena


Dannata necessità di ritenere gli altri peggio di quel che sono per sentirci meglio di quel che siamo

giovedì 19 maggio 2011

antidoto


L’unico antidoto – l’unico – contro gli estremismi del pensiero è la vita.

Le categorie, le convinzioni, i giudizi taglianti, le considerazioni nette. Tutto spazzato via. Da un briciolo di convivenza e una goccia di comprensione.

giovedì 12 maggio 2011

l'ombelico


Si vede che poi deve succedere.

Che la vita all’improvviso non ti appartenga più.

Pensavi di averla lì, raccolta con cura tra quattro mura. E invece un mattino ti svegli, apri gli occhi e non c’è più.

Sulla parete, di fianco al letto, uno squarcio si apre rivelando la piana come una ferita.

Silenzio

Chissà dov’è andata. Chissà dov’è fuggita.

Eppure le volevo bene.

Ti stringi alle coperte e a quella nebbia, che è tutto ciò che ti è rimasto.

venerdì 6 maggio 2011

altrui-smo


La felicità altrui è un abito che va indossato con dignità.
Altrimenti può ferire.

giovedì 21 aprile 2011

cielo


Possono le parole cambiare quel che si sente?

Può una processione di suoni, un ricamo di lettere, modificare anche un solo battito?

Può la volontà spostare il destino?


Puoi riportare indietro tutto questo?

giovedì 7 aprile 2011

principio di galleggiamento


Non c’è nessuna bilancia cosmica, nessun carma universale. Non ci sono leggi del contrappasso, errori di prospettiva, sinusoidi eterne o principi di Archimede.

Non ci sono forze che ci salvino se non siamo noi a voler restare a galla.

martedì 5 aprile 2011

fughe


Salutarsi come si saluta l'infinito.
Di lontano

giovedì 24 marzo 2011

de-sidera


Desidera. De-sidera.
Me lo disse qualcuno tanto tempo fa, e da allora non si è più schiodato dalla testa. “Distanza dalle stelle”. Quello spazio siderale che ci separa dagli astri. La sostanza del desiderio è la distanza: tra chi desidera e l’oggetto desiderato, tra il desiderio e il suo avverarsi.
“De”. La distanza. Una distanza che immaginiamo copribile.
Perché altrimenti invece che un desiderio è un sogno. Una visione in cui speriamo, un racconto che attendiamo con impazienza. La salvezza che incontra la nostra vita.
"Sidera". E sempre che ci crediamo ancora, di poterla coprire.
Altrimenti si chiama delusione. E guardare le stelle, così lontane e lucenti, alimenta la profondità della nostra disillusione.

giovedì 17 marzo 2011

cielo spinato


Il sole cala lento dietro un velo di nuvole. Le panchine e gli alberi fanno bella mostra di sé ostentando il loro profilo migliore sulla cima della collina. Mi abbandono ad uno stato di semi-incoscienza postprandiale sdraiato su di un prato di margherite, rosolato dal timido calore solare.

È lì, nella culla di un limbo onirico, che mi perdo e mi abbandono ad una pace che assomiglia tanto ad uno strano stato di felicità. Una rilassata leggerezza.

E se fosse questo? Se fosse la conquista dell’atarassia la vera felicità? Se la stupidità ci permettesse di raggiungerla, questa felicità, più facilmente, più in fretta, in maniera più duratura? Se l’adattarsi, il piegare i propri desideri a ciò che è ottenibile, fosse la darwiniana soluzione alla complessità del vivere?

Ho in mente le parole di Oriana. E il suo ostinarsi a credere che, nonostante tutto, gli uomini non si meritino l’odio che riserviamo loro.

domenica 13 marzo 2011

vita in ringhiera


A questo serve la società.

A capire quanto di grande, vile, tenero e abbietto ci sia nell’uomo.

giovedì 10 marzo 2011

il corso


Sarà il vento fresco sulle mani. Sarà l’ebbrezza lieve e l’aria di una precoce primavera. Sarà la bicicletta che sfreccia selvaggia per le vie del centro. In ogni caso il mio corpo ricorda, e queste sensazioni sono associate alle notti di ritorno da via del Corso, il primo anno. Quando a tarda notte inforcavo la bici e scheggiavo per le vie deserte di una Firenze nuda e sonnolenta. L’aria fresca che premeva sul mio viso e sulle mani mentre spingevo sui pedali passando di fianco al duomo, solitario e magnificente, su per piazza San Marco, i viali, il cavalcavia, le Cure, le strade in salita contromano risalendo il Mugnone.

La pelle ha memorie che mi sorprendono.

mercoledì 9 marzo 2011

a me stesso


Se sei pronto a lasciare il padre e la madre, e il fratello e la sorella, e la moglie e il figlio e gli amici, e a non rivederli mai più; se hai pagato i tuoi debiti, e fatto testamento, se hai sistemato i tuoi affari, e se sei un uomo libero, allora sei pronto a metterti in cammino.

Vivere molto all’aperto, nel sole e nel vento, può senza dubbio produrre una certa ruvidezza di carattere, può far crescere uno strato di pelle più spessa non solo sul viso e sulle mani, ma anche su alcune delle qualità più squisite della nostra natura.

Vorrei, nei miei vagabondaggi, far ritorno a me stesso.

Da alcune colline appaiono in lontananza le dimore dell’uomo e la sua civiltà. […] mi rallegra vedere quanto poco spazio occupino nel paesaggio.

La natura possiede, io ritengo, un magnetismo sottile in grado di guidarci nella giusta direzione, se a esso ci abbandoniamo.

Il mio desiderio di conoscere è discontinuo, ma il desiderio di rigenerare la mente in atmosfere sconosciute, esplorando zone non ancora percorse dalle mie gambe, è perenne e costante.

Mentre quasi tutti gli uomini si sentono spinti verso la società, pochi sono fortemente attratti dalla Natura.

Walking, Henry David Thoreau

lunedì 7 marzo 2011

inutile


“Perché vedi, io sarò fucilato, ma morire non è un dispiacere. Diventare inutile, quello sì è un dispiacere. Ti dà come una disperazione”. Nguyen Van Sam

Oriana Fallaci, Niente e così sia

involtino domenicale


Poi ci sono le scorpacciate di vita. Quelle in cui i pensieri si inseguono uno dopo l’altro tracciando gli eventi, interpretando le situazioni, comprendendo, svilendo, derubando di senso la realtà. Sono giorni densi, carichi di novità e adrenalina. Quei giorni in cui l’odio non riesce a uscire se non in una strana forma, dolce e sorridente. Quei giorni che cominciano con non curanza, passano dalla repulsione, alla patetica comprensione, al desiderio di fuggire. Si annegano nella farsa e nell’alcol, gioiscono del cupolone visto di lontano, del cielo meraviglioso e degli ulivi, di parole leggere e cibo abbondante, di falsipiani sul panorama, di due occhi nuovi, di un’idiozia ritrovata, dei chili persi e ritrovati, del circo ed i suoi sogni fumosi. Di onestà innocenti che desideravi ancora.

Ci sono quei giorni che a srotolarli ne faresti un blog intero. E i post avrebbero il potere contundente dell’essere vivo. E ti fan pensare che, in fondo, è per questo che sei fatto.

domenica 27 febbraio 2011

la cura


Sarò forse ripetitivo, ma in questo caso ci vuole. La vita con la vita si cura. Non c’è altro mezzo.

La solitudine, l’eremitaggio, il castigo, la frugalità, la sofferenza, la creazione, l’ordine. Tutto questo serve ad accrescere in noi il senso di noi stessi, a dare un dominio al nostro essere infiniti.

Ma il nostro vivere, il nostro stare in questo mondo, lo si addestra solamente vivendo. E niente più.

Grazie Lomps.

venerdì 18 febbraio 2011

il vuoto con il mondo intorno


Il succo poi è questo. Un vuoto arginato da una cornice. Non c’è molto di più.

Una finestra è l’emblema della casa. Un confine che argina lo spazio, quasi che fosse questo, lo spazio, a sorreggere la materialità dei suoi confini. Paradossale, no? Ciò che definisce la casa è il suo essere vuota all’interno, chè altrimenti non ci sarebbe possibilità di movimento, di vita, al suo interno. E, quindi, non ci sarebbe casa. Come se la separazione di un vuoto dal resto del vuoto lo definisse in maniera differente.

Non vedi come, in fondo, tutti noi siamo finestre? Cornici di varia foggia e grandezza, ma tutte determinate dal paesaggio che racchiudono dentro. È una questione di prospettive. Per conoscere una finestra spesso bisogna conoscere ciò che essa cela, da cui ci divide.

martedì 8 febbraio 2011

tu vida en 65 minutos


Siempre que pierdo algo me doy cuenta de cuanto lo necesito

[...]
¿Algunas veces os habeis sentido tan felices ... tan tan felices ... que habeis pensado que jamás os sentirais tan felices? Vuestra vida ha llegado a una perfeccion tal que quizás no vale la pena buscar más.

domenica 6 febbraio 2011

walden, ovvero la vita nei boschi - H.D.Thoreau


È duro avere un sorvegliante sudista; ancora più duro averne uno nordista; peggio di tutto, però, è essere negrieri di se stessi.

[…] L’opinione pubblica è un tiranno assai debole, paragonata alla nostra opinione personale.

[…] La maggioranza degli uomini vive in quieta disperazione. Ciò che si chiama rassegnazione è disperazione rafforzata.


Molti lussi e molte delle cosiddette comodità della vita sono non solo inutili ma addirittura effettivi intralci alla elevazione morale dell’uomo. Per quanto riguarda lussi e comodità, i più saggi hanno sempre condotto una vita più semplice e grama di quella dei poveri.

[…] Nessuno può osservare la vita umana con maggior saggezza e imparzialità che da quella posizione vantaggiosa offerta da una povertà che noi definiremmo scelta volontariamente.


Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno.

[…] “Sono monarca di tutto ciò che osservo \ e nessuno contesta il mio diritto”

[…] Che differenza c’è tra l’essere relegato in un podere o in una prigione di contea?


Trovo salutare restare solo per la maggior parte del tempo. Essere in compagnia, anche dei migliori, provoca subito noie e dispersioni. Amo restar solo.

[…] Per la maggior parte, noi siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra. Un uomo che pensi o lavori è sempre solo.

[…] Di solito la compagnia è troppo da poco. C’incontriamo a intervalli molto brevi, non avendo avuto il tempo di acquistare qualsiasi nuovo valore reciproco. C’incontriamo ai pasti tre volte al giorno, e reciprocamente offriamo un nuovo assaggio di quel vecchio formaggio ammuffito che siamo.


Fa sì che il guadagnarsi da vivere non sia un mestiere ma un divertimento. Godi della terra, senza però possederla.


Credo che ogni uomo che sia sempre stato sincero nel conservare nelle migliori condizioni le proprie più alte e poetiche facoltà, sia stato particolarmente incline ad astenersi dal cibo animale e da molto cibo di qualsiasi genere.

venerdì 4 febbraio 2011

l'altalena


In fondo non si riduce che a questo, il problema.

Non essere abbastanza intelligente per rispondere alle domande che sorgono dentro, e non essere abbastanza stupido per ignorarle.

L’inquietudine, compagna fedele di ogni ora, non è altro.

mercoledì 2 febbraio 2011

nebbie


Corro. Qui a China Town è capodanno, ma non se ne accorge nessuno.

Mi lascio scorrere i padiglioni industriali a lato infilandomi nella nebbia, senz’altra direzione che il “più fuori possibile”. Ed è passando di qui, tra edifici delle nuove periferie, padiglioni industriali e strade senza vita, che mi si chiarisce l’affetto che provo per questi posti. Mondo ai confini tra selvatico ed addomesticato, tra costruito e naturale. Luoghi dove l’imprevisto è ancora la norma, dove l’ordine deve essere labile per sopravvivere. Dove il tempo passa ancora sugli oggetti ed i suoi solchi sono memoria del passato.

Un mondo di degrado, di assenza di socialità, di povertà. Dove l’uomo può ancora essere bestia tra bestie, anello elevato di una catena millenaria.

È la sintonia con il mio mondo interiore. Con lo scuro della mia anima macchiata di fondi di caffè.

mercoledì 26 gennaio 2011

orizzonti


Non me l’aspettavo.

In fondo è bastato poco. È bastato un video su Baggio. Su come abbia lottato, sofferto, vinto e perso. I viaggi in Argentina. Ma soprattutto i suoi occhi mentre parlava del futuro. E d’improvviso quel che mi circonda mi appare, ancora una volta, come il vestito di qualcun altro. Una macro su un panorama.

La stanza si fa stretta, sciatte le pareti, buttate le ore, sprecato il sonno. Il tempo subìto. Mi mancano gli orizzonti ampi, l’aria libera, il sole e la pioggia. Mi manca il desiderio di contatto con gli altri. L’avventura a portata di mano, il sorriso involontario, il non aver nulla da difendere.

E tutto questo solo per aver sbirciato la vita (romanzata) di una stella.