mercoledì 24 dicembre 2008

c'è crisi

I hope you've been good, guys, because this year Santa brings gifts really STRANGE...
Espero que hayas sido bueno, porqué este año Papa Noel lleva regalos RAROS...

giovedì 11 dicembre 2008

dal mio muretto


Ci sono giorni in cui pensi che qualcuno stia bombardando la tua vita. Non perché la tua, precisamente, stia andando a pezzi, ma perché a farlo sono quelle dei tuoi amici. E li vedi crollare, lì intorno a te.
Oggi era uno di quei giorni.
Buum!
Uno dopo l’altro, notizie dal fronte che arrivano tramite telefono o msn.
I caduti oggi sono stati numerosi, comandante.
Mi domando se sono io che porto sfiga.
E allora mi appoggio al mio muretto, prendo fiato, e raccolgo i pezzetti.

tropa de elite


A volte la guerra è la condizione naturale su cui si adagia la vita di molte persone. Un equilibrio scritto col sangue di molti. Un film crudo, duro e spietato, su una realtà dove armi, violenza e droga sono la quotidianità, e l’onestà un rischio assicurato. La corruzione non è che il tentativo di salvarsi da una morte certa.

sabato 6 dicembre 2008

il segno dei pesci


Stavo in piedi, a prua del traghetto, col mio zainetto della Seven ben allacciato sulla schiena. Guardavo davanti a me, con gli occhi ancora pieni di sonno, e non riuscivo a crederci. La Laguna. La famosissima Laguna. Dov’era finita?
Intorno non vedevo altro che densa e lattiginosa nebbia. Non era possibile. Ci eravamo svegliati presto per andare a visitare la magnifica città di Venezia, e cosa troviamo al suo posto? Una città di sfuocate sagome biancastre. Una profonda delusione stava avendo il sopravvento su di me.
Senza rendermene conto qualcosa di questa rabbia triste mi dovette uscire dalle labbra perché un amico, che mi avrebbe accompagnato poi per lunghi anni, mi disse: la nebbia fa parte di Venezia. È parte del suo clima, della sua atmosfera, del suo mito.
Era una gran scusa di merda, questo era chiaro. Ero un bambino, e volevo vedere la città sotto il sole, il resto non importava. Eppure era vera. Quel giorno mi si sbloccò qualcosa dentro, e non solo perché cominciai ad afferrare il fascino di uno degli altri volti di questa città evanescente e misteriosa, romantica e immaginaria.
Intuii che non solo quello che entra in una macchina fotografica vale la pena di essere vissuto. Ciò che non è come desideriamo non necessariamente costituisce una delusione. Il valore delle cose molte volte è una questione di prospettiva. Basta cambiare leggermente l’angolo di vista, e ciò che era assurdo diviene affascinante. Gli si può dare poi un nome di città o di donna. Ma il trucco resta lo stesso. Trovare la prospettiva giusta. E allora vedremo pesci librarsi nel cielo.

(Stasera la nebbia ha preso possesso della città. Nasconde le case dietro agli scheletri umidi degli alberi, le macchine dentro due bolle anabbaglianti. E questa notte, la città, mi sembra finalmente bella.)

venerdì 5 dicembre 2008

c'è chi sale


È sempre facile quando le fatiche sono quelle degli altri. Quando sei lì a guardare qualcuno salire le sue scale, per arrivare in cima. Perché puoi credere in lui, sperare nella sua riuscita, ma poi in fondo tu te ne resti al caldo e tranquillo, perché non è tuo il rischio di cadere.
Pensare che i vari passi altrui siano semplici solo perché già fatti, o per stima nei confronti di chi li deve affrontare. Dare per scontato un successo, restar delusi da una caduta.
L’ironia ha descritto in vari modi il nostro modo di comportarci. Armiamoci e partite. Sono tutti froci col culo degli altri. Ma al di là delle parole resta che ognuno ha le sue salite, e per ognuno i propri gradini sono faticosi. Che lo dimostri, poi, è un altro paio di maniche.

martedì 2 dicembre 2008

orario invernale


Il treno scorre imperturbabile, scrivendo la sua linea liscia nella notte. Lascio la grandine ed i fulmini fuori e attraverso incosciente l’Appennino. La musica elettronica fluisce nelle mie orecchie e annulla il tempo, confonde lo spazio, disegnandolo coi suoi ritmi onirici. In un mondo orfano dei suoi suoni nulla entra in contatto col mio mondo interiore, riducendosi ad un teatro muto e senza sipario.
Nella piccola stazione di cambio, nella notte, l’unica cosa che si muove è il vento sui binari e su di me. Sono solo, confortato dal silenzioso freddo. Penso che arriverò tardi a destinazione, e sicuramente avrò fame. Allora prendo il telefono e chiamo.
È bello sapere che, in qualsiasi delle tante città che sono casa vostra, e quindi casa mia, a qualsiasi ora e giorno, posso contare su qualcuno che mi accolga, mi venga a raccattare in stazione e mi faccia compagnia davanti ad una cena di mezzanotte. Che ci sia qualcuno a dare ordine a questo treno senza orario.

domenica 23 novembre 2008

traumatologia

Bueno. Para quien se entere un poquito del Español aquì teneis un pequeño cortometraje muy interesante, como nos suguieren desde un piso de Madrid.
Anda con las palomitas.

ver el cortometraje

sabato 22 novembre 2008

il paradiso


Il paradiso tu vivrai
se tu scopri quel che hai,
non ti accorgi che
io amo già te

La vita e' così
tu quando non hai
vuoi avere di più
e dopo che hai
ti accorgi che tu
fermarti non puoi
e vuoi quel che vuoi

La vita e' cosi,
tu adesso mi vuoi
soltanto perché
non cerco di te
ma io che lo so
ne soffro però ti dico di no

Il paradiso tu vivrai
se tu scopri quel che hai
,
non ti accorgi che
io amo già te

ascolta la canzone
(Battisti - Mogol)

giovedì 20 novembre 2008

fuffas


E anche quest’anno c’è stata la Biennale.
Guardo i Giardini all’uscita e penso a come molto di quello che ho visto motivi la fama di ciarlatani che hanno gli architetti nel mondo. Fumo negli occhi. Insomma, la giustificazione all’esistenza di un personaggio come Fuffas.
Quel che mi porto a casa non sono le pur belle architetture in cartone, o la provocatoria Singletown (la cosa migliore che ho visto. Su tutti la tendina con le sagome disegnate,che fa sembrare che in casa ci sia qualcuno, e la gonna che si gonfia e ci circonda, per isolarsi dal mondo).
Bensì una mandria spersa e sudata di persone che inspiegabilmente correvano per le strade della città lagunare, con appiccicato sul petto un numero e sul polso una cartina. Sagome che si affannavano a cercare chissà cosa in quel dedalo di vicoli senza criterio. Bambine, ragazze in jeans, anziani, boy scout. Tutti alla caccia di qualcosa nascosto nelle viscere della città più romantica al mondo.
Alla fine abbiamo scoperto essere una gara di orientamento dove i gruppi partivano da diversi punti della città, scaglionati, con diversi percorsi, per trovare nell’ordine gli 8 check-point nascosti. Il tutto immerso nella folla elegante di una domenica mattina di novembre e nell’incoerenza urbanistica di Venezia.
Uno spasso. Avrei voluto proprio partecipare. Una caccia al tesoro nella giungla urbana.
Altro che Biennale.

martedì 18 novembre 2008

apro gli occhi e ti penso


Apro gli occhi e resto di sasso a fissare il buio.
Non pensavo che sarebbe tornata. Ancora sento il sapore del sogno, l’atmosfera intorno a me nel tepore mattutino delle coperte. E non riesco a crederci.
Invece di sparire ritorna, dal subconscio, prepotentemente. Ritorna come un’immagine di un presente possibile che ho rifiutato e cestinato. Come la spensieratezza che era e non sono riuscito a riconoscere se non quand’era tutto finito. Hai sfruttato uno spiraglio, il primo spiraglio di intelligenza che lascio alla mia vita da tanto tempo. E, in sogno, ti ci sei infilata alla grande, con eleganza e dolcezza.
È assurdo come il sapore che ci lascia nella testa un sogno possa turbarci, come l’invenzione segretamente bramata dall’inconscio arrivi a scorticare la normalità della realtà. Come l’impossibile, allora, non sembri più così inaccessibile.
Ed ora che si fa?

lunedì 10 novembre 2008

a nord

Soffio sul the bollente godendomi il vapore che, caldo e profumato, ondeggia sul mio volto. Come piaceva tanto a un mio amico nelle lunghe notti di via Boccaccio, quando la brina velava i vetri e il Mugnone non esisteva più.
Ripenso a ieri sera. Alla nebbia che come latte circondava tutte le cose, le nascondeva e le faceva scomparire. Letteralmente. Non esisteva più mondo. Non c’erano rumori. Non luci. Solo la sfera che circondava il mio corpo, il campo e il traliccio. La civiltà ridotta a una sincope di luci stradali in lontananza, agonizzanti nel candore bianco della notte. Sopra le stelle splendevano fredde.
Ripenso a ieri sera, col mio the in mano e il vapore che prova a scaldarmi. Guardo fuori e vedo il nord.
Sento il freddo e penso che forse mi potrebbe anche piacere. Sì. Mi potrebbe anche piacere.

domenica 2 novembre 2008

se sia questo


E poi ti guardi, e scopri che in realtà, tutto questo, ti piace.
Guardi la notte, sopra di te, e il buio. E pensi che, in fondo, era ora che arrivasse. Guardi il vento diventare freddo sul tuo viso e passare attraverso il tuo giacchetto leggero. Guardi la nebbia alzarsi e radunarsi intorno ai lampioni accesi.
E ti accorgi che ti piace.

È proprio allora che ti domandi se sia questo, crescere.

domenica 12 ottobre 2008

la vita in stereo


Anni fa scoprirono che il terreno aveva delle capacità non infinite. Che le colture lo privavano delle sostanze nutritive impoverendolo progressivamente. Era un problema. Perché della terra l’uomo viveva.
Qualcuno allora pensò che forse il terreno aveva bisogno di riposo. E inventarono il periodo di maggese.
Poi però non sempre funzionava, e allora qualcuno ebbe un’idea. Forse il problema non stava tanto nel farlo riposare, quanto nel non stressarlo succhiandogli sempre le stesse sostanze, nel non sottoporlo sempre ad alimentare gli stessi ortaggi, nell’evitare la monocoltura insomma. E così inventarono la rotazione delle colture.

Ieri sono stato costretto ad uscire dall’area del mio monitor e un pensiero mi ha fulminato.
Ero stressato, denutrito, oberato. E mettermi a maggese non risolveva più di tanto le cose. Continuavo ad essere privo di entusiasmo e stimoli. Qualcuno però mi ha costretto a uscire, a cambiare aria, a passare dalla mia cultura ad un’altra, ad una rotazione.
Stamattina sorrido, contento e rifocillato nell’animo. Perché l’uomo monocoltura è destinato alla tristezza, all’angoscia di una vita dalle prospettive claustrofobiche. La rotazione richiede abilità e lavoro, certo, ma i vantaggi sono indiscutibili ed evidenti.

È come ascoltare da un orecchio solo, per concentrarsi meglio. E poi scoprire che la vita, invece, è in stereo.

mercoledì 8 ottobre 2008

mezzelune


Continuiamo ad oscillare, come mezzelune nella notti chiare.
Inseguire le nostre ambizioni. Volere fortemente e lottare. Cercare di conquistare quel che ancora non c’è. Rovinarci la salute, soffrire e vegliare, per vederle crescere, prendere forma. Sacrificare riposo e, spesso, umanità. Superare i limiti dei nostri talenti con l’ostinazione della nostra ambizione.
Oppure scegliere di non tribolare, e godersi quello che abbiamo. Abbassare la soglia fino a che ogni cosa diventa un piccolo mondo, che ci culla, un piccolo gesto. Eliminare gli slanci, ridimensionare le nostre paure. Vivere sociale, legato a piccoli riti e routine. E in essi trovare gioia.
Tra desiderare forte e vivere senza riposo o adattarsi e dormire la notte.
Tra costruire cattedrali o vivere le nostre case.

domenica 5 ottobre 2008

solitudini disperse


Mi siedo appoggiandomi con una mano sulla gamba sinistra.
Questo dannato ginocchio non ne vuole sapere di girare. Mi sfrego la cavità alla sinistra della rotula e sento un formicolio risalirmi su per la coscia. Il mio respiro pian piano riprende un ritmo normale mentre con lo sguardo osservo il mare. Piccoli gruppi di esseri umani stanno passeggiando sulla battigia, come animali in migrazione che approfittino dell’ultimo sole. Lascio che mi cali addosso il silenzio, con nelle orecchie il suono del mare e di qualche chiacchiera errante.
Non guardo nulla in particolare. Lascio che i miei occhi navighino intorno, scorrendo sull’orizzonte tagliato dalle vele e sulle impronte dei gabbiani sulla sabbia, sui relitti invernali dei pattìni e sul promontorio di Gabicce.
Un uomo con un maglione a quadri scozzesi si stira nel sole, con le braccia dietro la nuca. Si aggira per la spiaggia come sperso. Vagola in qua e in là, con quella camminata un po’ comica di chi procede coi piedi a papera, con le punte in fuori, molleggiando leggermente sulle ginocchia.
Giocherello con la chiave che ho in mano, con l’anello a spirale infilato nel dito medio. Lo faccio scorrere e ruotare, sento il metallo strisciarmi nell’incavo delle dita.
Rialzo gli occhi e ritrovo quel maglione a scacchi a pochi metri da me, ancora in quella camminata anatresca. Accenna un saluto da dietro gli occhiali da sole, cui rispondo con un cenno del capo, tornando immediatamente a guardare la chiave che ho in mano, come se fosse il nocciolo di un grave problema. Non ho voglia di parlare, non voglio nessuno che mi costringa a rompere questa bolla di nulla che mi circonda. Voglio restare qui, a farmi passare il vento tra le orecchie ed il mare negli occhi. Spero che se ne vada. Spero ...
- Sei di qua? – sento arrivare timido da quel corpo.
- Sì.
Cerco di chiudere la comunicazione prima che inizi. Gli rispondo e torno a guardare la chiave.
- Non c’è nessuno oggi…
- Già.
Non è vero. La battigia è piena di gente.
Poi mi scopro. Non so bene perché. Forse perché non è una minaccia, forse perché se ne sta lì, impacciato in mezzo alla spiaggia, estraneo come se non sapesse dove collocarsi, come se non sapesse dominare la sua presenza nello spazio.
Lo guardo. E gli dico:
- E lei è di qua?
- Sì, beh, Bellariva. Però ho l’albergo a Riccione. Quando posso vengo qua.
- Oggi le va bene. C’è un gran sole.
- Sì, si sta proprio bene.
Penso a come desideravo fino a poco prima di svegliarmi e vedere il diluvio. Un tempo grigio e autunnale. Di come avrei voluto correre in riva, col vento carico di sabbia e sale a rasparmi il viso e il k-way. Con l’acqua a lavarmi i pensieri da sopra e il cuore dal mare. E invece eccolo qua, un sole che a settembre si era scordato di uscire ed ora si affretta a recuperare scaldando gli animi.
Lo guardo.
La faccia e la voce sono giovani, eppure i capelli sono brizzolati ai lati, segno indelebile delle preoccupazioni sotterranee che devono averlo portato fin qui. Nonostante gli anni ed il lavoro quest’uomo, indubbiamente solo, è una preda indiscutibile della vita. Lei lo trascina dove vuole e lui, sbandando, la segue, con quel passo da papera maldestra.
Mi fa pena.
Mi guardo intorno. A parte le mandrie migratrici che socializzano a riva, osservo verso le cabine e scopro che siamo tanti. Seduti sulle pile di mattonelle, appoggiati ai pali, alle staccionate. Siamo tanti pois, solitudini espanse e distribuite.
Mi guarda, attraverso quegli occhiali da sole con il cordellino che penzola dalle aste.
- Vieni qui di solito?
Eccolo. Sembra quasi una confessione. Quella frase risuona dentro di me come l'ammissione di una sconfitta. Come se dicesse: anche tu non trovi altra soluzione che portare le tue pene in riva al mare, eh? E suona doloroso.
Cosa porta un uomo a cercare nel sole di una domenica mattina di ottobre conforto nelle parole di uno sconosciuto di una generazione più piccolo di lui? Ad esporre la sua inettitudine nei confronti della vita, a prostrarsi senza timore di fronte ai silenzi di chi può regalargli solo qualche attimo di futili parole?
Che tristezza mi mette addosso quest’uomo. Non la sua solitudine. C’è una dignità enorme nell’essere soli, nel fronteggiare il futuro con la testa alta. Mi mette tristezza perché si sente solo, escluso. Escluso dalla possibilità di trovare qualcosa. Dalle sue parole emerge un’esistenza che ha prosciugato le sue ambizioni di felicità. Famiglia o non famiglia, la domenica mattina si alza presto per vagare sulla spiaggia, aggirandosi trai relitti dei mosconi. E non gli provoca nessun piacere, se non quello di non vedere passare i minuti sulle quattro pareti che descrivono la sua dimora.
- Vieni qui di solito?
- Non c’è un di solito. Sono venuto a correre perché avevo bisogno di scaricarmi. Anzi, è ora che ritorni.
Non riesco a resistere. Mi alzo appoggiandomi con una mano sul ginocchio sinistro. Gli passo di fianco dirigendomi verso il mare.
- Buona giornata.

domenica 28 settembre 2008

lars e una ragazza tutta sua


Un film delicato e toccante su come, a volte, i desideri siano così forti da cambiare il nostro modo di vedere la realtà.

sabato 27 settembre 2008

invece di andare a teatro


C’è una cosa che voglio dire.
Ed è che a volte siamo proprio ostinati. Pensiamo il futuro e lo incastriamo. Osserviamo la situazione, analizziamo i dati e ipotizziamo dove porteranno. Meglio. Decidiamo dove porteranno. Siamo così incredibilmente testardi che non importa se le situazioni cambiano, i dati variano e il presente ci smentisce. Non importa. Ormai abbiamo deciso e così sarà. Come una fatalità.
Come quando decidiamo (decidiamo) lucidamente di abbandonare qualcuno, stabiliamo che non è possibile nessuna reale amicizia là dove siamo, imponiamo che questo non sia il nostro posto, aspettando un altrove. Non ci accorgiamo neppure che facciamo di tutto per far sì che tutto vada nella direzione della nostra ipotesi-decisione. Non pensiamo che se solo agissimo con più fiducia, lasciando per lo meno spazio all’imprevisto, smettendo di remare costantemente contro … non ci pensiamo. Perché abbiamo deciso che sarà così, e così sarà. Perché abbiamo bisogno di dimostrarci che il nostro star male dipende dalle condizioni e non da noi. Perché riversare sull’intorno un’incapacità a ricercare ciò che desideriamo ci fa sentire meno sbagliati.
E allora continuiamo così. A dimostrare con il nostro malessere la veridicità del nostro verdetto. Con la nostra mancata felicità la nostra diversità.
Continuiamo ad autopunirci, a evitare il confronto con ciò che sembra impedirci di stare bene.
Continuiamo a stare di fronte a ‘sto cazzo di monitor, questa sera, invece che andare a teatro.

venerdì 26 settembre 2008

il mondo a distanza monitor


Alzo gli occhi roventi dal monitor e li appoggio sulla finestra. Fatico perfino a mettere a fuoco cosa c’è oltre il balcone, a una distanza che non sia quella di un 15 pollici. A quanto pare fuori è arrivata un’altra stagione.
Rinchiuso e recluso nella mia cella personale, come un monaco o un carcerato, non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho messo il naso fuori da questa casa. Il sole fa il suo mestiere, là fuori, facendo girare i fogli sul calendario. Sulla mia scrivania la luce da tavolo rende eterno il tempo del lavoro, come un perenne flusso di impegno. Sono riuscito ad azzerare le funzioni vitali, biologiche e sociali. La sensazione di stanchezza e di fame, di freddo e di socialità.
È incredibile come la decisione (e una buona dose di incoscienza di sé o miopia) riesca a cambiare quello che sembra indispensabile, come il cervello riesca a disporre del fisico, delle sue necessità e desideri.
Ti fa sentire quasi onnipotente, il poter disporre della macchina del tuo corpo fino ai suoi limiti estremi. E, volendo, anche un po’ più in là.


Finchè non crolla. Il cervello o il fisico.

sabato 20 settembre 2008

che non è giusto


D’accordo. So che non è giusto.
So che l’ho rinnegata. L’ho rinnegata e la rinnego, tutt’ora, con forza.
La sto lasciando, con rabbia e sdegno, non degnandola neppure di uno sguardo.
Eppure so che mi mancherà.
So che mi mancherà il casino che tanto odio. La confusione che trasforma un’ora morta in una goccia di stranezza. L’entropia che regna sovrana e che porta sempre novità e volti imprevisti. Le notti e i giorni che si susseguono con un calendario imprevedibile, incalcolabile.
È strano dare l’addio ad una cosa che si abbandona con cattiveria.
Ma ancora più strano è darle un secondo e imprevisto addio. Mesi dopo.
È come se tutto ciò che di minimamente buono c’era, in questa casa, fosse sbocciato, nella mia testa ed ora stesse fiorendo qui, davanti ai miei occhi. Come se quel che non sopporto fosse finito in fondo, e quasi non contasse più.

domenica 14 settembre 2008

respira


Abbasso gli occhi e premo il pulsante con le righe sulla plancia. Una leggera patina si sta formando sul parabrezza, avvolgendo il mondo in un crepitare di paiettes di luce colorata, mentre sull’asfalto lucido si legge distintamente un pensiero. L’estate è finita.
Le macchine camminano piano. Nessuno ha fretta in questa serata domenicale, e nessuno probabilmente ha una meta precisa. Questa notte è fatta solo per andare, lasciarsi trasportare e vedere il mondo passare. È fatta per viaggiare, farsi passare addosso il tempo e lo spazio, farsi passare i pensieri silenziosi come un mondo sotto la tempesta. Qualcuno cammina sotto la pioggia fina, spaesato e inutile. Rimini questa notte è una giostra ferma. È un mondiale cui la nostra nazionale non partecipa.
Chiudo la macchina e mi incammino lungo la banchina. Il mare è alto e le onde lambiscono il bordo del molo, schiaffeggiando i pali di sostegno, sbuffando e gorgogliando. Sopra il cielo è scomparso, liquefatto in una nebbiolina di luce. Il molo si incammina con me verso il cuore di quell’immensità oscura, di quella massa che questa notte sento respirare, sento gonfiare i polmoni, alzare ed abbassare la superficie come stesse caricandosi. Davanti a me gli spruzzi scavalcano il parapetto in cemento e si riversano sul molo. Esplodono, crepitano, scrosciano a terra. L’aria è satura di piccole goccioline, sospese nella luce dei lampioni che mi illuminano. Le onde più grosse esplodono da sotto il molo, attraverso le grate, in geyser di rabbia accompagnate dal fischio dell’aria che soffia nei tombini. Appoggio una mano sui fori della piastra metallica e lo sento. Forte, potente e incredibilmente vivo. Aspira l’aria, con ingordigia, e poi la sputa fuori prepotentemente. Dalle crepe del cemento l’acqua risorge spruzzando verso l’alto.
Verso la fine del molo ci sono due pescatori. Sotto il loro mantello cerato guardano le canne appoggiate ai parapetti e aspettano. Guardano le onde ingrossarsi e ruggirgli fin sotto i piedi.
Con un libro in mano ascolto il ticchettare rapido e leggero della pioggia sul tendone. Il mondo entra solo attraverso la voce della televisione, e racconta di un Valentino che corre, sperando che la pioggia non lo fermi. Osservo i proprietari che, tranquilli, non si curano dello spettacolo che si riversa fuori.

il torrone no(rd)


È vero. A volte è proprio dura da masticare questa vita.
Mentre punto la macchina verso sud penso che non voglio andare a dormire. Che voglio fare tardi. Si, questa notte voglio proprio fare tardi. Qualsiasi scusa è buona pur di non tornare presto a stendersi su quel letto che ormai sento sofferente. Vorrei prendere le rotonde su due ruote, penso mentre alzo il volume dell’autoradio. L’adrenalina mi sale alla testa e vorrei tanto che ci fosse il crucco, lui sì che saprebbe come risollevare le sorti di questa serata.
Vorrei tornare a casa che il sole è già alto, con il freddo del mattino autunnale nelle membra. Strappare la correttezza di questa serata e travolgerla fino a che il mondo, quello che ogni giorno ricomincia, riapra gli occhi. E allora, solo allora, dargli il cambio, e andare a letto senza salutare. Guardare gli occhi nello specchio e vederli rossi e crepati. Affogare il sonno nel cuscino.
In questi momenti la violenza su se stessi è un palliativo perfetto. Sentire di starsi facendo del male è confortante, produce una sorta di coscienza del nostro esserci, e del nostro essere carne e pensiero, umani. Come se il dolore potesse renderci più vicini al cuore delle cose e di noi stessi. Che poi, domani, quando conteremo le cicatrici un sorriso di soddisfazione taglierà la nostra espressione sconsolata.

martedì 2 settembre 2008

il torrione nord


Fuori c'è ancora l'aria dell'estate.
Ci sono le voci dei bambini nella notte, i rumori delle case che se ne escono dalle finestre aperte, i vestiti che lasciano nudo il tuo corpo. Nella tana del divertimento, nella capitale dello sballo estivo, nella giostra delle ore notturne, non sono le luci stroboscopiche a togliermi il sonno, ma il baluginare di una piccola abadjour da tavolo.
Già. Perchè questa estate è stata diversa dal solito.

E' stata molto diversa da come me l'aspettavo.
E ancora l'amaro non se n'è andato del tutto.

Ci sono momenti in cui i nostri castelli crollano. Come dice Baricco, non sai perchè, ma un bel giorno, come se l'avesse deciso molto tempo prima, come se un giorno si fosse messo lì, a stabilirlo, giorno e ora, un giorno il quadro cade. Così, allo stesso modo, le fortezze crollano.
Sei ancora lì che stai finendo di costruire il torrione nord, respirando la brezza serale, con negli occhi l'orgoglio per il tuo castello, quando ti accorgi che le mura stanno crollando.
Franando.

Sono colpi.
Ma a volte c'è di peggio.

Stai pascolando tranquillamente le tue pecore, seduto all'ombra di una grande magnolia con un filo d'erba trai denti. Ogni tanto fai volare qualche soffione nell'aria, dai un nome alle nuvole, racconti storie al tuo gregge. E non pensi d'essere contento. Non ti passa neppure per la testa di fartela questa domanda. Semplicemente lo sei.
Mentre sei lì, col tuo soffione che impollina il vento, arriva una contadina. Porta i capelli raccolti sulla testa e veste semplici abiti contadini. Si siede accanto a te e ti dice: Ti ho portato il pranzo. Colpito da tanta gratuità fai accomodare la ragazza e cominciate a mangiare. E, inconsciamente, le apri la prima porta. Il pranzo continua con vino, carne, dolci. Le parole si susseguono senza sforzo, fluide e attraenti. E le tue porte continuano ad aprirsi, una dopo l'altra. Cominci a pensare che non vorresti che se ne andasse. Ma proprio mentre questo pensiero prende forma dentro di te lei si alza, raccoglie la tovaglia con gli avanzi e ti dice: Ti aspetto questa sera al castello.
Il castello? Oh mio Dio, il castello! Non ci posso credere...
Mai avevi pensato di poter entrare dentro al castello e invece... e invece questa sera sei stato invitato alla festa del castello!
Con le interiora in rivolta ti prepari, selli il tuo somaro, lavi i tuoi piedi nel ruscello, metti la camicia che una volta era del nonno. Man mano che ti avvicini senti l'emozione salire e la testa riempirtisi di immagini. In realtà non sai nemmeno bene cosa aspettarti, visto che a castello non ci sei mai stato, ma sai che sarà meraviglioso.
Ecco.
Mentre sei lì, con un cuore che sta imparando a palpitare, con nella testa desideri che non erano tuoi, con nelle mani un'energia che non speravi e tra le ascelle una grande commozione, ecco che lo vedi. Vedi il muratore, lassù, sulla torre nord, sgranare gli occhi mentre ancora tiene in mano una grossa pietra sbozzata. Ti stai avvicinando e le vedi, di lontano. Le mura. Franare.

Non so se riuscite ad immaginarvi.
Non so se si riesce a intuire la violenza della delusione di desideri nuovi e non nostri.

Eppure.
Eppure quest'aria mi conforta questa sera. Mi fa pensare agli occhi devastati di un giovane allevatore di pecore. Mi fa pensare allo sconforto di un vecchio muratore.
Sì. Perchè i castelli crollano.
Passerà il tempo e il muratore sarà nuovamente lì, sul torrione est questa volta, a alzarlo nuovamente verso il cielo. Perchè? Forse perchè è un muratore, ed è per questo che è nato. O forse perchè chi sta sulle mura ancora non ha perso la speranza di poter risorgere dai suoi crolli.
Lasciare spazio allo sconforto, ma poi ricominciare a costruire.
L'importante è non smettere di crederci.

l'uomo che fu giovedì - g k chesterton


-Ecco là il vostro ordine prezioso, quel debole lampione di ferro, brutto e disadorno: ed ecco qui l'anarchia, ricca, vivente, capace di riprosursi, ecco l'anarchia splendente d'oro e di verde.
-Comunque - rispose pazientemente Syme - proprio in questo momento voi vedete l'albero soltanto in grazia della luce del fanale. Io mi domando quando mai potreste vedere il fanale alla luce dell'albero.

venerdì 29 agosto 2008

castelli di rabbia - alessandro baricco


- Sai una cosa Dann?, alla fine quanto tutto sarà finito non ci sarà nessuno da queste parti che avrà messo insieme tante puttanate come te.
- Non finirà niente, Andresson.
- Oh sì che finirà … e tu te ne starai lì, con una sfilza di errori addosso che nemmeno te l’immagini …
- Cosa dici, Andersson?
- Dico … vorrei dirti … non smetterla mai. […]
Tu non sei come gli altri, Dann, tu fai delle cose, tante cose, e ne immagini ancora della altre ed è come se non ti bastasse una vita sola per farcele stare tutte. Io non so … a me la vita sembrava già così difficile … sembrava già un’impresa viverla e basta. Ma tu … tu sembra che devi vincerla, la vita, come se fosse una sfida … sembra che devi stravincerla … una cosa del genere. Una roba strana. E' un po’ come fare tante bocce di cristallo … e grandi … prima o poi te ne scoppia qualcuna … e a te chissà quante te ne sono già scoppiate, e quante te ne scoppieranno ……. Però … […]
Però quando la gente ti dirà che hai sbagliato … e avrai errori dappertutto dietro la schiena, fottitene. Ricordatene. Devi fottertene. Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto erano solo vita … non sono quelli gli errori … quella è vita … e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si spacca ……. io questo l’ho capito, che il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro …. le sue piccole tristi biglie infrangibili …. e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo … sono belle, a me è piaciuto guardarle, per tutto il tempo che ti sono stato vicino … ci si vede dentro tanta di quella roba … è una cosa che ti mette l’allegria addosso … non smetterla mai … e se un giorno scoppieranno anche quella sarà vita, a modo suo … meravigliosa vita.

domenica 17 agosto 2008

attese




Non pensavo che sarebbe potuto succedere. Almeno non a me.
Pensavo che gli anni passati avessero reso sufficientemente dura la mia corteccia, e che le tempeste non potessero più minacciare il mio solido tronco.
Pensavo che un leggero strato di cinismo e una spolverata di cazzi miei (scusate l’espressione) mi tenessero al riparo da cataclismi morali e disequilibri esistenziali.
Beh. A quanto pare, come al solito, non ci ho preso.
Immagino che tutti conoscano il logorio dell’attesa. Quell’inedia che pervade le ore morte, ci fa languire nel letto, gli occhi che non aspettano altro che il ritorno di un’altra notte. Il telefono che non squilla e il postino che non arriva mai. I lunghi istanti passati a guardare il vuoto, a sentire il vuoto. A respirare la nostalgia.
Eppure mi domando: come ci si può ridurre così, per una storia che era evidente in anticipo che non avrebbe portato a nulla? È indiscutibile che la condivisione sia la base per un’esperienza potente, ma può bastare per soppiantare quell’irrazionale che corre sotto pelle e che ci fa vibrare senza motivo? Può l’esigenza animale di condivisione rimpiazzare quella umana di amore?

E intanto aspetto qui. A questa fermata che hanno soppresso da chissà quanto..

sabato 16 agosto 2008

puglia 08







Certe cose si crede di poterle dimenticare. Ignorare, nascondere.
Le seppelliamo sotto ombrelloni, dietro a fritti di pesce. Cerchiamo di non trovarli nelle meraviglie della terra, nelle scale di una notte qualsiasi, nelle luci di un vicolo. Le affoghiamo dentro a scogli che sprofondano nel mare.
Ma poi lo sappiamo bene.
Non si fugge da noi.
Ed il ritorno è sempre agrodolce. È un’attesa di lettere che non arrivano mai.

a te - jovanotti



A te che sei l’unica al mondo
L’unica ragione per arrivare fino in fondo
Ad ogni mio respiro
Quando ti guardo
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente
Tutto si fa chiaro
A te che mi hai trovato
All’ angolo coi pugni chiusi
Con le mie spalle contro il muro
Pronto a difendermi
Con gli occhi bassi
Stavo in fila
Con i disillusi
Tu mi hai raccolto come un gatto
E mi hai portato con te
A te io canto una canzone
Perché non ho altro
Niente di meglio da offrirti
Di tutto quello che ho
Prendi il mio tempo
E la magia
Che con un solo salto
Ci fa volare dentro all’aria
Come bollicine
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita
E ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo
Senza misurarlo
A te che sei il mio amore grande
Ed il mio grande amore
A te che io
Ti ho visto piangere nella mia mano
Fragile che potevo ucciderti
Stringendoti un po’
E poi ti ho visto
Con la forza di un aeroplano
Prendere in mano la tua vita
E trascinarla in salvo
A te che mi hai insegnato i sogni
E l’arte dell’avventura
A te che credi nel coraggio
E anche nella paura
A te che sei la miglior cosa
Che mi sia successa
A te che cambi tutti i giorni
E resti sempre la stessa
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei
Essenzialmente sei
Sostanza dei sogni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che non ti piaci mai
E sei una meraviglia
Le forze della natura si concentrano in te
Che sei una roccia sei una pianta sei un uragano
Sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
A te che sei l’unica amica
Che io posso avere
L’unico amore che vorrei
Se io non ti avessi con me
a te che hai reso la mia vita bella da morire, che riesci a render la fatica un immenso piacere,
a te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più,
a te che hai dato senso al tempo senza misurarlo,
a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore,
a te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei...
e a te che sei, semplicemente sei, compagna dei giorni miei...sostanza dei sogni...

sabato 2 agosto 2008

society - eddie vedder


Oh it's a mystery to me.
We have a greed, with which we have agreed...
and you think you have to want more than you need...
until you have it all, you won't be free.

Society, you're a crazy breed.
I hope you're not lonely, without me.

When you want more than you have, you think you need...
and when you think more then you want, your thoughts begin to bleed.
I think I need to find a bigger place...
cause when you have more than you think, you need more space.

Society, you're a crazy breed.
I hope you're not lonely, without me.
Society, crazy indeed...
I hope you're not lonely, without me.

There's those thinkin' more or less, less is more,
but if less is more, how you keepin' score?
It means for every point you make, your level drops.
Kinda like you're startin' from the top...
and you can't do that.

Society, you're a crazy breed.
I hope you're not lonely, without me.
Society, crazy indeed...
I hope you're not lonely, without me
Society, have mercy on me.
I hope you're not angry, if I disagree.
Society, crazy indeed.
I hope you're not lonely...without me.

Oh, è un mistero per me. Abbiamo un'ingordigia, che abbiamo accettato …e pensi di dover volere più di quanto hai bisogno … fino a che non avrai tutto, non sarai libero.
Società, sei una razza pazzesca. Spero che non ti senta sola, senza di me.
Quando vuoi più di quel che hai, pensi di aver bisogno… e quando pensi più di quel che vuoi, i tuoi pensieri cominciano a sanguinare. Penso di aver bisogno di trovare un posto più grande …perchè quando hai più di quel che pensi, hai bisogno di più spazio.

Società, sei una razza pazzesca. Spero che non ti senta sola, senza di me. Società, veramente pazzesca … Spero che non ti senta sola, senza di me.
C'è chi pensa più o meno che il meno sia, ma se il meno è più, come continuerai a segnare? Significa che per ogni punto che fai il tuo livello scende. Un po' come se stessi incominciando dalla cima …e non puoi farlo.

Società, sei una razza pazzesca. Spero che non ti senta sola, senza di me. Società, realmente pazzesca … Spero che non ti senta sola, senza di me. Società, abbi misericordia di me. Spero che non ti arrabbi, se non sono d'accordo. Società, pazzesca effettivamente. Spero che non ti senta sola … senza di me.


giovedì 31 luglio 2008

raccolte a punti


Persone come trofei. Come giustificazione di una vita.
Persone come bonus di una ideale raccolta a punti. Come se l’averle desse diritto automatico alla dignità di esistere. Come se per il fatto di averle con noi ci sentissimo vicini a qualche premio.
Persone come alibi, acqua sul fuoco del desiderio.

Sembra che la nostra esistenza debba giudicarsi più negli occhi di chi guarda che nella ossa di chi se la porta addosso.

mercoledì 30 luglio 2008

il treno per il dajeeling


- Se stasera scopiamo domani mi sentirò una merda..
- Per me va bene.
Bella l'idea del piccolo cortometraggio iniziale. E, in realtà, è la parte che ho apprezzato di più.

darwin


È incredibile, a volte, come uno riesca a sbagliarsi.
No, non proprio sbagliarsi.
A convincersi, ingannarsi.
Ci deve essere qualche sorta di miopia della vita che affetta i miei occhi, perché altrimenti non capisco. Come, tra tante strade, riesca sempre a scegliere quella che riporta al punto di partenza. Quella che non ha un futuro se non un ritorno all’inizio. All’inizio mi incammino titubante, ma poi osservando quello che ho intorno mi conforto, trovo coraggio ed entusiasmo. Finché .. bim! Lo stesso bivio. Lo stesso incrocio da cui ero partito e nessuna conclusione per ciò che avevo iniziato.
L’incapacità di interpretare i segni della vita mi rendere una specie in via di estinzione, caro Darwin.
Sei stato tu a girare tutti i segnali? Sei tu che ridi, nascosto dietro i cespugli, dei miei goffi tentativi di trovare il sentiero giusto?

martedì 29 luglio 2008

21


Forse è solo perché ero al cinema all’aperto.
Forse perché era realmente la prima volta che andavo da solo a vedere un film al cinema.
O perché di fronte a me stavano seduti 4 amici che sembravano usciti da un film di Ligabue, quella generazione di appenapiùchetrentenni, caratterizzati proprio come fossero personaggi da copione.
O più semplicemente perché a tutti è capitato almeno una volta nella vita di avere la sensazione di potere tutto. Una combinazione di situazioni che giocano a tuo favore e ti fanno sentire di poter trasformare la tua esistenza in qualcosa di mitico. Certo. Sul nostro tavolo non c’erano milioni di $, pestaggi, sballi, balli, alberghi di lusso, Las Vegas e una topona bionda da paura, ma in fondo sono solo dettagli. La sensazione di poter trasformare la vita con le proprie forze è qualcosa di eroico, e tutti sappiamo che dentro il nostro piccolo-anatroccolo-nerd si nasconde un gran giocatore d’azzardo. Con più di un asso nella manica.
Insomma, qualunque sia il motivo, mi è piaciuto e mi ha preso. Un bel film.

domenica 27 luglio 2008

tortilla flat - steinbeck


Due galloni sono molto da bere, anche per due paisanos. Ecco come si possono graduare, agli effetti spirituali, le fiasche: due dita sotto il collo della prima, conversazione concentrata; due dita più sotto, mestizia di dolci ricordi; tre dita ancora più sotto, pensieri di vecchi amori felici; un dito più sotto, pensieri di amori infelici; fondo della fiasca, tristezza in ogni senso; due dita sotto il collo della seconda fiasca, disperazione nera; due dita più sotto ancora, canto di morte; altre due dita più sotto canto di morte e dannazione. Da questo punto in poi inutile graduare; nulla vi è di certo e può accadere qualunque cosa.

Egli, peraltro, non era cieco, come molti santi lo sono, al male che c’è nelle cose buone. E non aspirava a diventare un santo. Nel fare il bene si contentava, per tutta ricompensa, della gioia stessa di farlo, e della beatitudine che sempre deriva da un adempimento di fraternità umana.

- Che c’è, Danny?
- Niente.
- Stai male?
- No.
- Che cosa ti fa allora così triste?
- Non lo so – Danny disse – È solo questione che non ho voglia di niente.
- Chiamiamo un dottore?
- Mica sono malato.

due chiacchiere


Ieri facevo due chiacchere con l'Ironia Della Vita e lei mi diceva che a volte le piace scambiare i copioni a sorpresa.
E allora le domandavo: "scusa e i personaggi come fanno?"
e lei mi rispondeva: "è questo il bello! Non ci sono i personaggi."

"Ma se non hai una parte come fai a sapere chi sei?"
"Um... tu chi vorresti essere?"
"..."
"Appunto..."
"Vorrei essere straniero in tutte le città del mondo, essere in viaggio e sentirmi a casa, parlare dieci lingue e non sapere dire la cosa giusta alla persona importante..."

"e quale dono ti piacerebbe? quale vorresti che fosse la tua capacitá che ti distingue dagli altri?"
"mi piacerebbe trasformare le parole in musica, i suoni in immagini, la luce in emozione, il quotidiano in epico. vorrei saper raccontare storie"
"per quale motivo?"
"la gente ha bisogno di storie. ha bisogno di entrare in un mondo dove ogni cosa, ogni dettaglio è un passo di una trama, in cui il senso sta nel semplice esserci e nella potenza dell'umanitá di ogni sofferenza. che impari ad apprezzare quel che ha e desiderare di piú"

"e che vantaggio ne avrai?"
"..."
"..."
"incantare la persona che amo. e distrarla dal fatto che io così non so vivere"

venerdì 25 luglio 2008

into the wild


Ho vissuto molto e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felice. Una vita tranquilla, appartata, in campagna, con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna. E dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?

Mi mancherai anche tu, Ron. Ma ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto, è ovunque, in tutto ciò di cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose.

Happiness is only real when shared.

giovedì 24 luglio 2008

il trasloco


Ecco fatto.
Tutto ora è al suo posto. I vestiti nei loro cassetti, i libri nella libreria.
È stato liscio e indolore. Anche se cercavo di caricare i gesti della forza dell’Ultimo Gesto non mi è riuscito un granché bene.

Appena usciti da Forlì ho tolto il cd di musica dance eh ho messo quello che avevo appositamente fatto, l’Appennino Soundtrack. Come in Elizabeth Town doveva accompagnare il nostro viaggio e le nostre chiacchiere. Ancora una volta in mezzo alla strada, arrivati in cima, c’era il muro del Muraglione. Ci siamo fermati e siamo entrati nel bar. Era l’unico posto aperto nel giro di chilometri, una stanza dove un immobile barista aspettava i clienti, protetto dal suo bancone e dai suoi snacks. Dava l’idea di essere l’unico ventre vivo, l’unica grotta ancora abitata in quel mondo fatto di boschi e vegetazione. Un insensato baluardo di civiltà. Abbiamo attraversato la strada e ci siamo seduti a mangiare patatine di fronte alle valli che si stendevano fino all’orizzonte, probabilmente fino a Firenze. Prima di andarcene abbiamo spedito una lettera, dal cucuzzolo della montagna. Chissà ogni quanto tempo passano i postini, lassù.




Firenze, poi, era come ce l’aspettavamo. Anzi, anche un po’ più fiacca. Già non c’era più nessuno, e il sonno ci ha presi in breve tempo.
La mattina dopo mi sveglio alla caccia di un parcheggio gratis, e finisco ad ammirare le spirali del nostro amico Nervi. Non penso neppure che in tutti questi anni non le ho mai viste, da dentro.


Prendo la bici e mi inerpico per la salita che costeggia le mura, fuori Porta S. Niccolò. Mentre sudo come un suino mi domando: ma dove minchia sto andando, con questo caldo, questa maglia nera, su per la salita più ripida di Firenze? Arrivato in cima al Forte faccio un giro e mi infilo in un giardino privato, sfruttando il mio libretto. E finalmente scopro cos’è quel magnifico giardino che, dalla nostra parte dell’Arno, si vede vicino al Forte. È Villa Bardini. Una magnifica loggia con tetto a spiovente sorretto da colonne in pietra si affaccia su una terrazza panoramica che offre una visione incredibilmente vicina del centro storico. Da qui scende un percorso accompagnato da terrazzamenti verdi e statue.








Già che ci sono faccio anche un salto a Boboli, giusto per concludere il mio Green Tour.




Il pranzo in via Giotto è rilassato e fresco. La Rita e la Fede hanno ancora il cervello fritto dall’esame e le risate abbondano. Ringraziamo la Coop per averci offerto l’ennesimo pranzo e vado a riprendere la macchina.
Con Parmino smontiamo la poltrona e la carichiamo in macchina. Riponiamo con cura le piantine in uno scatolone e, con le dita piene degli spini dei cactus, partiamo alla volta della casa dell’Irene. Dopo aver salutato i soldi di Parmino e aver fatto tappa da Sgnao, carichiamo gli scatoloni sulla macchina dell’Ire e partiamo. Il tramonto inoltrato ci trova sempre là, dietro al grande muro del Muraglione. Ci sediamo di fronte al mondo che scompare a layer verso l’orizzonte, mangiando Pringles e bevendo Coca.





Poi, il resto è Romagna. La casa e la nonna dell’Ire, i segnali non visti, l’autostrada, Rimini.

Ecco fatto.
Ora tutto è al suo posto. I pranzi in famiglia, il sole sul terrazzo.
È stato liscio e indolore. Fin troppo per un addio.