martedì 23 settembre 2014

ci hanno fatto credere




They made us believe that real love, the one that’s strong, only happens once, more likely before your thirties. They never told us that love is not something that you can put in motion, neither has time schedule.
They made us believe that each one of us is the half of an orange, and that life only makes sense when you find that other half. They did not tell us that we were born as whole, and that no one in our lives deserves to carry on his back such responsibility of completing what is missing on us: we grow through life by ourselves. If we have a good company it’s just more pleasant.
They made us believe in a formula “two in one”: two people sharing the same line of thinking, same ideas, and that it is what works. It’s never been told that it has another name: invalidation, that only two individuals with their own personality is how you can have a healthy relationship. It has been made to believe that marriage is an obliged institution and that fantasies out of hour should be repressed.
They made us believe that the thin and beautiful are the ones who are more loved, that the ones that have little sex are boring, and the ones that have a lot of it are not trustful, and that will always have a old shoes to a crooked foot; what they forgot to tell us is that there are more crooked minds than feet.
They made us believe that there’s one way formula to be happy, the same one to everybody, and the ones that escape from that are condemned to be delinquents. We have never been told that those formulas go wrong, they get people frustrated, they are alienating, and that we can try other alternatives.

Oh! Also they did not tell us that no one will tell those things to us.
Each and everyone of us will have to learn by ourselves. And, when we get to the point that you are in love with yourself first, that’s when you can fall in love with somebody.


John Lennon


Ci hanno fatto credere che i belli e magri sono quelli più amati, che quelli che fanno poco sesso sono all’antica, e quelli che invece ne fanno troppo non sono affidabili, e che ci sarà sempre un scarpa vecchia per un piede storto! Solo non ci hanno detto che esistono molte più menti “storte” che piedi.
Ci hanno fatto credere che l’amore, quello vero, si trova una volta sola, e in generale prima dei trent’anni. Non ci hanno detto che l’amore non è azionato in qualche maniera e nemmeno arriva ad un’ora precisa.
Ci hanno fatto credere che ognuno di noi è la metà di un’arancia, che la vita ha senso solo quando riusciamo a trovare l’altra metà. Non ci hanno detto che nasciamo interi, che mai nessuno nella nostra vita merita di portarsi sulle spalle la responsabilità di completare quello che ci manca: si cresce con noi stessi. Se siamo in buona compagnia, è semplicemente più gradevole.
Ci hanno fatto credere in una formula chiamata “due in uno”: due persone che pensano uguale, agiscono uguale, che solamente questo poteva funzionare. Non ci hanno detto che questo ha un nome: annullamento. Che solamente essere individui con propria personalità ci permette di avere un rapporto sano.
Ci hanno fatto credere che il matrimonio è d’obbligo e che i desideri fuori tempo devono essere repressi.
Ci hanno fatto credere che esiste un’unica formula per la felicità, la stessa per tutti, e quelli che cercano di svincolarsene sono condannati all’emarginazione. Non ci hanno detto che queste formule non funzionano, frustrano le persone, sono alienanti, e che ci sono altre alternative.
Ah, non ci hanno nemmeno detto che nessuno mai ci dirà tutto ciò.
Ognuno di noi lo scoprirà da sè.
E così, quando sarai molto innamorato di te stesso, allora potrai innamorarti di qualcuno.


John Lennon

domenica 20 luglio 2014

afonia




Se non parli con chi è degno di ascoltarti, perderai il tuo pubblico. Se parli con chi non è degno di ascoltarti, perderai le parole. Chi è depositario del vero sapere, non perde il pubblico e non perde nemmeno le parole.

Confucio

sabato 19 luglio 2014

acqua sotto i ponti




L'aereo sbarca a Pisa che è buio già da tempo. All'uscita non c'è nessuno ad aspettarmi.
Io e il mio trolley ci spostiamo fuori, nella notte toscana. Compro il primo biglietto d'autobus per Firenze e dopo quasi un'ora sto cullando i miei sogni su un pullman diretto nel passato.
Arrivati a Santa Maria Novella chiedo all'autista se non gli spiaccia lasciarmi a Novoli prima di ricominciare il turno dall'aeroporto di Peretola. E così a mezzanotte mi ritrovo di fronte al colossale tribunale di Ricci, in una zona che conosco fin troppo bene.
Poco più avanti un'auto mi sta aspettando. Ti saluto e ci dirigiamo alla tua nuova casa, dove pizza e birra ci aspettano per cena all'una di notte. Mangiamo voraci seduti sulle poltrone del soggiorno, mentre sullo schermo scorrono immagini di un giovanissimo Keanu Reeves e dalle nostre parole riemergono scene del passato universitario. Gli amici, gli esami, le uscite, le vecchie e nuove famiglie. Le persone disperse e quelle presenti. Poi la stanchezza ha la meglio e sopraggiunge il sonno.

La mattina, dopo aver fatto colazione al bar dei cinesi, ti saluto e mi dirigo con il mio trolley verso il centro. Attraverso il parco di Gabetti&Isola, via Terzani, lo studentato, l'aera Belfiore.
Torno ad essere un turista in una città che per tanti anni è stata mia. Macchina fotografica a tracolla e bagaglio a seguito come il più tipico degli stranieri. Duomo, Repubblica, S. Lorenzo, Oblate, S. Croce, Ciompi e poi Santa Maria Novella dove mi raggiunge un altro vecchio amico. Ci arrostiamo le chiappe sulle assurde panchine in acciaio della piazza e ci salutiamo, io diretto al mio treno tu alla tua famiglia.
E così si torna, un'altra volta, a casa.

lo que haces




L'edificio che avevo adocchiato il giorno precedente è la Biblioteca Escuelas Pias, un'antica chiesa riconvertita magistralmente in biblioteca. Mattoni e pietra si alternano ai nuovi interventi in legno, dando vita ad uno spazio di una sacralità diversa: quella intellettuale.
Rampe di scale rettilinee in cemento risalgono sulla parete esterna della chiesa e portano ad una terrazza sul tetto da cui si può godere del famoso cielo di Madrid.

Il MediaLab del Prado è un interessante progetto. Due navi industriali sono state unite da un volume centrale per la distribuzione verticale. Mentre l'esistente è stato ripulito lasciandolo nudo, impianti e partizioni a vista e ridotte al minimo, il corpo scale è un curioso oggetto che si ritorce su se stesso, neutro all'esterno e flash all'interno.

Approfittiamo delle ultime ore per visitare l'interno del CaixaForum. Scorriamo velocemente la mostra sulla Pixar, rimanendo incantati dallo "zootropio", una scultura che dimostra il principio dell'animazione. Dopo aver commentato gli interni del Caixa, il vuoto centrale e perfino i bagni, ci dirigiamo verso la stazione di Atocha. I saluti sono rapidi ed increduli come quelli del mio arrivo.
Hasta muy pronto, Esme.

amarezza e arroganza




È facile essere poveri senza provare amarezza, mentre è difficile essere ricchi e non essere arroganti
Confucio

lunedì 14 luglio 2014

candela




Entriamo nel Candela dopo che un uomo all'ingresso ha controllato che i nostri nomi fossero sulla lista. Il bar è composto da un'unica sala stretta e profonda, l'ingresso su uno dei lati corti, il palco sull'altro. Un lungo bancone, al quale sono già accalcati diversi avventori, copre quasi completamente la parete senza finestre. Il resto del locale è occupato da sedie di legno, disposte in file ordinate e strettissime. I muri una volta bianchi sono ora nascosti da una moltitudine di foto, poster, locandine ed articoli che riguardano i ballerini di flamenco che sono passati di qui. L'atmosfera è quella di un bar andaluso, anche se vagamente ripulito.
Amelia, la stella della serata, viene a salutarti e ci presentiamo velocemente: una donna piccolina, dallo sguardo furbo ed intenso, i capelli nerissimi raccolti sulla nuca ed un vestito strettissimo.
Con i nostri botellines in mano prendiamo posto ed aspettiamo l'inizio dello spettacolo. Mentre tu chiacchieri con la tua amica della fila davanti, io faccio la conoscenza della mia vicina. Anche perchè è così vicina che quasi condividiamo la stessa sedia. Originaria di Istanbul, mi racconta di essere venuta a Madrid perchè qui ci sono le migliori scuole di flamenco del Paese. Ed io che pensavo che fossero nel sud. Mi spiega che il ballo si originò in Andalusia ma poi la sua diffusione è stata legata negli ultimi anni ad insegnanti che risiedono nella capitale. Mentre si prodiga in spiegazioni, al suo lato il padre resta seduto composto osservando benevolo lo strano folclore che lo circonda senza capire una sola parola.
Dopo una rapida presentazione del proprietario del locale, sul palco sale un uomo vestito con pantaloni e maglia scuri, capelli brizzolati pettinati all'indietro, chitarra classica al seguito. Il cantante, stivale in pelle nera e camicia nera aperta sul petto, ci introduce il ragazzo più giovane della compagnia: pizzetto ed imbarazzante bandana nera da rapper in testa, ma a quanto pare un ottimo violinista flamenco.
Il chitarrista è un prodigio, come si conviene. Il violinista si inserisce con accenti striduli ed il sopracciglio sollevato. Il cantante, uomo di mestiere, si lamenta con stile. Poi entra il ballerino in nero. Si dimena con grazia non eccessiva, ma con arte sul piccolo palcoscenico. Pesta il legno che lo sostiene, frusta l'aria, afferra il furore. Ma è quando entra Amelia che lo spettacolo si fa tale. Il dramma scritto in faccia, raccolta in un vestito che la risucchia a dovere e ne esalta le forme senza la minima volgarità, anzi, con un tocco di funereo rispetto. I tacchi castigano il palco con percussioni potenti, le palme ad afferrare e schiaffeggiare uno spirito che solo lei riesce a vedere, la gonna a tracciare traiettorie disattese.
Poi è tutto un climax. I ballerini escono, e rimangono i suonatori a rimpallarsi melodie zigane con virtuosismi da star. Si inserisce il canto, esplicitando con gli strani gorgheggi il debito che questa musica ha con la tradizione araba. Ed infine, insieme al ballerino, torna la regina in un vestito rosso fuoco. In preda a raptus sempre più intensi, si dimena fino a perdere progressivamente tutti i fermagli che le tengono in posizione la capigliatura. Nel momento di coinvolgimento massimo Amelia si ferma, ansimante. Il pubblico applaude, i suonatori si alzano in piedi continuando a suonare e tutti quanti scendono dal palco cantando, ballando, e battendo le palme per infilare la porta laterale e le scale che portano nell'interrato, dove lo spettacolo continua solo per pochi intimi.

venerdì 11 luglio 2014

sognare




Garcia Lorca mi guarda coi suoi occhi di bronzo, plaza Santa Ana a fargli da quinta. I turisti gli sfilano a fianco, si fermano a farsi le foto, quasi fosse uno dei tanti mimi in circolazione. Mentre Federico continua a fissare la colomba che dalle sue mani non riesce a spiccare il volo, seduto su un cubo di porfido lucido, spalle al Teatro, fronte al Reina Victoria, parlo silenziosamente col poeta che mi risponde con la sua immobilità. Il tempo passa attorno a noi, statue inanimate ognuna a modo suo.

Al margine di Plaza Àngel un giardino splende del sole meridiano. Un chiosco in ferro e vetro lascia vedere al suo interno il negozio di fiori più antico della città, un secolo di esperienza in sensazioni vegetali. Il tempo è passato, il tetto in legno è stato rinnovato, le colonne in ghisa ripulite ed il negozio accuratamente cosparso di oggetti di uno studiato stile vintage. Seminascosto da alberi e fronde, un grande cartello campeggia all'ingresso: "non smettere di sognare".

Passeggiando arrivo a Lavapiés. I gruppi di nordafricani sono sempre più numerosi, il modo di vivere la strada sempre più da piccola comunità, da luogo in cui quel che succede viene controllato da tanti occhi. Arrivato davanti ad un vecchio edificio, un'antica chiesa riconvertita in qualcosa di moderno, decido di fermarmi e godermi un po' di sole in una piazzetta laterale, poco più bassa della strada, dove non c'è nessuno. Con calma scruto la rugosa parete centenaria in mattoni scrostati ed il nuovo edificio nascerle sotto pelle. Ampie vetrate dietro a fornici antichi, una grande terrazza sull'attico dal quale si vedono sporgere ombrelloni e mani abbracciate a cocktails. Mentre lascio che il matrimonio tra antico e nuovo depositi in me i suoi semi, un ragazzo attraversa la piazza, mi vede e mi chiede se ho da accendere. Ovviamente no. Lui si ferma e si avvicina con nonchalance. Mi chiede se aspetto qualcuno, cosa faccio da queste parti, si inventa che gli sto simpatico. Capelli rasati, bracciale d'oro a grosse maglie, ray-ban con finiture dorate, mi chiede se non ho da dargli qualche spiccio. Rispondo in maniera cordiale cercando di evitare di creare tensioni. Il ragazzo si avvicina e si siede sempre più vicino sulla panca. Solo uno stupido non si accorgerebbe che sta cercando in quale delle mie ampie tasche dei pantaloni si trova il portafoglio. Mi alzo, dicendo che si è fatto tardi e che devo andare. Lui si alza con me e chiede perchè non voglio chiacchierare con lui. "Facciamo un ballo, qui in piazza" dice, trovando così il pretesto per prendermi per la vita ed infilare una mano nella tasca. Fortunatamente riesco a svincolarmi in tempo e a tornare sulla via principale. Gli altri ragazzi del suo gruppo, appoggiati di spalle al muretto, non fanno una piega, e lui continua ad attraversare la piazza come se niente fosse. Questa volta gli è andata male, ma non gli importa più di tanto.

venerdì 4 luglio 2014

ultimo sole




Usciamo dal bar e lasciamo liberi i piedi di scorrazzare per la città. Il centro è ricco di attività creative: gallerie d'arte, studi di comunicazione, sale di coworking,laboratori di restauro, negozi di recupero di oggetti vintage. Si percepisce una movida culturale creativa che cerca con l'inventiva di superare una crisi economica che dura ormai da troppo tempo.

Le parole fanno il loro mestiere. Sollevano il morale, annullano la fatica e riscoprono attimi del passato come profumi, riportandoci ad un mondo di serenità e gioia che non c'è più, annegato nelle complicazioni. I piedi ci portano senza premeditazione di fronte al Palacio Real ed alla cattedrale de la Almudena proprio mentre il sole prova lentamente ad inabissarsi trai rilievi all'orizzonte. Attraversiamo il ponte dei suicidi e, birra in mano, ci sediamo sulle erbose pendici della ripida collina puntando lo sguardo a ovest, oltre Casa de Campo. All'ombra dell'ultimo sole ci lasciamo cullare dalla musica della terrazza dietro di noi, mentre ci accendiamo per la storia di Gainsbourg, per il suo carattere e la sua estetica, per sua moglie e le sue canzoni. Intorno, gruppo di ragazzi confidano perle di vita e banalità alla loro bottiglia, confondendo il fiato con i fumi della marijuana.

Dopo un rapido passaggio da casa ci infiliamo in un cinema del centro. Seduti nelle ultime poltrone di una sala stranamente asimmetrica e dai soffitti stuccati, aspettiamo che si spengano le luci per poterci sparare i nostri panini e le nostre birre. Il film di Wes Anderson è affascinante, un'ambientazione dalla strana atmosfera, al limite tra il poetico ed il comico. Ma sono troppi giorni che non riposi e la poltrona è un richiamo troppo invitante.

mercoledì 2 luglio 2014

està que arde




La mattina comincia lenta, senza fretta. Come fosse domenica e questa fosse casa mia. Il Rastro è grigio e la colazione prevede tostada con miele e frutta secca.
Mi chiudo la porta alle spalle e comincio il mio vagabondaggio urbano. Ricordo ancora qualcosa di questa città, quando ci venni con Gaelle, e poi a visitare Claire. I luoghi dove eravamo stati insieme come una costellazione vaga nella nebulosa della geografia metropolitana. Osservo la cartina alla fermata dell'autobus di Ronda de Toledo, ne traccio una mappa mentale e parto in direzione di Tirso de Molina e Paseo del Prado. Dopo una breve tappa al Caixa Forum per scroccare la rete e fissare un pranzo alle quattro, incappo in una piacevole novità. Nascosto tra le pieghe del tessuto urbano, un lotto inaspettatamente vuoto è stato trasformato in un parco provvisorio a disposizione dei cittadini. Spartani ma ordinati orti, un laboratorio di restauro di mobili, un anfiteatro di pallet annegati nella terra, una lavagna per i più piccoli, una rastrelliera per le bici. Tavolini, panche, sedie e amache sono sparsi ovunque per favorire relazioni sociali non previste. Mi siedo nell'anfiteatro a ridosso della parete in mattoni antichi ed entro a far parte della scena. Un giovane padre, apparentemente disoccupato, cerca telefonicamente di stabilire un appuntamento per qualche lavoretto artigianale, mentre di sottecchi sorveglia la figlia che gioca nella terra polverosa. Un quarantenne si infratta trai giunchi per rollarsi uno spinello e, poco più in là, tre ragazze stanno sedute in silenzio a fumare, godendosi i pochi raggi di sole. Sotto questo cielo grigio è bello che ci sia un posto verde di tutti, anche se non curato come ce lo si aspetta. Un luogo mutevole e provvisorio.
Mentre varco il cancello per uscire un piccolo gruppo di bimbi delle elementari arriva accompagnato dai maestri e comincia a scorrazzare liberamente.

Con nonchalance inforco l'entrata della Casa Encendida, saluto la persona all'ingresso e salgo ai piani superiori. Mi godo una piacevole mostra sull'Estremo Oriente che mostra foto, disegni ed oggettistica delle forme di abitare tradizionali del Giappone, coi loro magnifici giardini artificiali che ricreano paesaggi in miniatura, surrogati del monte Fuji e delle foreste.  Mi affaccio all'accattivante caffetteria e poi risalgo i vari piani passando per  la mediateca, la radio, la piattaforma televisiva. La terrazza sul tetto, luogo affascinante anche se poco panoramico, è occupata da alcuni cineoperatori che stanno intervistando un ragazzo, una qualche forma di artista direi dai modi e dal vestire.

Alle quattro passate ci sediamo al Verbena, dove ci aspetta il nostro menù. Un bell'ambiente, stile accogliente, e noi che ci perdiamo in chiacchiere mentre il sole comincia lentamente la sua parabola discendente sulle strade di Tribunal.

giovedì 19 giugno 2014

la deriva




Il mio primo pranzo in città arriva intorno alle sei del pomeriggio ed è costituito da patate e crocchette, oltre all'immancabile caña. Sto già un po' meglio. Appoggiata la valigia ci incamminiamo verso il concerto.
Le parole corrono lungo i marciapiedi del Rastro tentando di trovare un loro ritmo. Mentre risaliamo la collina in direzione di Plaza Mayor il passato riemerge dagli angoli della città e si sovrappone al presente. Una piazza che ancora non aveva conosciuto gli Indignati, sulla quale regnavano i mimi e gli artisti di Noviembre. L'ostello "Dolce Vita" e le sue camere colorate, una diversa dall'altra, le lampade a forma di stella. Una testa sconosciuta che dorme sulla mia spalla in un bus notturno. Chueca coi suoi abitanti, i suoi bar alla moda, la sua irriverenza. Il Dmystic ed i sottobicchieri con la spirale, una maglietta troppo corta, un bagno da applausi. La musica nella notte. I "100 montaditos", la cintura che ancora porto, un'intervista sul tetto della Casa Encendida, nostra insperata scoperta. La facciata verde del Caixa Forum non ancora terminato. Cibele che guarda a sud dall'alto del suo carro e Atocha, la grande serra verde che custodisce le arterie metalliche della capitale.
Ubriacato da tante immagini scorro il presente con una strana malinconia che tento di ricacciare indietro.
Plaza Mayor è rosa. Una moltitudine di ragazze e donne di tutte le età ha occupato quasi metà della piazza e, radunate di fronte ad un palco dove 4 ragazzi si dimenano, si muovono simultaneamente a ritmo di salsa.
In Puerta del Sol, nonostante il nome, non c'è ancora la porta e non c'è più il manifesto gigante di Gasol.
Ci dirigiamo verso ovest, direzione Manzanares e, birra in mano, decidiamo di dimenticarci del gruppo spalla.
La Riviera sembra un edificio abbandonato, un ammasso di volumi e tetti a spiovere da cui fuoriescono i nidi metallici degli impianti. Dentro il buio fa il suo dovere, nascondendo palme di plastica, soffitti rimediati, ballatoi di dubbia utilità.
I Vetusta Morla , illuminati da sei grandi lampade, suonano la carica e predicano di non arrendersi alla situazione presente. La carica è assicurata e noi proviamo a perdere la voce cantando dall'inizio alla fine.
Habrá que inventarse una salida / Que el destino no nos tome las medidas / Hay esperanza en la deriva.

Salutiamo i nostri compagni musicali e torniamo a solcare i marciapiedi nella notte madrileña fino a La Latina e poi al Rastro. La notte ed il sonno mi inghiottono in breve, nuovo cittadino di una nuova città.

sabato 7 giugno 2014

aria di festa



La signora è agitata e mi taglia la strada, finendo così per inciampare nella mia valigia. Qualcuno dovrebbe dirle che correre non la farà arrivare a Madrid prima di noi.
Il portello anteriore finalmente si chiude e tutti ci allacciamo le cinture.
- Buongiorno signore e signori - dice la voce all'altoparlante - e benvenuti su questo volo Ryanair con destinazione Barcellona.
Gli occhi nei 189 passeggeri del Boeing 737 si alzano angosciati a guardare lo stuart.
- Scherzavo. Con destinazione Madrid.
Sospiri e risa di sollievo percorrono la cabina mentre i corpi tornano ad appoggiarsi agli schienali.
- Vi preghiamo di prendere posto e di depositare i bagagli a mano nelle cappelliere, mentre borse e dispositivi elettronici dovranno essere collocati al di sotto dei sedili. Da questo momento i telefoni cellulari dovranno essere messi in modalità "volo". Se il vostro telefono non ne fosse munito ... beh, è ora che ve ne compriate uno nuovo, perchè in ogni caso non potrete usarlo.
Tra le risa generali mi lascio abbracciare da Morfeo e le parole in castigliano sfumano nelle mie orecchie mentre ci alziamo al di sopra delle nuvole.

- Signore e signori, per favore vorrei avere la vostra attenzione solo per qualche minuto - sento nel dormiveglia.
- Ehi! C'è nessuno sveglio? Non è possibile. C'è solo una ragazza attenta in tutto l'aereo? Dai, non fate così che mi sento solo. Vi immaginate se doveste scendere dall'aereo con un milione di euro? Cosa ci fareste? Pensateci. Potreste finalmente comprarvi la macchina nuova, il nuovo computer, la barca. Potreste salutare il vostro capo ed andare in vacanza per un anno. Oppure potreste mandare in viaggio vostra suocera. Magari insieme al vostro capo... So che vi sembrerà impossibile, ma qualcuno non ha voglia di vincere tutti questi soldi. Ora io e i miei colleghi passeremo trai sedili coi biglietti della lotteria. E non fate come al solito che cercate ogni scusa per non comprarli. Come quelli che fanno finta di dormire appena passiamo, o guardano ostinatamente fuori dal finestrino. O quelli che leggono intensamente le riviste. Tanto sono in inglese, e non le capite. 
Poi lo stuart prova a riassumere in italiano:
- Buongiorno signore e signori, mi chiamo Javier, in italiano penso che sono Saverio. Quindi, se doveste vincere il premio della lotteria, ricordatevi di questo nome. Saverio. Saverio. Saverio...

L'aereo sobbalza vistosamente nel suo avvicinamento a terra. Sento voci preoccupate dietro di me, la signora cinese al mio fianco sembra debba portarsi via i braccioli come souvenir, qualcuno pensa di aver bisogno di un sacchetto.

Saluto la hostess e poggio il piede sulla scaletta metallica.
Spagna. Dopo tanti anni, finalmente, nuovamente, Spagna. E poi, dopo tanti anni, Madrid.
Scendo i gradini bianchi provando a recuperare la lucidità che il sonno mi ha tolto. Cerco, dentro, i pensieri in castigliano ma per quanto frughi, insensatamente, tutto ciò che trovo è solo un farfugliante inglese.
E così il mio primo passo sul suolo reale suona ridicolo come quello di un goffo Gagarin che non sa più che dire.

martedì 27 maggio 2014

superiorità



Entriamo nell'osteria ma Irene ed il suo amico non sono contenti.
Dopo mesi che sono a Bologna i ragazzi baschi, che non hanno ancora imparato a comunicare in italiano, escono per la prima volta nella zona del Pratello. Reduci da un quarto d'ora nel quale non hanno perso occasione di lamentarsi del modo selvaggio che hanno gli italiani di guidare, dell'assoluta impossibilità di muoversi in bicicletta, della lontananza dei bar rispetto a dove ci eravamo ritrovati, del fatto che non ci siano bevande tipiche della città, pronti a fiondarsi in un bar dove continuare ad alzare vorticosamente il loro tasso alcolico, si ritrovano invece, per errore, in un'osteria semivuota. I ragazzi non si preoccupano di mascherare il loro disappunto, ironizzando sul fatto che non sarebbero mai entrati in un posto del genere dove non possono ordinare nessun superalcolico, dove sono costretti a stare seduti. Deridono l'amaro che viene loro portato (non è un chupito e non è un cubata), il fatto che beviamo birra e vino invece che cocktail, il fatto che si parli piuttosto che..
Ci spostiamo nel bar seguente per cercare di dargli corda, ma anche qui non si lasciano sfuggire l'occasione per sfottere gli shot che gli vengono proposti, il prezzo dell'alcol.

Prendono posto di fianco a me. La signora, una bambina di cinquant'anni avvolta in un foulard a pois, si premura che i viaggiatori intorno a lei capiscano che la figlia andrà per un semestre a studiare in Irlanda, dopo l'estate. La ragazzina controlla ossessivamente lo smartphone da sotto il trucco mentre non si cura di nasconderci la musica che sta ascoltando dai suoi auricolari bianchi.
- Spero almeno che non sia una scuola solo femminile.
- Beh, perchè, cosa credi di andare a fare là?
Inforcati gli occhiali e impugnato lo smartphone la madre esplora il sito della scuola.
- Ahahah. Guarda che divisa che dovrai avere!
- Mamma mia. Che brutta gonna. E poi quel maglione, di quel colore! Ma perchè devo avere la divisa?
- Pensa che faccia farebbero se arrivassi vestita così - scherza alludendo ai pantaloni appositamente bucati e lisi ed alla canotta succinta.
- E poi perchè devo mettere per forza le scarpe nere? - si lamenta, dimentica delle scarpe nere lucide che indossa al momento.
- Questa è la direttrice. E questa la scuola.
- Oh dio. Guarda qui. Ma sono tutte brutte le irlandesi! Cioè, no dai, non sono brutte, sono ... grosse. E bianche.
- Questo qui è il paesino. Tutto prati verdi e vacche. Vedrai che finirai a mangiare patate tutti i giorni!
- Dai, mamma! Ma se è così terribile perchè dovrei andare?
- Perchè - dice la madre ridendo della propria battuta - io ho già pagato!

Sono sempre più insofferente a chi si abbevera della cultura altrui senza cercare di capirla, armandosi unicamente di spirito di superiorità. Criticandone gli aspetti senza pensare che, spesso, le proprie consuetudini non sono migliori di quelle del Paese ospitante, ma semplicemente diverse, e dimenticando completamente il fascino dell'Altro. Una mancanza di spirito adattivo, di vera curiosità, di animo costruttivamente critico, di capacità di osservazione e comprensione.
La lamentela costante, così come il continuo negarsi ad esperienze differenti, non nascondono altro che un'insicurezza profonda ed il tentativo di giustificare, denigrando le alternative, la propria condotta. Ed in fondo, quindi, la propria vita.

mercoledì 21 maggio 2014

sbagli



Se fai un errore e non lo correggi, è allora che sbagli.

Confucio

mercoledì 23 aprile 2014

un paese per vecchi



Monica è nata in Bolivia trent'anni fa. Lei ed i suoi fratelli minori sono cresciuti nella povertà per diversi anni. Ricorda ancora di quando la mandavano al fiume a lavare i panni per il resto della famiglia nonostante fosse ancora una bambina e di come venisse rimproverata quando tornava tutta bagnata perchè si era messa a giocare nell'acqua. Ci racconta della fame che pativano, e del serpente che mangiarono bollito perchè non avevano altro. In fondo, sa quasi di pollo. Quando è arrivata la rivoluzione e scuole ed università hanno cominciato a chiudere, la sua famiglia ha deciso che era meglio cambiare aria e trasferirsi a Buenos Aires. Vivevano in sobborghi pieni di immigrati emarginati e violenti, dove era impossibile muoversi da soli perfino in pieno giorno. Allora decise di abbandonare la famiglia e gli studi per cercare fortuna in Europa.
A Bologna da dieci anni, Monica fa la badante. Racconta che i suoi amici hanno finito gli studi e che la sua famiglia ha ora una piccola ditta di tessuti. Confessa, con quella voce bassa e rassegnata, che ormai per lei ha poco senso restare nel nostro Paese, che non le conviene più.

Monica parla poco e ascolta molto. Ha gli occhi spenti e l'aria di chi, ormai, è già partito.

domenica 23 marzo 2014

jazz



Il jazz non è morto. Ha solo un odore un po' curioso.

Frank Zappa

venerdì 7 marzo 2014

101Reykjavik



Non si può essere sempre morti

Cary Leibowitz

sabato 22 febbraio 2014

una oficina



Porque una casa sin ti es una oficina,
un teléfono ardiendo en la cabina,
una palmera
en el museo de cera,
un éxodo de oscuras golondrinas.

Y cuando vuelves hay fiesta
en la cocina
y bailes sin orquesta
y ramos de rosas con espinas


Y sin embargo, Joaquìn Sabina

antico e nuovo



Ridà vita all'antico e allora saprai cos'è il nuovo.
A quel punto sarai un maestro

Confucio

short term 12



Once upon a time somewhere miles and miles beneath the surface of the ocean there lived a young octopus named Nina. Nina spent most of her time alone making strange creations out of rocks and shells. She was very happy.
But then on Monday the shark showed up.
- What's your name? - said the shark.
- Nina - she replied.
- Do you wanna be my friend?- he asked.
- OK. What do I have to do?- said Nina.
- Not much - Said the shark. - Just... let me eat one of your arms.
Nina had never had a friend before so she wondered if this is what you had to do to get one. She looked down at her eight arms and decided it wouldn't be so bad to give up one, so she donated an arm to her wonderful new friend.
Every day that week Nina and the shark would play together. They explored caves, built castles of sand, and swam really, really fast and every night the shark would be hungry and Nina would give him another one of her arms to eat.
One Sunday after playing all day the shark told Nina that he was very hungry.
- I don't understand - she said - I've already given you 6 of my arms and now you want one more?
The shark looked at her with a friendly smile and said:
- I don't want one. This time I want them all.
- But why? - Nina asked and the shark replied:
- Because that's what friends are for.
When the shark finished his meal he felt very sad and lonely. He missed having someone to explore caves, build castles and swim really, really fast with.
He missed Nina very much, so he swam away to find another friend.

Short Term 12

mercoledì 19 febbraio 2014

jovez




La strada si fa sterrato e comincia a scendere. I solchi lasciati dalle ruote si fanno profondi, grosse pietre affiorano mentre lasciamo la campagna per il bosco. Aggiriamo uno sperone di roccia e ci ritroviamo in uno spiazzo sterrato circondato da una staccionata. Oltre, la terra precipita verso una valle avvolta nel buio, sotto un cielo cristallino di stelle.
L'Antico Molino, a qualche chilometro dal piccolo paese di Lubriano, è un basso edificio in tufo costruito a ridosso della roccia. La cucina ampia come quella degli edifici di campagna, gli utensili appesi alla trave in legno che sovrasta i fuochi. Sull'immenso tavolo quadrato sono disposti cesti di vimini, torte, pane, oggetti di altri tempi. La nostra stanza è scavata nel tufo della collina, la finestra a guardare la valle.

- Quindi lei è di Roma centro.
- Centro centro. Sto dietro piazza Navona.
- E come mai è finito a vivere in questo paese? - dico pensando alla strada bianca che ci separa dalla provinciale per Lubriano, un centinaio di chilometri lontano dalla capitale.
- Eh - dice l'anziano gestore allungandosi sulla sedia e guardando fuori dalla finestra. - Il destino ce porta dove vuole.
Spazzolo le ultime verdure grigliate mentre ci racconta di come lavorasse come tipografo per il ministero. Una gran bella vita, tanto lavoro, giravano i soldi. Poi, negli anni Novanta, l'inchiesta di Tangentopoli si portò via i politici e loro dovettero chiudere. Così si trasferirono da queste parti.
- Gnente, nun se poteva costruire gnente qui! Tutto abusivo avemo dovuto fà!
Il ristorante Jovez, nella notte, sembra una bella casa di campagna. Arcate di tufo, portici chiusi da vetrate, un grande camino, mobili antichi e qualche arredo retrò. Gli altri clienti se ne sono andati piano piano ed i figli del gestore, i camerieri, hanno cominciato a mettere della musica latina ad alto volume ed a ballare trai tavoli.
- Venite a ballare coi giovani! Smettete di parlare cor vecchio! - ci gridano scherzosi.
Il padre non li ascolta neppure e continua i suoi pensieri.
Gli chiedo allora com'è la situazione con il Tevere in questi giorni.
- Tutto a posto. C'è stato qualche problema, ma prima de Roma. Secondo voi perchè l'hanno scelta i preti? Sò furbi quelli! A Roma nun sucede gnente. Terremoti, alluvioni, ... mica ce stanno a Roma! Sò furbi i preti!
E prima di andarcene, tra i mobili e le lampade che ha restaurato, mi cade l'occhio sul santino del giovane beato Marvelli appoggiato di fianco alla cassa.

sabato 8 febbraio 2014

identità




Siamo quello che pensiamo.
Tutto ciò che siamo nasce con i nostri pensieri.
Noi creiamo il nostro mondo.
Buddha

Accettiamo l'amore che pensiamo di meritare.
Noi siamo infinito

domenica 2 febbraio 2014

inverno



"Mamma, noi crediamo nell'inverno?"

Philip Roth, Lamento di Portnoy

mercoledì 29 gennaio 2014

cielo e terra



Dona a chi ami
Ali per volare
Radici per tornare
Motivi per restare

Dalai Lama

lunedì 27 gennaio 2014

chalet




Lasciata Città di Castello ci dirigiamo verso sud ed una ventina di minuti dopo attraversiamo Trestina. Compriamo pollo arrosto, patate e vino all'unica rosticceria aperta e ci dirigiamo verso ovest, verso l'interno. L'abitato scompare frastagliandosi in nebulose di piccoli borghi; la strada sale, attraversa la piccola Lugnano e continua ad inerpicarsi. Dove la curva stringe a gomito riportandoci fronte alla valle, lì si trova parcheggiata una cinquecento gialla.
Steve è un inglese sulla cinquantina che ci accoglie calorosamente e si informa subito del tuo accento dall'aroma londinese nel quale ritrova il suo passato. Poi si carica gli zaini in macchina e ci dà istruzioni per arrivare a destinazione.
Il sentiero scende verso valle tra campi di ulivi e boscaglia incolta, zigzagando su lastre di pietra, finchè dopo un quarto d'ora gli alberi si diradano e lo vediamo.

Negli anni Novanta Steve si era stancato del nord. Non sopportava più di stare con quei buzzurri di Leeds che non aveva mai realmente sfangato e comprò due case antiche e decrepite, una a fianco all'altra, nel cuore dell'Italia. Case di contadini, fatte di pietre sbozzate, con i tetti sfondati dal tempo. Assoldò una squadra di operai polacchi e cominciò a sistemare la prima delle due. Non avendo altro posto dove dormire, i muratori si costruirono una casetta di legno a poca distanza dalla casa principale. Una stanza con la cucina e la stufa a legna, due camere e un bagno.


Vent'anni dopo Steve ci accoglie nel suo chalet in legno. Vive in una magnifica casa a tre piani affacciata sulla Toscana, circondata dal bosco, insieme ai suoi sette gatti. Conosce i sentieri ed i cacciatori che li percorrono in cerca di selvaggina. Conosce i cani della casa più vicina, quattro chilometri più avanti, dove è meglio non fermare la macchina. Conosce il tempo che farà. Ci rifornisce di legna e ci garantisce che, per questa settimana, non dovrebbe nevicare.