venerdì 29 febbraio 2008

delirious bcn


questo è un post a quattro mani. niente di religioso, certo. se fossimo stati in 4 sarebbe stato a ottomani, ma così non è.
e io che credevo che avessimo superato la fase del vivoconaltrediecipersonemanesonoentusiasta!
in realtà c'è ancora qualcuno che lo è e che considera un ostello casa propria.
ormai ho finito la vena creativa, come disse il conte Dracula, dopo aver succhiato il collo del signor Van Gogh.
mhhh.
già fatto? è pic?
nic!
comunque
grazie a daniel per la cena tahilandese e per il lume di candela (manca poco che mi mangio anche il tovagliolo... va bene il romanticismo però la bolletta pagala!)
ma che male e che ridere e di nuovo che male se rido.. ma coletta e coppoletta le conoscete? no, perchè sono mie compagne di sgrigna da anni, ormai.
vabbè
noi si va a nanna, che domani si lavora.
buona notte a tutti i sonnambuli e specialmente a giorgio, che non si sa mai che ci capisse qualcosa in questo post e poi me lo spiegasse..
'notte scriccioli

mercoledì 27 febbraio 2008

ruvido


Non ci sono portachiavi. Non ci sono puntine, foto, peluche. Non una tazza simpatica, un disegno appeso, un comodino dipinto. Non c’è posto per gli infradito, per la maglietta preferita, per il mercoledì al biliardo. Non turni né biciclette.
C’è la povertà. Ci sono l’indispensabile e qualcosa in meno. Pareti ruvide e persone ruvide. I libri stanno in libreria e i profumi nelle case altrui.
Viaggiare è imparare ad abitare. È sentirsi addosso i mondi altrui. E portarne il segno.

domenica 24 febbraio 2008

4 marzo 1943

video

Dice che era un bell'uomo e veniva
veniva dal mare
Parlava un'altra lingua però sapeva amare
E quel giorno lui prese a mia madre
sopra un bel prato
L'ora più dolce prima di essere ammazzato

Così lei restò sola nella stanza
la stanza sul porto
con l'unico vestito
ogni giorno più corto
E benché non sapesse il nome
e neppure il paese
mi aspettò come un dono d'amore
fino dal primo mese

Compiva sedici anni quel giorno la mia mamma
le strofe di taverna
le cantò a ninna nanna
e stringendomi al petto che sapeva
sapeva di mare
giocava a far la donna
con il bimbo da fasciare

E forse fu per gioco
o forse per amore
che mi volle chiamare
come Nostro Signore
Della sua breve vita il ricordo
il ricordo più grosso
è tutto in questo nome
che io mi porto addosso

E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino
per la gente del porto mi chiamo
Gesù Bambino

E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino
per la gente del porto mi chiamo
Gesù Bambino

E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino
per la gente del porto mi chiamo
Gesù Bambino

sabato 23 febbraio 2008

a bon droyt - capitolo 11 - scena 4

Mentre si consumava così una magnifica rissa da taverna su vasta scala, accadevano due cose un po’ in sordina.
La prima: due innamorati si guardavano negli occhi sul palco, unica isola di quiete in mezzo alla tempesta di grida e corpi:
“Elsie sei stata meravigliosa, ti amo”
“O caro… dici? Si credo di essere stata meravigliosa. Ti amo anch’io Andrè”
La seconda: Adrien e Briac tenevano la vita di Francesco appesa ad una corda tesa nell’oscurità della notte, totalmente assorbiti dal problema della scalata quasi del tutto incuranti della baraonda alle loro spalle.

Di questo putiferio accalorato e roboante Francesco non si era accorto di nulla: la sua concentrazione era totalmente rivolta alla liscia superficie di pietra della torre, alla stretta della corda di sicurezza e alla destinazione della sua ascesa. Un vento gelido raschiava il suo volto e le mani cominciavano a dolergli.
Era rimasto solo.
Non fisicamente.
Nella testa aveva solo la sua corda e la sua torre.
E il suo scopo.
Un mare di nulla sotto di lui e una piccola lucetta sopra.
Le lanterne ad una ad una avevano cominciato a spegnersi per il troppo vento.
“Cazzo tu lo vedi?” Chiese Briac rosso per lo sforzo ad Adrien
“Mi pare di vedere un ombra lassù… maledette lanterne.”
“E’ troppo buio dobbiamo calarlo giù”
“No, deve farcela…”
“Ma che cappero gli frega di ‘sta storia, tanto nessuno lo sta più guardando” Briac si voltò per constatare che la rissa continuava con vigore, anzi erano appena cominciate a volare le bottiglie: segno che si stava ancora al primo tempo.
“E’ una storia lunga Briac… non posso dirti di più, ma ti assicuro che il signor Gauthier se la merita”
“E ora che c’entra il sig Gauthier?”
Intanto Francesco era arrivato quasi alla finestra e già poteva intravedere l’interno della torre. Fu in qual momento che gli manco l’appiglio di un piede, Briac e Anton sentirono bruciare nelle mani lo strattone della corda, Anton stese il giovane Fabien con un uppercut da manuale, Irmine prese a fare il tifo per Fernand, Elsie e Andrè si godevano il cielo stellato e Fernand spianava corpi a suon di lanternate.
Francesco rimase per un poco a penzoloni contro la parete della roccia, sono quei momenti nella vita di un uomo che ti viene fatto di pensare, inspiegabilmente, alle cose più insensate: tipo la morte. Si riebbe subito e con grinta feroce, dando un bel colpo di scarponi nella roccia, si issò fino alla finestra.

Appena raggiunta la stanza della torre si volse verso la corte illuminata e finalmente si rese conto della bellissima rissa che si stava consumando da basso. Senza perdere tempo diede due forti strattoni alla corda. Adrien capì il segnale e lascio andare: “Adesso Briac dobbiamo andare!”
“Cosa? E come fa a scendere?”
“Non scende da qui. Io e te abbiamo finito ora tocca a Francesco.”
“um… Mi pigliasse il diavolo se ci capisco qualcosa!”
“Vai a prendere Fernand, Anton e Irmine, credo che quella lanterna che vola sia Fernand!”
“E poi?”
“E poi a casa io devo chiamare la polizia di Vierzon, Egide sta aspettando al commissariato.”
“Cosa???”
“Stasera una masnada di pazzi si è introdotta nel castello e io sono pur sempre il custode no?”
“E cosa ne sarà di Francesco?”
“Lui sa quello che sta facendo… ora vai non dobbiamo perdere altro tempo.”
In quel momento arrivarono Guy e un tizio sconosciuto.
“Buona sera…” salutò Adrien.
“Buona sera” rispose lo straniero “Francesco è già dentro?”
“Si”
“Bene, mi volevo complimentare con voi per l’ottimo spettacolo. Temevo che la trama fosse un po’ scontata, ma il finale…” e indicò la rissa alle sue spalle “… è stato decisamente sconvolgente.”
Guy tirò lo straniero per una manica e disse: “Ora dobbiamo andare all’appuntamento…”
Lo sconosciuto si rivolse a Adrien e Briac: “con il vostro permesso signori… mi congratulo ancora con voi per la bellissima serata. Addio.”
Adrien e Briac si guardarono con aria interrogativa, ma preso atto che la festa stava ormai languendo, si diressero a recuperare i membri della cospirazione di Limeux.

a bon droyt - capitolo 11 - scena 3

La Torre, due guardie giocano a dadi di fronte al portone.

Prima guardia “6… non lo batti”
Seconda guardia “3… dannazione”
Prima guardia “6…”
Seconda guardia “3… disdetta”
Prima guardia “ahh! Sembra che il tempo s’è fermato! Due giri uguali a favor mio!”
Seconda guardia “shhh! Arriva qualcuno…”

Entrano Rinaldo,Fabrizio e Orazio un po’ in disparte

Fabrizio “Salute a voi!”
Prima guardia “E a voi lo stesso! Che vi mena a queste porte?”
Rinaldo “Ma guarda! Due valenti uomini d’arme!”
Prima guardia “Valenti quanto basta per guardare ad un portone.”
Fabrizio “Eh certo anche il portone ha il suo valore!”
Rinaldo “Quale terribile tesoro potrà mai celare questa porta per richiedere tanta sicurezza!”
Prima Guardia “Non son certo affari vostri!”
Fabrizio “Peccato!”
Rinaldo “Davvero! ‘Che i nostri affari ci pesano in saccoccia e saremmo stati felici di alleviare un po’ del nostro peso a favor vostro!”
Seconda guardia “Signori miei! Non son cose che si dicono a una guardia!”
Prima guardia “Non sono cose che si dicono, ma se saltan fuori se ne parla volentieri!”
Fabrizio “Diciamo che con mezza corona vorremmo soddisfare la curiosità… è un argomento che vi intriga?”
Prima guardia “Fuori la corona e le domande…”
Rinaldo “Da quanto tempo si erge questa Torre?”
Seconda guardia “Da sempre per quel che ne so io.”
Fabrizio “E per quale tesoro tiene fuori il mondo?”
Prima guardia “Ah non certo di un tesoro si tratta”
Seconda guardia “E non per tener fuori ma per tener di dentro!”
Fabrizio “Ah, ma qui non due guardie abbiamo, due oracoli! Più oscuri di una notte senza luna.”
Seconda guardia “Questa torre è una prigione!”
Rinaldo “Senti, senti! E voi sareste i carcerieri?”
Prima Guardia “No, solo le guardie della porta, il carceriere è dentro e con lui non si scherza”
Fabrizio “E quanti terribili malfattori assicura il vostro carceriere?”
Seconda guardia “Ah! Ma le domande crescono e la saccoccia non va appresso!”
Rinaldo “Altro che oracoli! Ora abbiamo due mercanti!”
Fabrizio “Via non fate tante storie per due corone!”
Seconda guardia “Ne faremo per tre!”
Rinaldo “Eccone quattro! E crepi l’avarizia!”
Prima guardia “Un solo uomo mio nobilissimo signore!”
Seconda guardia “Anzi neppure quello!”
Prima guardia “Una donna sta chiusa in questa torre!”
Fabrizio “E voi l’avete vista in ceppi?”
Prima guardia “Mai nella nostra vita!”
Rinaldo “Speriamo che le vostre vite durino in eterno allora!”

Locanda, entrano Agramente, Desdemona e Madame Gervaise

Agramente “Vi porgo umili scuse, ma di tutto sto’ trambusto avevo perso il segno più importante.”
Desdemona “Accetto le vostre scuse.”
Agramente “Se avessi saputo il vostro nome! Avrei maggiormente trattenuto le mie ciarle!”
Desdemona “Non vi chiedo altro che la vostra fedeltà!”
Madame Gervaise “la nostra e di tutto il paese, non troverà un solo uomo o animale che non si schieri per la vostra causa!”
Desdemona “Ah speravo che la mia presenza passasse inosservata!”
Agramente “Mia signora, contessa… la vostra presenza chiama autorità come il sole il giorno! Come potevate passare inosservata!”
Madame Gervaise “E per di più così vicino alla torre, non passerà un altro giorno prima che il carceriere sia avvisato!”
Desdemona “Non eran tutti servi della nostra fedeltà?”
Madame Gervaise “Mia signora. Son tutti eroi finché la pugna è in versi!”
Agramente “E fan presto gli eroi a tramutarsi in ladri se il bottino vale le bastonate!”
Desdemona “Non di bastoni saran le carte, ma di spade!”
Agramente “Ad ogni buon conto il vostro segreto non è un segreto in queste strade.”
Desdemona “Non agiremo come ladri nella notte, se a questo alludevate. Prima che la tromba della posta squilli ancora il nostro officio sarà già in bocca a tutti quanti. E Dio piacendo, noi sarem lontani. Ma vedo che i miei uomini ritornano… vi prego di lasciarmi.”

Escono Madame Gervaise e Agramente.
Entrano Rinaldo, Fabrizio e Orazio.


Desdemona “Miei cari! vi prego. Datemi le vostre nuove.”
Rinaldo “Non più di due guardie e un carceriere tronfio, sarà facile tutto sommato!”
Fabrizio “il Duca fece male i conti se pensava di impedirci l’impresa con tre sgualciti ribaldi.”
Desdemona “Mio caro Orazio, rompi il tuo silenzio e aprimi il tuo cuore, te ne prego!”
Orazio “Un altro giorno mia signora solo uno e tutto sarà svelato…”
Desdemona “Non un'altra alba vedrà sorgere chiusa in quella torre! Stasera stessa canteranno le vostre spade e darete sfogo ai vostri desideri, e se anche rimanessero un mistero le intenzioni che spinsero il duca a toglierci nostra sorella, sia quel che sia, domani la riavremo con noi! Questo conta più di mille spiegazioni.”
Rinaldo “a stanotte allora…”

Esterno della torre, notte. Due guardie e il cancelliere vicino al fuoco, entrano Rinaldo e Fabrizio

Carceriere “Ecco infine, giungono i saltimbanchi a onorare le nostre noiose ore di veglia”
Rinaldo “Speriamo di non avervi fatto attendere troppo e vogliate scusarci se le nostre note feriranno il vostro orecchio! Ben altre ferite presto vi condurranno a più celestiali cori”
Fabrizio “Sempre che il Santo conestabile del cielo vi lasci assistere ai suoi canti”
Rinaldo “Chissà Fabrizio se i cani son bene accetti”
Prima Guardia “E’ un insulto questo!”
Fabrizio “No! Constatazione.”
Seconda Guardia “Sguaina, e prega infame”
Fabrizio “Guarda la mia lama e dimmi se ti garba cane!”
Carceriere “Alle armi, addosso avanti!”
Seconda Guardia “Addosso!”
Rinaldo “Avanti! venite avanti a farvi sbudellare!”
Carceriere “La torre… uno sta scalando!”
Fabrizio “Grida adesso maledetto!”

A questo punto, mentre gli attori se le davano di santa ragione, la povera Elsie (nei panni del carceriere) veniva sbudellata (per finta s’intende), non prima di riuscire ad attirare l’attenzione della folla convenuta sulla murata illuminata della torre, dove un ombra ben visibile si stava rizzando con tutte le sue forze nell’improbabile tentativo di scalare la torre del castello e di non finire spadellato sugli spalti.
Bisogna spezzare parecchie lance a favore del pubblico di Limeux, che, pur non composto da affezionati frequentatori di teatri, aveva seguito lo spettacolo con una silenziosa e sepolcrale attenzione.
Bisogna capire il pubblico che, non avvezzo a tanta concentrazione, arrivato alla scena delle botte si lasciò, per così dire, andare.
Fu un boato di grida.
Tutti, chi più chi meno, manco si trattasse di un incontro di pugilato, cominciarono a fare il tifo ognuno per lo schermidore preferito, e manco potessero dare man forte alla battaglia gridavano i peggiori appellativi alla volta del combattente scelto come avverso.
“Sbudellalo forza!”
“Attento, schiva, schiva!”
“Muovi le gambe è tutto nelle gambe!”
“Elsie sei bellissima!”
Gli attori, abbandonando ogni pretesa professionale, cominciarono a prenderci gusto nella lotta e a colpi di spada e cazzotti continuarono il loro duello in un crescendo di insulti corali.
Fernand era semplicemente allibito, non sapeva da che parte prendere la situazione, tutti erano ormai in piedi e gridavano a più non posso, da una parte la folla cominciò ad avvicinarsi al palco altri si alzavano sulle sedie per vedere meglio. Gli attori avevano cominciato a menarsi per davvero. Irmine, ricorrendo al suo istinto per gli affari, si era messa a distribuire birra tra la gente.
In men che non si dica dagli insulti, i più agitati, cominciarono a passare hai fatti. Tutti mezzi ubriachi iniziarono a pigliarsi.
Il prete diede aria al gonnone e si dileguò veloce come un razzo.
Sul palco i duellanti, da prima confusi, pensarono bene di gettare le spade e di passare alle mani e in zero due secondi erano già scesi a fare a botte con chiunque trovassero tra i piedi.
Le donne di Limeux non ebbero problemi a uscire dalla zuffa, ma, per nulla intimorite continuarono a fare il tifo per i loro mariti o fidanzati.
Fernand si adeguò in un lampo alla nuova situazione e, staccato il lanternone della chiesa, faceva vento a destra e a manca.
Anche Anton si lasciò prendere la mano e giù botte a tutti e tutto.

a bon droyt - capitolo 11 - scena 2

Escono Madame Gervaise, Agramente e il Cavaliere di Ripafratta.
Entrano la contessa Desdemona, Rinaldo e Fabrizio.


Rinaldo “Mia signora, questo ostello da mezza corona è sordido come una stalla”
Fabrizio “Invero temo che i nostri cavalli abbiano avuto miglior sorte”
Desdemona “Non lasciatevi divertere dal nostro scopo, la ragione che ci guida non guarda in faccia alla sorte e non v’è nulla di più sordido dell’onta che ci apprestiamo a tergere.”
Fabrizio “Contessa la nostra determinazione non verrà certo meno per il tanfo del nostro giaciglio.”
Rinaldo “Non altra che un ulteriore offesa da lavare.”
Fabrizio “La vendetta chiama! le nostre spade scriveranno il giusto epilogo!”
Desdemona “Fabrizio, Rinaldo… tenete parole e spade ben serrate! Prima d’ogni altra cosa, ora, è momento di calma e discrezione, siamo vicini al castello e a Dio piacendo non dobbiamo rovinare tutto con azioni sragionate. Andate ora… siate accorti e tornate a riferirmi!”
Rinado “con sua licenza mia signora.”

Escono Rinaldo e Fabrizio

Desdemona “alte son le mura che il tempo ci rivolge contro, i nostri giorni di attesa, come carcerieri impudenti, hanno tentato invano di levigare il nostro dolore, pare a volte che non vi sia più gioco alla speranza e come bambini stanchi di giocare lasciamo che il sonno dell’inedia ci culli fino a farci addormentare, quietamente, con i nostri desideri.
Le mura del tempo! Questa mirabile gabbia che ci tiene in prigionia è insieme catena e ancora di speranza. Forse quanto più lo spirito debole si lascia andare nel dormiveglia del suo animo meschino tanto più la virtù del forte si ridesta ad ogni attimo e ripiglia la battaglia, e i giochi, la speranza. Tale queste mura son per me insieme affronto e cuore del nemico, riceviamo dall’uno la vergogna e dall’altro il sangue che disseta la vendetta. Così oggi il tempo è trascorso. Le sue immense mura si son piegate! anzi innalzate! In una torre, che è insieme onta e cuore, l’uno da lavare l’altro da spaccare.

a bon droyt - capitolo 11 - scena 1

“Benvenuti, Benvenuti” Fernand era splendidamente entrato nella parte della maschera e con garbo e gentilezza faceva accomodare: contadini, pecorai e negozianti che quella sera erano convenuti tutti al gran spettacolo offerto dal paesino di Limeux.
“Prego, prego! Avanti c’è ancora posto… Buona sera signor Parroco… no no non si preoccupi nulla di sconcio… qui sta sera solo altissima cultura! La lanterna? No no non è possibile, è sicuramente una buona imitazione…”
“Fernand dammi una mano con le birre!” Irmine si era piazzata al suo posto di combattimento: aveva praticamente trasferito la locanda nel piazzale del castello, barili di birra, di vino, panini imbottiti e tutto a un prezzo ragionevolmente più alto del normale. “Avanti signori! Qui da bere e da mangiare! È così che si fa a teatro nelle grandi città!” Urlava a destra e a manca Irmine sbracciandosi per farsi vedere dal suo angolo “prendete da bere, più si beve meglio riesce l’opera!!”.

“Briac dammi una mano con le luci!”
“Aspetta Anton, devo andare da Francesco…”

“Mio Dio sono emozionantissima”
“Non temere Elsie cara sarai stupenda!”
“O amore mio… ma André… ora vai o ti perderai l’inizio!”

“Francesco!”
“Dimmi Briac…”
“Nervoso?”
“Mai stato più a mio agio! E poi ci siete voi a tenermi no?”
Adrien, Briac e Francesco stavano ai piedi della torre con il naso puntato in su, dietro al palco e invisibili dalla corte.
“Um… si non ti preoccupare, basta che metti i piedi tra le pietre io e Briac ti tireremo su.” Disse Adrien con molta poca convinzione.
Francesco dette uno sguardo alla nera sagoma: La torre si stagliava contro il cielo stellato, le 15 lanterne appese sul fianco illuminavano fiocamente il percorso, liscio e ininterrotto da aperture, che da terra saliva dritto come un fuso su, su fino in cima, dove una fioca luce piccola, piccola segnava il punto di arrivo. Era una finestra larga un braccio e alta due ma da quella distanza sembrava poco più di un puntino. Francesco distolse lo sguardo e si volse verso Briac:
“Mi raccomando Briac! Rimani con gli attori fino al momento della scalata poi vieni qui. E va a chiamare Fernand deve fare il gobbo.”
“Bene! A proposito: se ce la fai ti offro da bere!” rispose Briac dando un’ultima occhiata alla torre, stava quasi per correre via quando si voltò e disse, rivolto a Francesco: “A proposito! Guy è arrivato con l’ospite, terza fila cinque sedie sulla destra, così m’ha detto di dirti…”
“Grazie Briac, ora vai!” E Briac andò a chiamare Fernand.


Platea piena.
Irmine silenziosa nel suo angolo circondata da casse e barili.
Anton alle luci a destra del palco.
Fernand nella sua postazione a sinistra del palco con il copione tra le mani.
Silenzio.
Il silenzio, quello giusto, quello che ti piglia il cuore e te lo spiegazza ben bene nel petto.
Le facce mute.
Un uomo sul palco(Cassio), su una scala, si volge al pubblico:
“Voi che palpitate, voi che ci scrutate… dal buio. Noi vi sentiamo.
Noi vi sentiamo nel fremito dei nostri petti. Sentiamo i vostri cuori, le vostre lacrime, sentiamo le vostre grida, il palpito di ogni rintocco del vostro essere.
Noi vi sentiamo, perchè vi possediamo,
con ogni sillaba.
Ogni rintocco di sillaba, un rintocco di cuore.
Ogni nostra lacrima, una vostra lacrima.
Noi vi diamo la vita e la morte servita su un palco di legno.
Possiamo toccare con ogni nota, ogni pausa, ogni gesto, anche il più remoto e delicato, le vostre anime.
Ed ogni vibrazione di un nostro mignolo….

una esplosione nei vostri occhi.
Nel buio…
Noi vi sentiamo…
E vi porgiamo…
Docilmente.
Intimamente.
Su questo palco.
Le nostre vite.”

Entrano Madame Gervaise e Agramente

Madame Gervaise. “Oh su piantala vecchio chiodo d’un cialtrone che con tutto sto berciare mi svegli la clientela”
Agramente. “Berciare è dir poco mia signora! il vostro cameriere pare lustri lampadari urlandogli contro!”
Cassio “che vi piaccia o no! Mio signore… a questi vecchi raccatta polvere poco gli faccio sia con grida o con l’olio del mio gomito, sono i topi quelli che piglio alla sprovvista.”
Madame Gervaise. “Cassio, non dire sciocchezze… topi, ma si sa che qualche d’uno scappa fuori ogni tanto… in fondo siamo in campagna no? Ma non si preoccupi signore piccoli piccoli, neanche sembran roditori”
Cassio. “Quelli infatti son gli scarafaggi… mia signora.”
Madame Gervaise. “Caro il mio garzone, sempre con la voglia di scherzare… fila a lavorare in cucina!”

Cassio esce di scena

Agramente. “Campagna! Questa è la vostra migliore! Eppure in questi giorni pare di stare in piazza al carnevale di città! Chi sono questi illustri che alloggiano nella vostra amena casa? In fede mia mai ho visto tante facce di signori in luogo meno signorile”
Madame Gervaise. “La mia locanda s’è sempre vantata di illustri ospiti… signore!”
Agramente. “Ah! Topi e scarafaggi sono una corte di debito rispetto non lo nego. Forse più vasta di quelle di Francia e d’Inghilterra messe insieme.”
Madame Gervaise. “Mio signore la vostra genia non si smentisce, sembrate avvezzo ai rituali di ogni corte, anche di quella più minuta, ma quella che oggi alloggia qui è da parlarci con la faccia al pavimento. Si tratta, niente meno della contessa Desdemona e del suo seguito! Imbellettati e ben vestiti, pare di stare a messa la domenica.”

Entra il Cavaliere di Ripafratta

Agramente. “Parli di belletti…”
Cavaliere di Ripafratta “…e spuntano merletti! Miei cari! Che meravigliosa giornata, non siete d’accordo?”
Madame Gervaise “Molto appropriato Cavaliere! Se mi pagaste la pigione con la stessa solerzia con cui v’alzate al mattino… certo le mie giornate sarebbero radiose.”
Agramente “allora mia cara… parlavate di contesse…”
Cavaliere di Ripafratta “Si mia cara dica, dica… “
Madame Gervasie “Dico che la discrezione è oro, i nuovi ospiti han la spada alla cintura e pesano le parole meglio del denaro…”
Agramente “Meglio il denaro alle parole, ma se la discrezione è oro il silenzio è certo la miglior bilancia per pesarlo”
Cavaliere di Ripafratta “Che sia maledetto chi ha inventato la retorica! Per conto mio non son avvezzo a queste ciarle! Una buona colazione è ciò che ambisco maggiormente!”
Madame Gervaise “Non temete che vi lasci digiuno! Temete piuttosto che vi mostri il conto”
Cavaliere di Ripafratta “Il vile denaro non è un argomento per gente del mio rango! E per di più rischia di farmi scemare l’appetito”
Agramente “Non tema Cavaliere se argomentaste col denaro avremmo il dispiacere di non udirla mai.”

rientri



Apro la porta e la luce è spenta.
Dentro il silenzio.
Nessuno.
Respiro sollevato ed entro.
È un piacere tornare a casa e trovarla vuota, confortevolmente priva dei suoi abitanti. Trovarsi in mezzo ad uno spazio finalmente e totalmente proprio. Senza limitazioni comportamentali. Sentire il silenzio. Gustare l’assenza di ogni rumore e movimento.
Mi muovo al buio verso la mia stanza.
Amo il buio.
Appoggio la spesa ed entro in cucina.
Si apre la porta di casa, si accendono le luci, le stanze si riempiono di suoni.
È già finita. Peccato.

venerdì 22 febbraio 2008

la santa sindrome

21. Devo andare dall'otorinolalinguaiatra. (che dire...)
22. Ho visitato palazzo degli infissi a Firenze. (....si ci sono infissi alla finestre e allora??)
23. Vorrei una pomata per l 'Irpef. (Herpes è difficile...)
24. Se lo sapevo glielo divo! (Ovvio...)
25. Usare il DDT fa diventare più grande il buco nell'Orzoro. (Addio colazione)
26. Tu non sei proprio uno sterco di santo. (Menomale...)
27. Tu l'hai letto il fu Mattia Bazar? (Antonella Ruggero???)
28. E' andato a lavorare negli evirati arabi. (Contento lui...)
29. Lo scontro ha causato 5 feriti e 10 confusi. (Uno dei confusi sei tu??)
30. A forza di andare di corpo mi sono quasi disintegrata. (O disidratata??? Alla faccia della diarrea!)
31. Mia nonna ha il morbo di Pakistan. (....)
32. La mia auto ha la marmitta paralitica. (...e al posto dei cavalli ha le sedie a rotelle??)
33. Verrà in ufficio una stragista per il tirocinio. (Si salvi chi può!)
34. Sono momentaneamente in stand-bike. (L'attesa in bicicletta....)
35. Che lingua si parla in Turchia? Il turchese. (...è logico)
36. Davanti alla sua prepotenza resto illibato.(....si....)
37. Scendi il cane che lo piscio. (...guinzagliato però!!!!)
38. Da vicino vedo bene, è da lontano che sono lesbica.(Aiuto...)
39. C'è una peluria di operai. (Che schifo!!)
40. E' inutile piangere sul latte macchiato. (Meglio farlo su un bel cappuccino...)
41. Sono sempre io il cappio espiatorio (L' impiccato)
42. Beviamo una Magnum di Kruger. (salute)
43. Signora, vorrei 100 grammi di prosciutto senza polistirolo. (...che faccio un po' fatica a digerirlo...)
44. Mi sono fatta il Leasing al viso. (..pensavo un mutuo...)

sweepey


Ieri siamo andati a vedere un film al cinema Verdi.
Siamo usciti di casa e ci siamo incamminati lungo Carrer Corsega fino a Passeig de Gracia. Attraversata la Diagonal ci siamo addentrati nel quartiere Gracia. Improvvisamente la città dei grandi e moderni edifici è sparita ed ha lasciato spazio alla piccola architettura di quello che tanto tempo fa doveva essere un villaggio nelle vicinanze di Barcellona. Gli edifici bassi e con le tipiche facciate da pueblo lo sussurrano.
Il cinema proietta solo film in lingua originale, e così entriamo e ci sediamo, in attesa di guardare Sweeney Todd, l’ultimo di Tim Burton. Si spengono le luci in sala e noi tiriamo fuori dalla borsa le nostre bottiglie di birra. Il film è un musical in inglese, con sottotitoli in castigliano. Beh, meglio che in catalano, penso. E così il cervello si ritrova a saltare tra le due lingue ospiti..
Il film? Un po’ troppo pulp a volte, un po’ troppo teatrale, un po’ troppo musical. Per il resto le atmosfere di Burton sono sempre luoghi estremamente piacevoli in cui calarsi. Anche se la storia è di terribile crudeltà, e la fine mozzata come le teste. Resta qualcosa?
Oggi esco dal lavoro alle 19.20, vado insieme a Daniel verso il Collegio de los Arquitectos. C’è una conferenza sulle residenze dove parlano la mia capo e tale Moses Gallego. Mentre passeggiamo lungo Passeig de Gracia continuiamo a incrociare facce e lingue da tutta Europa. E al collegio la conferenza è in catalano.
È straordinario come in questa città ci sia di tutto. Come la gente che sta qui sappia come minimo 3 lingue e come ognuno cerca il modo per godersi tutto quello che c’è oltre il lavoro, come se ancora non si fossero arresi all’annichilimento sociale della condizione lavorativa.
E mentre scrivo tutto ciò dietro di me gocciano le camice, lavate a mano e appese ad asciugare alla mensola dell’armadio…
Ah. Che città!

giovedì 21 febbraio 2008

la santa sindrome 0

1. Mi puoi disinnescare la segreteria telefonica?(Ordigni moderni...)
2. Soffro di vene vorticose. (Sarà un ballerino...)
3. Di fronte a queste cose rimango putrefatto! (Che schifo!)
4. In farmacia: Puoi darmi un 'una tantum'? (forse si chiama 'tantum verde'?)
5. Quando muoio mi faccio cromare. (Valido!)
6. Arriva il treno, hai blaterato il biglietto? (.....)
7. Come faccio a fare tutte queste cose simultaneamente?Dovrei avere il dono dell'obliquità!(la torre di Pisa???)
8. Un'onda anonima ha travolto i surfisti. (e nessuno la sa riconoscere???)
9. Almeno l'itagliano... sallo! (Eh...)
10. Basta! Vi state coagulando contro di me!(trasfusione?)
11. E' nel mio carattere: quando qualcosa non va, io sodomizzo! (Stategli lontano!)
12. Anche l'occhio va dalla sua parte... (Si chiama strabismo...)
13. Non so a che santo riavvolgermi. (Una video cassetta devota....)
14. Avete i nuovi telefonini GPL? (No mi spiace solo benzina!!!)
15. Il cadavere presentava evidenti segni di decesso. (Ma va?! Strano)
16. Prima di operarmi mi fanno un' autopsia generale.(Auguri!)
17. Vorrei un pacco di cotone idraulico. (Ha una perdita???)
18. Abbiamo mangiato la trota salmonellata. (Ancora auguri!)
19. Vorrei un'aspirina in supposte effervescenti. (Quando si dice faccia da culo...)
20. Vorrei una maglia con il collo a volpino. (Non era lupetto?....)

strana cosa


Strana cosa la vita.
Quando decide cambiarti i passeggeri. Quando ti fa perdere il cammino e lo dissemina di strade senza uscita.
Strana cosa la vita.
Quando ti circonda di ciò che non ti interessa, e ti allontana ciò che desideri.

venerdì 15 febbraio 2008

pino



- Lo sai bene che fai così solo perché hai paura.
Lo disse senza neppure guardarlo negli occhi. Con la tazza tra le mani tentava inutilmente di scaldarle, mentre ad ogni soffio il vapore del the gli inondava la faccia. Amava quel sottile strato caldo e umido sul viso.
Dall’altra parte della stanza stava Pino, in quella sua tipica posizione da aborigeno con le palme dei piedi unite e raccolte tra le mani. Nell’ombra del suo angolo guardava distratto la sua composizione di arti. Non replicò nulla all’accusa. Alberto allora continuò.
- Hai paura, e ti capisco. Però bisogna che te ne renda conto. Stai cercando di ingannarti, di giustificarti da solo.
- Ma guarda, a me non importa nulla se lei non mi vuole più. Se va con altri, se mi tradisce. Non mi fa più né caldo né freddo. Che faccia quel cazzo che le pare.
Il tono era ruggente, ma inoffensivo come i primi dentini di un tigrotto. Alberto lo guardava. I lineamenti leggermente nascosti dall’ombra, la posa da auto contatto, lo sguardo che fissava il letto e terminava mille miglia più in là. Le parole sono come paraventi, si disse. Ci disegniamo sopra tante decorazioni, belle ed elaborate. Ma dietro siamo nudi. E, nudi, siamo tutti uguali.
-E’ normale che tu abbia paura. Non hai mai preso sul serio quello che lei era, ed ora che senti che la stai perdendo è troppo tardi. Tentare di minimizzare è la tecnica di sopravvivenza più vecchia al mondo. Ma non funziona, Pino. L’unica cosa che riesce a fare è darti un po’ di respiro per i primi giorni, ma il disinteresse che ti costringi a provare è una farsa. Non riuscirai a liberarti di lei così facilmente. Pensi a lei, lo so, anche ora. Dici che non ti importa e pensi a lei. Cerchi di convincere il tuo stomaco a smettere di essere un’uvetta passa e tornare cavo, ma non ti riesce. Ti dipingi un sorriso, ma chi ti conosce sa che è una smorfia.
-Non è così importante..
-Già. Di più.
Alberto si sentiva un corsaro in questo momento. Si sentiva di star attaccando una barca fragile, senza vele in mare aperto. Vedeva le proprie parole lanciarsi attraverso la stanza, da un angolo all’altro, e raggiungere l’imbarcazione di Pino con fragore, rompendone la chiglia, pezzo a pezzo. Non lo faceva con cattiveria. Non c’erano Jolly Roger sulla sua nave. Solo non sopportava più che la gente si ingannasse, da sola. Che si proteggesse tanto da non riuscire più a sapere cosa realmente provava. Era il suo modo di combattere le infezioni. Riaprire le ferite, al sole, e spargere sale.
La notte si spense lentamente, in una pioggia di sussurri e sguardi.

a bon droyt - capitolo 10


La mattina dello spettacolo tutto era già pronto, gli attori provavano, le lanterna appese si dimenavano gioiosamente al vento e nella grande corte erano state disposte 80 sedie davanti ad un grande palco di legno fatto di brutte assi da steccato e cassette della frutta, sopra il palco campeggiava la grande Lanterna della chiesa: sembrava quasi che il simbolo della vittoria della cristianità sulle tenebre si imponesse come uno stemma d’acciaio e luce sulla grande platea, come se di li a poche ore si sarebbero riunite tutte le schiere degli angeli del paradiso guidati dai loro Arcangeli per pianificare un ultimo devastante attacco all’inferno. Come se il castello fosse l’ultimo baluardo della speranza contro le nequizie del mondo.
Briac, Anton, Fernand e Francesco guardavano insieme il loro operato nella sfavillante luce del mattino.
“Mi prude il culo” Anton interruppe il silenzio.
“Lavatelo meglio” disse Fernand, mentre si teneva la gamba che per l’occasione aveva deciso di fargli un male cane.
“E si… abbiamo fatto un gran lavoro…” disse Francesco
“Gli attori come vanno?” chiese Anton
“Faranno la loro parte in questa storia…”

La mattina dello spettacolo, mentre i cospiratori si lasciavano andare alla nostalgia del lavoro compiuto, un furibondo signor Gauthier era costretto dalla pubblica forza dell’ordine a rivedere tutti i suoi libri contabili e un treno arrivava in perfetto ritardo alla stazione di Vierzon.
Per Il giovane Guy quel treno era molto importante. Francesco gli aveva dato un compito con precise istruzioni e lui si era posto in animo di eseguirlo con la precisione di un soldato in guerra. Di fatti già un ora prima dell’arrivo del treno avreste potuto vedere il giovane Guy aspettare paziente con il suo bel cartello in mano. Sul cartello una sola parola: “A Bon Droyt”.

mercoledì 13 febbraio 2008

a bon droyt - capitolo 9


Sbam!
Commissariato di Vierzon: ufficio del Capo Questore prima porta a destra in fondo al corridoio. -2 gg allo spettacolo. ore 10.15

“Qui ci deve essere un malinteso…”
“No signor Gauthier. Nessun malinteso. Si tratta di un controllo”
“Io sono un onesto cittadino lavoratore…”
“Occorreranno 3 giorni buoni per verificare tutta la documentazione, la camera d’albergo ve la offriamo noi…”
“Sono appena tornato da un lungo viaggio vorrei dormire a casa se possibile…”
“No non è possibile, lei è sotto inchiesta fiscale preferiamo che rimanga qui a Vierzon…”
“Ma commissario….”
Sbam!
“Niente ma. Ci risulta che ha fatto costruire un castello a Limeux… e l’Ispettore Flore.. lei conosce l’ispettore vero?”
“Certo… Egide Flore viene spesso a Limeux”
“bene… l’ispettore Flore non vede bene la faccenda del castello. Lui, e noi, ci domandiamo: come fa un umile proprietario di una fabbrica di tagliaunghie a permettersi un castello?”
Sbam!
“io non posso credere che questo…”
“Lei non si preoccupi… ci preoccuperemo NOI di mettere le cose a posto… Fil accompagna il signor Gauther alla pensione Moroe”
Sbam!
“Fil Cristo santo chiudi quella cazzo di finestra una buona volta.”

voglio credere


Se non mi chiamerai
voglio credere,
ora che la notte avanza gelida,
che sia perchè stai bene là dove sei,
perchè davanti ad un fuoco invernale
tieni al caldo i piedi e le amicizie
e il prezioso amore e
non penzoli triste da un bicchiere.
Ti prego
sporcati di cenere
steso sul tappeto
ridi piano piano
insieme a quella musica
suonala ancora
che già amo.
Riponi il tuo cuore
nello scrigno della protezione
(sguardo vacuo d'artista)
E io sarò con te
più contenta così che
con mille pensieri.
So che, almeno stasera,
è lì il tuo posto, caldo.

Non ti chiedo un pensiero
e di sicuro non l'ultimo.

Solo di poter ammirare
ancora una volta
quello sguardo vestito
da bambino.

riso e wurstel


Quell’ansia strana che ti sale. Lo stomaco di pietra e l’adrenalina nel sangue. Il cervello intento a cercare mille e mille connessioni.
È la costante sensazione di star perdendo qualcosa, di stare nel posto sbagliato, di non star facendo qualcosa di più importante, che fotte il presente. È la percezione costante dell’errore, dell’equivoco.
Eppure molte volte il Qualcosa d’altro non c’è. Non è preciso, non è comprensibile. È solo una sensazione viscerale che ti porta a bruciare le tappe per liberarti del presente, fino a quando non sarai libero e liberamente sentirai il vuoto intorno a te. E allora sentirai crescere il senso di inutilità.
Il presente si vive col presente.

martedì 12 febbraio 2008

a bon droyt - capitolo 8


Sbam!
Castello di Limeux (château Gauthier): grande corte centrale giorno -3 gg allo spettacolo. ore 18.15

“Adrien come facciamo a illuminare quella cacchio di torre?”
“Leghiamo delle lanterne di carta lungo il percorso dalla base alla finestrella lassù vedi?”
“Briac…. ma quelle sono le lanterne della festa del paese?”
“E allora?”
“No dico… e se si rovinano?”
“Fatti gli affari tuoi Ignace pensa a recitare”
“Devi chiamarmi Orazio l’ha detto Francesco”
“Insieme alle lanterne leghiamo anche la corda per salire….”
“Adrien…”
“Dimmi Orazio…”
“Quello s’ammazza”
“Sai Orazio… ci sono più cose in cielo in terra… ma fatti i cazzi tuoi una buona volta“

lione. pillole


Entro a El Prat e mi dirigo direttamente al punto di controllo. Seduto nella sala di attesa, aspettando che chiamino il mio volo, vedo gli aerei che continuano ad arrivare e partire per tutto il mondo e intorno a me centinaia di persone. Mi sento potente, a mio agio nel posto dove tutto passa e cambia, dove si collegano Paesi tanto differenti. Dove perditempo e uomini d’affari sono attori muti della stessa scena. Passaggi rapidi, binari che potrebbero incrociarsi coi miei e cambiare, insensatamente, la mia vita. Mi tornano in mente gli occhi bagnati della ragazza sul treno appena uscito dalla stazione di Sans. E gli abbracci gridati di altre decine di persone. Le valige immense dagli occhi a mandorla e quelle a stelle e strisce.

Salgo sull’aereo e prendo posto di fianco al finestrino. Mentre mi allaccio la cintura inizio a leggere il libro che mi ha consigliato Daniel, il mio collega. È la storia di un ragazzino di Barcellona che scopre un libro interessantissimo. Scopre che era stato comprato da un viaggiatore durante un soggiorno. Sorrido. Guarda caso proprio a Lione.

Nel frattempo mi accorgo di essermi così abituato ai viaggi in aereo da non essermi quasi reso conto delle manovre di decollo. L’aereo sta facendo la virata di assestamento della rotta, trasformando tutto il mondo visibile dal mio finestrino in cielo e mare. Da quassù l’acqua è una spessa pellicola plastificata al di sotto della quale piccole scaglie si muovono sinuose.






Scendo dall’aereo e mi dirigo all’uscita del gate. Nessuno. Salgo al piano superiore dove si trova il corridoio di collegamento delle altre uscite. Nessuno. Eppure mi avevano scritto che mi sarebbero venute a prendere, penso. Forse mi stanno aspettando alla stazione del treno annessa. Nulla neppure qui. Eppure … Vabbè, vorrà dire che le manderò un sms. Bonjour, je suis arrivè. Ou est que nous puvons nous encontrer?
Oh merda. Non ho il numero. Non ci posso credere. Son proprio fesso. Non mi sono scritto il numero! E ora? Vado all’ufficio informazioni e chiedo se nell’aeroporto c’è un internet point. Sorry, only wi-fi conneccion, but you need a laptop. Merda. E ora? Aspetto. Aspetto mezz’ora e non le vedo. Neppure mi arrivano messaggi. Forse mi aspettano in centro, penso. D’altra parte l’aeroporto è molto fuori città. Probabilmente mi venivano a prendere lì. Prendo un biglietto dell’autobus e salgo. Non so dove mi lascia ma poco importa. Eppure, da qualche parte il numero ce lo devo avere.. certo! Nella scheda italiana. Metto la scheda, trascrivo il numero e scrivo il messaggio. Ci vediamo alla stazione del bus, sto arrivando.
Dopo 10 min mi arriva un sms da un numero sconosciuto. Ti stiamo aspettando all’aeroporto. Dove sei? Merda. Sono sul bus, ci vediamo in stazione. Avevo sbagliato a trascrivere il numero. Chissà chi avrà ricevuto il mio sms. Magari mi aspetta in stazione..

Cala la prima sera su Lione e con lei il freddo, mentre noi ci addentriamo nel centro storico, tra le vie gotiche, l’Opera di Jean Nouvel e il fiume. Andiamo a prendere Djou e aspettiamo gli altri in una piazzetta. Le ragazze rispondono al telefono e parlano indistintamente spagnolo e francese. Una volta riuniti al ristorante sono praticamente tutti bilingui franco spagnoli. Conosco Maria, che è andalusa ma vive in Francia da sempre e cerca lavoro a Parigi. David, con origini granadine ma perfettamente francese, Tania, malaghese trapiantata, Alicia e Melanie, e Antonio e Charlotte, gli unici francesi doc.
Verso le 3 di notte digito il codice di accesso per il portone ed entro nel loft di Djou. Sul parquet si trova il mio divano letto. E il mio meritato riposo.






Bon jour, Djou.
Bonjour.
Djou è sceso a prendere le paste per me. In 5 secondi trasforma il mio letto in un divano e poi in un tavolo. Geniale. Idea mia, mi dice. Mangio con gusto una praline, con gocce di zucchero azzurro. Poi una versione delle frittelle e un cornetto, il tutto annacquato da un lunghissimo caffè all’americana e succo.


Saliamo fino alla cattedrale, in cima alla collina. Mentre facciamo gli stupidi con le foto di rito sorprendo una faccia conosciuta. I due ragazzi catalani che erano con me sull’aereo sono esattamente di fianco a noi ora, a guardare la città dall’alto della zona panoramica. Non smetto mai di sorprendermi di quanto sia piccolo in mondo..






Accende l’unica luce ed entriamo. Il vuoto ci accoglie nella sua penombra e comincio a preparare i divani. Li dispongo entrambi di fronte alla grande vetrata scorrevole che apre sul balcone. Dietro di noi solo un appartamento vuoto come nei film americani. Al di sopra del parquet, a parte i sanitari del bagno e il piano cottura della cucina, ci sono solo muri bianchi e soffitto. Due tavoli, due poltrone e un letto completano la lista degli oggetti della sala. L’assenza totale di qualsiasi mobile è tranquillizzante, rende tutto informale e colonizzabile. Ci sediamo per terra, spostiamo le poltrone dove preferiamo, attacchiamo il computer alla presa più vicina al letto. Apriamo i cartoni delle pizze e cominciamo a mangiare, mentre dall’altra parte del balcone, oltre le luci tremule che disegnano l’argine del fiume, le luci della città internazionale costituiscono la nostra scenografia. Sopra cielo e stelle.
Una candela rossa mi inebria e sostituisce presto la luce elettrica. La stanza cade in un’atmosfera rosata di chiacchiere e risa, mentre il carattere verace da pueblo spagnolo ci accompagna dallo schermo.







Al risveglio un sole con gli occhi appannati dalla bruma mattutina illumina la sala. Accende le pareti e la macchina del caffè. Raccolgo la mia vita, ancora una volta, nella mia borsa a tracolla. La guardo, rotonda e pesante, con le spilline appuntate. È ironico, penso, e sintomatico che la vita che mi porto in giro sia stipata in una borsa che mi regalai a Granada, quando me ne andai. La mia vita sta, effettivamente, tutta in questo simbolo ora.


Cammino al di sotto del grande arco di Calatrava e so che non riuscirò a trovare le parole. Guardo i piedi, confondo i sentieri dei miei passi. Conto la distanza che ci separa dalla macchina. Aggiungo sospiri a sospiri. Sento che non riesco più a trattenere i momenti, che li vorrei fotografare, scrivere, raccontare. Cambiare. Vorrei poterli rendere dolci con le parole. Chiudo la portiera e ripartiamo.


Oltrepasso la barriera del metal detector e sono fuori dalla Francia.
Uscito dall’aeroporto mi sento nuovamente come a casa. Conosco i luoghi, comprendo perfettamente la lingua, posso comunicare, posso scegliere. Mentre continuo ad essere circondato da veri stranieri mi addentro per le vie tortuose del barrio gotico e di quello ebraico e penso che piacerebbero tanto al mio amico Giorgio Zurbi.

a bon droyt - capitolo 7


Sbam!
Castello di Limeux (château Gauthier): grande corte centrale giorno -4 gg allo spettacolo. ore 16.15

“Lisè quante battute hai tu?”
“Da oggi Chiamami Agramente devo entrare nella parte… una dozzina…”
“e perché io ne ho solo una?”
“Cosa devi dire?”
“Ecco: Un altro giorno mia signora solo uno e tutto sarà svelato..”
“Fortunato te”

domenica 10 febbraio 2008

a bon droyt - capitolo 6


Fu così che l’algida barriera si impose sul piccolo paese di Limeux facendo sbattere e schiantando le incredule facce di ogni uomo o donna contro l’inpenetrabile sostanza del contingente, contro i secondi, le ore, i giorni, gli anni della mortalità.
Su tutto si infranse come un onda, la scogliera, il desiderio, l’infinito.
Sbam!
Castello di Limeux (château Gauthier): grande corte centrale giorno -5 gg allo spettacolo. ore 8.30

“Quello sarebbe un palco???”
“no queste sono le assi del palco!”
“e sotto le assi?”
“Boh? Briac mi ha detto di metterle qui!”

“Dove metto la lanterna?”
“Qui le lanterne? Aspetta ma quello è il lanternone della chiesa!?”
“Si perché?”
“E la Chiesa?”
“Sta in paese.”
“cosa c’entra.. il parroco ti ha lasciato prendere il lanternone della processione di S. Jeanne?”
“il parroco non c’era, ma mica ne ha bisogno adesso”
“Briac sembri preoccupato…”
“Egide ha intenzione di fermare il signor Gauthier…”
“Hai paura che non ci riesca?”
“No, ho paura che ci riesca”

mercoledì 6 febbraio 2008

our pussy shop

in the case you didn't see it here...
goodbye

lunedì 4 febbraio 2008

debby and mats





this is for you, guys.
nice to meet you, and i hope we can see soon in your country
have a nice time!

a bon droyt - capitolo 5


E la guerra iniziò. L’epicentro della tempesta fu la locanda “La Cognette”. La sera stessa dell’incontro dei cospiratori la sala grande della locanda fu trasformata in centro di arruolamento, furono messi da parte tutti i tavoli tranne uno. Briac stava seduto dietro l’unico tavolo lasciato nella sala dirimpetto alla porta d’ingresso. Sopra il tavolo in bella vista: le parti del copione già divise per attore, una bottiglia di vino e il suo fucile (che non si sa mai è sempre meglio averlo). Fernand gli stava alla destra con aria truce.
Si radunarono alla locanda un numero imprecisato di persone: tante che la fila per entrare iniziava dalla piazza davanti alla locanda.
La bolgia caotica e sovraeccitata fu immediatamente ricondotta all’ordine grazie alla veemenza di Briac e allo sguardo solenne di Fernand.

I dialoghi si svolsero, più o meno, così:
Briac: “Nome?”
Candidato: “Felix”
Briac: “Sai cosa stiamo facendo qui?”
Candidato: “Effettivamente no, ero venuto per bere…”
Fernand: “Levati il cappello…”
Briac: “Stiamo organizzando una recita teatrale”
Candidato: “Oh bello”
Briac: “Hai mai recitato?”
Candidato: “No”
Briac: “Ti piace il teatro?”
Fernand: “Smetti di guardarti i piedi! Mica è un interrogatorio… e rispondi!”
Candidato: “Forse”
Fernand: “Che cazzo vuol dire forse?”
Candidato: “Mai stato a teatro, ma forse, se ci fossi stato, mi sarebbe piaciuto”
Briac: “UN ALTRO!”



Briac: “Nome?”
Candidato: “Briac sono Elsie…”
Briac: “Sai cosa stiamo facendo qui?”
Candidato: “Certo! Un “casting”… a cosa serve il fucile?”
Fernand: “Elsie, non ti distrarre”
Briac: “Elsie, hai mai recitato?”
Candidato: “No no no! Ma mi piacerebbe moltissimo! E poi il mio amore… che è li dietro vedete? Dice che sarei bellissima sotto le luci di un palco, lassù, davanti a tutti, io, una folla di uditori ammirati che mi guardano! Non sarebbe bello? Su Briac, non fare quella faccia. Guarda che so di saper recitare! Dammi un occasione, ho sentito che c’è una principessa… “
Briac: “Fernand metti giù il fucile”
Candidato: “… Solo una principessa? Be’ certamente non vorrete dare questo ruolo ad un'altra! Avanti Briac, lo sai che sono la più carina del paese, no? E poi li c’è il mio fidanzato…”
Briac: “UN ALTRO!”

La cosa andò avanti per circa due ore. Molti dei convenuti dovettero tornare a casa delusi e solo 11 persone furono selezionate per recitare, le altre avrebbero fatto dignitosamente parte del pubblico:

Elisie (dopo molte discussioni) avrebbe fatto il CARCERIERE
Felix: MADAME GERVAISE
Julie: CASSIO
Lisé: AGRAMANTE
Gaston: DESDEMONA
Gilbert: RINALDO
Hugo: IL CALAVALIERE DI RIPAFRATTA
Isidore: PRIMA GUARDIA
Lilas: SECONDA GUARDIA
Ignace: ORAZIO
Emilien: FABRIZIO

Briac aveva concluso distribuendo a tutti un copione che Francesco aveva preparato molto tempo prima dove erano descritti i personaggi, lo svolgersi della scena e, naturalmente, le battute di ognuno. Aveva annotato inoltre, che nessuno degli attori aveva mai avuto esperienze, anche indirette, con il teatro, compreso lui stesso, e che non aveva nessuna dannata idea di cosa si dovesse fare a questo punto. Lasciò la locanda per ultimo dando a Irmine la nota e stabilendo che il gruppo teatrale si sarebbe incontrato con Francesco la mattina dopo al castello.

Madrid

Apro gli occhi nel dormiveglia faticando a restare sveglio. Mi volto e scopro che la mia vicina di posto sta dormendo sulla mia spalla. Mi alzo ed esco.
Fuori, da qualche parte nelle terre sperdute tra Saragozza e Madrid, un nevischio festeggia il nostro arrivo a quello che dovrebbe essere un autogrill. Da queste parti fa freddo, penso nella lingua dei dormienti. E poi noto che sono l’unico senza giacca e con la felpa di cotone.
Madrid. Il sabato mattina in giro non c’è un’anima. Alle 9.00 arrivo a casa di Claire che mi accoglie e mi offre una rapida colazione. La lascio continuare a dormire mentre vago per le vie della città in direzione del Prado. Improvvisamente incrocio un ricordo. Plaza Mayor. Poi un altro. Plaza del Sol. E altri ricordi si allineano davanti a me cercando nella memoria il motivo di una nostalgia presente. Chissà se anche le città ricordano i loro visitatori. Chissà se sono coscienti che sulle loro strade si svolgono gli atti principali dei drammi personali di molti.
Cambio strada e mi dirigo al Prado.



Con Claire cerchiamo per mezz’ora un posto dove mangiare rifugiandoci infine, come sempre, in una bettola. La fame ci divora e ordiniamo due menù e una tortilla. Un signore anziano che fatichiamo a capire è il gestore del locale per quanto sembri impossibile. Sputacchiando ci dice che ha finito il lomo. Non importa, rispondiamo.
Nel frattempo mi racconta di lei, del suo lavoro, del suo ragazzo, della sua nuova vita. Mi dice, senza tanti preamboli, di come sia contenta del lavoro ma anche di come sia rimasta delusa dalle sue compagne di casa. Ci contava molto per creare nuove amicizie e invece così non è stato. Capisco, le dico, e il sollievo accompagna le nostre chiacchiere di fronte a un piatto di carne, patate e uova.
Lo sappiamo, l’abbiamo imparato entrambi dopo Granada. Ma è importante dirselo. Non è solo una città, per quanto bella e affascinante, a renderci contenti. Non è solo il lavoro a nobilitare l’uomo.


Tra chiacchiere e bar arriviamo al tramonto sotto le torri pendenti. I nostri piedi sono gonfi e roventi come ferri da stiro. In metro arriviamo a casa ed io mi sparo una doccia bollente mentre Daniel prepara un aperi-cena.
Il tempo di riposare e siamo nuovamente fuori, quartiere Malasaña. Comincio a sentire la stanchezza salire dalle gambe al cervello e mi dico che, in fondo, è più che normale. Dopo una notte passata a dormire a tratti sul pullman e una giornata intera a camminare per la capitale. Alle 3 siamo a casa. Il sonno mi prende prima ancora che realizzi di essere nel letto.


Pañuelos a un euro! Seis calcetines a 3!
Le grida del mercato mi svegliano. Sembra di stare a un bazar. La gente urla sotto la leggera pioggerellina mattutina. Dopo la colazione con tostata, colacao e spremuta ci addentriamo nel mondo del Rastro, tipico mercato madrileño. Vendono di tutto. Appoggiate ai tronchi di alcuni alberi giovani stanno porte in legno massello, borchiate e con cardini. Anch’esse in vendita.
Dopo una lunga camminata, un Burger King e milioni di parole straniere nelle nostre bocche ci salutiamo alla stazione.

È stato bello, grazie. Dimmi quando posso venire a trovarti a Barcellona. Certo, ti scrivo. Mi ha fatto molto piacere. Ci sentiamo. Ciao.
Il bus esce dalla città e si addentra nel nulla che circonda la capitale. Chilometri di rocce polverose, colline raspate, sterpaglia e alberi radi costituiscono la tela su cui è dipinta Madrid. L’autostrada saggiamente corre rettilinea cercando di lasciare al più presto quella desolazione ed arrivare a destinazione. Ogni tanto si vede qualche segno di civiltà, ma sembra più un errore o un invito alla fotografia. Cartelli stradali dove neppure arriva la corrente elettrica. Case dove non vi sono strade. Un inno alla solitudine.
Scendiamo una leggera collina e senza preavviso né motivo, nella stessa configurazione di altre decine di vuoti cañon prima e dopo, compare una cittadina, incolore come le rocce.
Scendiamo ancora una volta allo stesso autogrill. Ancora una volta pessimo tempo. Piove. Dalla grande vetrata osservo la pioggia spruzzare quel nulla che posso vedere stendersi oltre le colline. Poco più sotto un hotel cerca di attirare l’attenzione con la sua gigantesca insegna al neon lampeggiante montata sul tetto. Sul retro una serie di lenzuola bianche svolazzano al vento e alla pioggia, testimoni dell’incuranza e insensatezza delle umane azioni in una landa così desolata. Intorno i cumuli di detriti e rottami sono degni del più classico dei locali di sosta del deserto degli Stati Uniti.
Nel frattempo cala la notte, sulle strade e nel mio cervello. In una coscienza elastica, accompagnata dai Radiohead, arrivo a casa.
Domattina si rinizia.

a bon droyt - capitolo 4


Poi il fuoco languì placidamente la mattina dopo e pian piano tutti i mezzi ubriachi invasati della sera prima tornarono alle loro abituali consuetudini con nelle orecchie e negli occhi la scintilla dell’attesa. Tutti placidi e tranquilli, quel pomeriggio, tranne i cospiratori.

Salone della Locanda ore 15.20 giorno 0: 5 uomini, 1 donna e un ragazzetto di 15 anni.
Elenco dei cospiratori di Limeux:
“Francesco Corsi”
“Presente”
“Irmine Dupuis”
“Presente”
“Briac Lefevre”
“Presente”
“Fernand Roussel”
“Presente”
“Anton Mathieu”
“Presente”
“Egide?”
“Che cazzo ci fai qui?
“Beh che volete Irmine ha invitato anche me.”
“Guy?”
“Si Monsieur “

Francesco prese la parola per primo:
“Bene ecco i fatti. Metteremo su una storia tutta nostra, con tanto di attori e birra a fiumi. Inoltre pubblicizzeremo la cosa nelle fattorie vicine e nei paesini in modo da dare allo spettacolo il brivido della notorietà!”.
“Bene io credo che ci ricaverò il mio buon profitto senza tasse!”, disse Irmine mentre stappava il vino da buona padrona di casa.
“Si ma come facciamo per le luci, la scena e il testo da recitare?”, chiese Fernand scettico.
Francesco li guardò uno ad uno e spiego: “La scena è il castello, il testo è già scritto e già diviso in 10 parti, gli attori non sono un problema, Briac si occuperà dell’arruolamento”.
“La gente del paese è impazzita, vogliono partecipare tutti. Mi toccherà tenerli a bada col fucile”, disse Briac.
“Se è il caso aumentiamo il numero dei personaggi non importanti, ma non possiamo superare le 14 persone”, chiarì Francesco.
“E le luci?” chiese Anton preoccupato per la sua nuova responsabilità.
“Umm... a quelle ci dovremmo pensare, ma ho una mezza idea di usare delle lanterne” rispose Francesco.
“Possiamo rastrellare il paese e pigliare qualunque cosa somigli ad una lanterna”, disse Briac.
“…E la storia della scalata e la discesa ve la state dimenticando?”, intervenne Fernand, e tutti furono immediatamente attratti da questo dettaglio.
Fino a quel momento nessuno aveva sottolineato che, nella scena culmine dell’opera, Francesco (per motivi tutti suoi personali) avrebbe scalato a mani nude la parete della Torre, per ridiscendere in seguito con una ragazza sulla groppa. Ma in effetti nessuno aveva ancora pensato a come questa cosa potesse verificarsi, anzi, a dirla tutta, nessuno pensava realmente che fosse possibile.
“Certo occorrerà trovare una ragazza che non pesi troppo”, disse Irmine provocando in tutti un vago sorriso.
“Elsie?”, chiese Anton.
“Um... No, pesa troppo”, rispose Briac,
“Abbiamo bisogno di una damigella da salvare”. Tutti si voltarono verso Guy che era intervenuto per la prima volta. Guy, con i suoi 15 anni, era il membro più giovane di tutta la comunità di Limeux: era orfano, abitava con il prete della chiesa di Limeux e pascolava le pecore del sig. Durand.
“Molto appropriato direi!”, esclamò Francesco “Lasciate che pensi io alla damigella. E una questione personale.”.
Gli astanti convennero che non c’era molto da dire visto che il mio amico non si era ancora confidato del tutto sul motivo di tutto quel trambusto che per altro ormai si reggeva da solo sull’eccitazione di massa che aveva destato nel placido paese di Limeux.
E fu lì che la porta si aprì lasciando entrare un Adrien Moreau trafelato e molto preoccupato.
“Monsier Moreau, mancava giusto lei” lo chiamò subito Irmine sventolando la bottiglia di vino.
“Buongiorno a tutti! Grazie cara Irmine, no! Abbiamo un problema serio!”
“Che problema Adrien?”, chiese Briac accogliendo in sua vece l’invito di Irmine.
“Monsier Gauthier… mi ha scritto. Sta tornando al castello.”
Silenzio.
“Quanto tempo abbiamo?” chiese Francesco.
“Al massimo… 4 giorni”.
“Troppo pochi!”, disse Fernand.
“Siamo fregati!”, disse Briac.
“Non ancora!”, disse Egide.
E la compagnia lo guardò con rinnovato interesse. “Lasciate fare a me. Diciamo che abbiamo una settimana da oggi per organizzare tutto. Vi basta?”.
“D’accordo”, disse Francesco.
“Cosa pensi di fare?”, chiese Briac.
“Tu non ti preoccupare, riuscirò a trattenerlo per tre giorni buoni.”.
A questo punto Francesco diede chiari ordini a tutti. Briac avrebbe cominciato il “casting degli attori” da quella sera stessa. Fernand e Anton, accompagnati da Adrian, si sarebbero occupati di addobbare nel migliore dei modi il posto. Irmine avrebbe provveduto a una massiccia campagna pubblicitaria, Egide avrebbe fatto il giro di tutte le fattorie vicine per informare dello spettacolo e al momento giusto avrebbe fornito un valido diversivo per tenere sig. Gauthier alla larga dal castello.
Finito di distribuire incarichi a tutti, Francesco prese il giovane Guy da parte e gli dette delle precise istruzioni, nessuno sentì quello che si dissero: Guy se ne andò dalla locanda per primo con in mano una nota scritta che recava un nome e un ora prestabilita, nessuno lo rivide nei giorni successivi.