domenica 30 settembre 2012

stella del mattino - day 7



Apro gli occhi. Il sole illumina le pareti della tenda chiamandomi fuori. Apro la bocca del nostro rifugio e davanti mi si para il prato verde, i muretti a secco, il tetto aguzzo dell'unica casa, bianca, e sullo sfondo il profilo dell'Irlanda, ancora coperta di nubi. Le altre tende sono ancora chiuse.
Prendiamo il cibo e scendiamo in riva al mare. Ci sediamo sugli scogli a fare colazione, mentre intorno i gabbiani lanciano i loro richiami nell'aria. Il mare è blu, bellissimo. Vagamente, lontano, vediamo del movimento, qualche gruppo in bicicletta che scorre sul profilo dell'isola.
Tornando verso il porto passiamo davanti al Joe Watty's, il bar dove abbiamo cenato ieri sera. Sui tavoli in legno ci sono ancora una dozzina di boccali vuoti che aspettano di essere rigovernati. Proprio di fronte sta una casina bianca con una porta sopra la quale campeggia la scritta: Comhar Creidmheasa Àrainn Teo. Evidentemente un piccolo (e a quanto pare l'unico) istituto di credito dell'isola.
Poco più avanti, nel breve selciato di fronte ad un'altra casetta, troviamo uno strano grande contenitore di metallo, che riconosciamo essere la buchetta del servizio postale. Servizio che, ovviamente, è costituito dall'unica stanza che si trova all'interno.
Poi, come una visione cubana nel mezzo della terra gaelica, ecco un edificio senape con un preciso zoccolo rosso ed una malandata porta in legno colorata di marrone. Un'astuta fascia bianca sotto la trabeazione riporta a caratteri neri il nome del luogo. E nel mezzo del selciato ecco passare un gallo, tronfio, nella sua passeggiata mattutina.


nessuno



"Perchè se ne sta qui tutto solo?", chiese Alice, non volendo iniziare una discussione.
"Diamine, perchè con me non c'è nessuno!", gridò Humpty Dumpty.

Lewis Carroll

domenica mattina




Mi sveglio e penso a te.
Sei un pipistrello che vola nella mia testa.
E la tua decisione non mi dà pace.

sabato 29 settembre 2012

di miti e di stelle - day 6




Appoggio la testa sul materassino e guardo il cielo.
Nel mio stomaco riposa un'ottima cena di pesce, delle ostriche e due buone pinte di Guinness. Intorno non vedo altro che verde, muri a secco ed il cielo stellato sopra di me.
La Via Lattea. A quanto pare esiste ancora, nonostante continuiamo a spegnerla, ogni notte, accendendo le nostre mille luci. Le stelle, milioni di microscopiche pagliuzze d'oro sparse nella notte, confuse e lontane. Eppure qualcuno, quando ancora l'immaginazione era scienza e la mitologia storia, ci riconobbe delle figure, ci seppe leggere dei racconti. Racconti che parlavano di semidei che cercavano l'immortalità nel seno della madre di tutti gli dei. Di combinazioni evocative di astri che influivano sul carattere delle persone, sul loro destino. Che stupore doveva suscitare, allora, la notte. Allora che molto era ignoto ed immensa era la meraviglia.
Parliamo, io e Lompa, mentre l'umidità risale dall'oceano e si posa su di noi. Di fronte a tutto questo è impossibile abbandonarsi a discorsi futili ed è come se la natura desse nuovo peso ai nostri pensieri. Fino a tarda notte, fino a che le parole cominciano a rallentare, a sfumare.
È il dieci di agosto. Una maestosa stella cadente fende il cielo da nord a sud e spegne la notte.

teampall chiarain - day 6



La costa è ricca di ciottoli rotondi e grosse pietre levigate. Strane alghe scure si annidano là dove la marea scende, presto beccate dai gabbiani. Poco più in alto, negli anfratti della roccia cresce qualche sparuto e rigoglioso ciuffo d'erba. Al largo, dove le onde diventano indistinte ed il colore omogeneo, si riconosce la sagoma della madrepatria, dell'Irlanda, e ricalcata su di essa la sagoma bianca e sottile delle nuvole.
Ci addentriamo vagabondando tra segnali turistici e muretti a secco. Giungiamo ad un'antica chiesa riportata con il nome di Teampall Chiarain. Come tante altre, questa ha perduto completamente il tetto ma ha conservato perfettamente le mura perimetrali, trasformandosi così, anch'essa, nell'ennesimo recinto di pietra. Sui due lati corti è ancora ben visibile il timpano che sosteneva la copertura ed in uno di essi è ricavata la monofora dell'abside. Uno dei lati lunghi accoglie, invece, l'ingresso,  una bella apertura ad arco acuto sagomato. Le pareti sono costituite da grosse pietre sbozzate e sovrapposte a filari orizzontali. L'interno, senza pavimentazione ma con un acciottolato sparso, presenta qualche semplice nicchia ed i resti di un piccolo altare addossato alla parete. Nel prato che circonda la chiesa diroccata si trova una stele, una lama di pietra decorata con motivi celtici e con un foro perfettamente cilindrico. I resti di quella che probabilmente doveva essere una meridiana orizzontale.
Comincio a capire il fascino subìto dai tanti che hanno visitato queste isole nei secoli e l'aura di pace che si sono portati a casa. L'oceano, il sole, gli animali che si sentono ancora indisturbati padroni della terra e dell'acqua. Una natura pacata e silenziosa. Le opere dell'uomo, fatte della stessa materia di cui è fatta l'isola, composti in trame o in edifici, preservati o divenuti ruderi e tornati, quindi, natura, mi appaiono come veri capolavori di land-art inconsapevole e ante litteram.

a secco - day 6



Per fortuna siamo riusciti a salire sull'ultimo traghetto in partenza da Rossaveel ed in breve tempo siamo arrivati su Inis Mòr, la più grande delle tre isole Aran. In biglietteria ci avevano detto che non c'erano più posti disponibili sull'isola, ma con un po' di insistenza siamo riusciti a sapere che esiste un camping e là dovremmo poterci accampare per una manciata di euro. Camminiamo lungo una delle due strade che si allontanano dal porto, unico punto dove esiste realmente un paese, costituito peraltro quasi unicamente da negozi di maglioni, di noleggi di biciclette e di b&b. La stradina, stretta e a doppio senso di marcia, è spesso bordata da muretti a secco che recingono le proprietà. Questi muretti, costituiti da grigie pietre anche di grosse dimensioni continuano per tutta l'isola tramando i campi come una rete, opera di un assurdo ragno scultore. A quanto pare, infatti, l'isola è un immenso piano inclinato di pietra calcarea al di sopra del quale si è formato un sottile strato di terra. Per questo motivo gli alberi sono praticamente assenti, non esistono appezzamenti coltivati ed i campi sono lasciati a foraggio per qualche vacca o cavallo. Le pietre, come avviene in Puglia, vengono estratte dissodando i campi e vengono poi riutilizzate come recinzioni. Gli abitanti di queste parti per secoli hanno vissuto unicamente di ciò che dava loro il mare, esportandolo in Irlanda a cambio di legname da costruzione e torba per il riscaldamento. Durante i lunghi inverni burrascosi si tenevano occupati raccogliendo alghe dalla costa per usarle (come i giapponesi) per la concimazione dei pascoli.
Abbiamo lasciato il porto da una buona mezz'ora, il centro abitato si è disgregato in una serie di villini sparsi, ed ancora il camping non si vede. Il sole come al solito finge di tramontare scorrendo lentamente verso la superficie dell'oceano e lasciandoci per lungo tempo in questa luce morente. Lentamente ci supera un carretto trainato da un cavallo. Chiediamo al ragazzo dove sia il camping e questi ci indica una stradina laterale che scende sulla destra avvicinandosi con qualche curva alla costa. Scendiamo e scoviamo alcune tende dentro ad uno degli infiniti recinti di pietre. Entriamo da un piccolo cancello di ferro battuto e tutto quello che troviamo sono quattro tende disposte ai quattro angoli dell'appezzamento ed un casotto piccolo con i bagni. Tutto qua. Niente reception, nessuna registrazione, nessuno cui pagare. Piantiamo la tenda, lasciamo i bagagli e ci avviamo verso la costa.

venerdì 28 settembre 2012

predestinato



Bei personaggi, gente con una tenacia che oggi pochi sembrano avere, distratti come si è da mille impegni e, in fondo, non impegnati più in nulla. Questi erano personaggi con una sola idea, ma quella era ferma, sicura. Era anche gente con poche scelte e forse proprio per questo più dura e in fondo più felice. [...] le sue scelte erano estremamente limitate, e con ciò aveva un "destino". Oggi le alternative di ciascuno sono molte di più, la mobilità sociale ha aperto a tutti la possibilità di aspirare a qualsiasi cosa, ma con ciò nessuno è più "predestinato" a nulla. È forse per questo che la gente è sempre più disorientata e incerta sul senso della propria vita.

Tiziano Terzani

torba - day 6




Acqua. Acqua che affiora trai ciuffi d'erba, che si fa spazio tra le piccole colline, che circonda i segnali stradali. Uno specchio di cobalto, come fosse la sostanza della terra. Ovunque. Ed una strada che corre, disegnando curve inspiegabili in mezzo a questa piana palude rigogliosa e soleggiata.
E finalmente capisco cosa sia una torbiera.

giovedì 27 settembre 2012

kylemore - day 6



A quanto pare al signor Henry la zona era piaciuta alquanto. D'accordo, la strada passava proprio tra il lago e la futura residenza, ma questo non era un gran problema. Aveva appena abbandonato la professione di medico per gestire gli affari del padre a Manchester, ed i soldi certo non gli mancavano. Decise allora, anni dopo quella magnifica luna di miele, di acquistare tutta l'area a nord della Diamond Hill e di spostare la strada sulla sponda opposta del lago di Kylemore. Ingaggiò un centinaio di braccianti, presi tra la povera gente del posto, che per quattro anni si sarebbero dovuti dedicare alla costruzione dell'ambizioso castello.
Il signor Henry era benvoluto dagli abitanti della provincia, e la sua fama si espanse ben presto in tutto il Connemara. Di indole profondamente romantica, non peccava tuttavia di senso pratico e lungimiranza. Fu così che quando conobbe il signor Fuller, uomo che esercitava la propria professione a Manchester ma originario del Kerry, pensò di affidare a lui l'ambizioso progetto. Da parte sua l'architetto, interpretando lo spirito del suo committente, decise di cedere alle proprie inclinazioni per un certo gusto eclettico, recuperando elementi dal linguaggio gotico ecclesiastico e militare.
Quattro anni dopo l'uomo, che nel frattempo era divenuto parlamentare della Regina con al seguito una famiglia di nove figli, si trovò di fronte una facciata in pietra dominata da un massiccio corpo centrale di tre piani, affiancato da uno snello torrino ottagonale e due ali asimmetriche di due piani. Al di sopra del portale di ingresso, concluso con un curioso arco a sesto acuto ribassato, campeggiava un grande bow-window a due livelli di bifore sovrapposte, che illuminava la scala monumentale all'interno. Questa dava accesso a tutto il complesso, con le sue 33 camere da letto e 4 bagni,  la sala da ballo, quella per il biliardo, lo studio, l'aula dedicata all'insegnamento, la sala per fumatori ed quella per le armi, oltre ad un certo numero di stanze per domestici e servitù.
Un miglio più a ovest, al limite della tenuta, ordinò la costruzione di uno degli ultimi giardini murati d'Irlanda: sei acri di terreno, perfettamente esposti a sud e protetti dai venti freddi del nord, tre dei quali dedicati a giardino di piacere e tre ad orto. Al fine di mantenere la produzione per tutto l'anno, fece erigere una ventina di serre in ferro e vetro al di sotto delle quali crescevano le più varie specie di  ortaggi e frutta. Appassionato delle ultime innovazioni tecniche, Mitchell Henry predispose, oltre ad una piccola centrale idroelettrica, un sistema di canalizzazioni interrate che dalla dimora principale portavano aria calda fino alle serre garantendone un clima ottimale anche nei freddi inverni.

Purtroppo l'idillio del suo Paradiso personale durò ben poco. Infatti sette anni dopo, di ritorno da un viaggio in Egitto, la moglie si ammalò di una strana febbre ed in breve tempo si spense, coccolata fra le mura del castello che lui aveva costruito. Il signor Henry rimase, comprensibilmente, profondamente scosso. Tutto l'ingegno, l'impegno, l'amore e l'armonia con cui egli l'aveva circondata non erano stati sufficienti a garantir loro che un paio di anni di felicità. Affranto ma indomito, decise allora di far costruire in suo onore, vicino alla sponda del lago, una piccola chiesa. Eppure lo stile gotico poco si addiceva alla grazia e femminilità della defunta moglie. Quello che il signor Henry cercava era uno scrigno dove cercar conforto, un'alcova calda che si specchiasse sulle gelide acque del lago. Cominciò a prendere forma un progetto dove non vi fossero più, sotto le gronde, mostruosi gargoyles ma angeli proiettati verso il cielo. Nelle facciate fiorirono una gran quantità di piccoli rosoni, le nervature della copertura si incrociarono in grappoli floreali, una trama di petali lapidei rivestì le pareti. Nè badò a spese per ottenere l'effetto che desiderava. Internamente, ad impreziosire la superficie di arenaria, vennero collocati fasci di colonne costruite con le pietre provenienti dai quattro angoli dell'Irlanda, dalle nere pietre vulcaniche ai marmi pregiati. Un tappeto in legno sosteneva le file di panche, riscaldate da canalizzazioni ipogee.
Ma tutto questo non bastò. E non fu sufficiente neppure erigere un piccolo mausoleo, al riparo di uno dei grandi alberi. Il signor Henry non riusciva più sopportare di vivere da solo in quel luogo, in quella terra così ambita e a cui aveva dato tanto. Decise allora di abbandonare Kylemore. Abbandonando la sua dimora alle nebbie dell'ovest.


indomita



Con i denti. Le unghie, l'entusiasmo ed i denti.
Ad affermar continuamente la nostra libertà, non solo nonostante le difficoltà, ma anche grazie ad esse.
Una vita cercata, bramata ed afferrata. Una vita sofferta e piena. Indomita.
E che inizia quando meno te lo aspetti.

lunedì 24 settembre 2012

il sostegno




Arrivo al Sostegno dei Landi, rallento e comincio a camminare. La corsa, in fondo, non era altro che una scusa. La casa di manovra è un edificio fatiscente del secolo scorso con semplici modanature in mattone a vista, affiancato da quel che resta di un'ex-cartiera. Doveva avere una sua dignità, una volta, mentre ora le gronde sono divorate dall'ossido, le tegole rotte o scomparse. Risalendo il canale noto un signore che vanga il piccolo triangolo di terra che si trova tra il sentiero ed il Canalazzo. Poco più avanti c'è un ragazzo, probabilmente un gitano, che è entrato in una recinzione ed ora salta tutto contento su di un gigantesco tappeto elastico. Passo sotto il cavalcavia della tangenziale. Qui i resti di un'umanità reietta non sono neppure occultati. Trai grandi piloni di sostegno si trovano materassi, carrelli, vestiti e su di tutto ciò campeggia un grande murales: il mondo è ammalato. Stretti tra le sponde del maleodorante canale ed i piloni, a contatto con tutti gli animali che lo abitano, per tetto la tangenziale, qui "risiedono" almeno un paio di persone. Dall'altra parte del Navile una recinzione circoscrive un campo con alcuni furgoni parcheggiati ed i segni, anche qui, di una vita nomade. Proseguo lentamente, mentre sciami di zanzare banchettano amabilmente su di me. Passato il cavalcavia un profumo di uva e di mosto mi pervade. Sull'altra sponda si trova, malconcia, una vigna. In poco tempo arrivo al Sostegno dei Torreggiani, ormai in rovina. Continuo a costeggiare i due canali, uno dei quali ormai non è altro che un letto in secca ricoperto di vegetazione. Arrivo ad un ristorante, da Sandro sul Navile. Incredibile come anche oggi i camerieri preparino i tavoli, i cuochi cucinino, ed il padrone del locale si aggiri cercando di assicurare un minimo di decoro a questa casa gettata su queste acque che profumano di fogna. Gli asciugamani e le tovaglie stese ad un filo ancorato tra due alberi, a pochi centimetri dalla selva di giunchi che ha preso il posto del piccolo canale, mi ricordano scene in bianco e nero da inizio secolo.

giovedì 13 settembre 2012

monaci





C'è un momento in cui ci guardo e non posso fare a meno di sorridere.
Io che ti parlo in inglese mentre sbraiti con tua sorella in spagnolo, e lei che mi spiega in italiano. Ed è bello guardarci sotto questo cielo stellato, questi alberi ancora verdi, in mezzo al biergarten. Sapere di avere qui un'isola, un rifugio perenne, una seconda famiglia, un nido di anormalità confortante.

mercoledì 12 settembre 2012

diamond hill - day 5




La chiamano Diamond Hill, anche se il crinale in realtà è ben più esteso di quanto si immagini. È da qui che si domina il Connemara Park in tutta la sua maestosità. Ed è da qui che non si può fare a meno di rimanere meravigliati.
Tutto intorno, fino all'orizzonte (fino alle montagne erbose, fino ai laghi profondi e allo sconfinato oceano) la natura regna sovrana, padrona dello spazio e del tempo da sempre. Non strade, non case, non ponti. Non vi sono ferite artificiali a tagliare il suo corpo, ma crepe scavate da ruscelli e fiumi, conche riempite dall'acqua e foreste improvvise. Solo si intuisce qualche piccola casa svanire nell'orizzonte della costa, nascosta nella boscaglia fitta del lago, ed una lingua in doghe di legno che sorvola la grande torbiera.
Il resto è natura, pura e incontaminata.


omey island - day 5



Poi la marea scende e lentamente scivola acqua su acqua. Gli scogli diventano rocce, le alghe si sdraiano sul fondale ed i pesci riprendono il largo. L'oceano, piano piano, lascia il posto alla sabbia fino a che quella che era una piccola isola diviene una penisola, un piccolo mondo ricongiunto alla terra madre da un ampio cordone ombelicale d'arena bianca. La spiaggia più chiara, ampia e pacifica che abbiamo visto in tutto il Paese.
È l'isola di Omey, che nel suo appartato silenzio custodisce un lago ed un cimitero.


martedì 11 settembre 2012

più moralità




Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli a essere onesti, non furbi.
Riprendiamo certe tradizioni di correttezza, rimpossessiamoci della lingua, in cui la parola "dio" è oggi diventata una sorta di oscenità, e torniamo a dire "fare l'amore" e non "fare sesso". Alla lunga anche questo fa una grossa differenza.

Tiziano Terzani

mercoledì 5 settembre 2012

danza urbana





E ad un certo punto la città non c'è più. O meglio. Non è proprio che non ci sia più. La Rossa continua a circondarci ma rapidamente scompare, svanisce. Si eclissano gli edifici di via Don Minzoni nella luce della sera, sfuma la massiccia schiena del Mambo, svapora questo canale in secca che ci divide da lei.
Sì, perchè è lei, Emily Tanaka, che ha spento le luci sulla platea cittadina per accenderne una, microscopica, su di sè. Strane scarpe in pelle scura ai piedi, fasce nere aderenti a disegnarle le ginocchia, un vestito corto, comodo, nero anch'esso, tagliato sulle spalle, una frangia di capelli nerissimi. E tutto ciò che emerge è una pelle perlata e due occhi inequivocabilmente orientali.
Si muove, Emily, confinata tra il letto sfatto del canale e l'alta parete in mattoni. Aspetta che la penombra della sera si porti via le ultime certezze, lascia scorrere stralci di musica, lo spirito dei Mogwai, e poi si scosta lentamente, con movenze antiche e moderne, un automa preistorico, la rozza primitività di una corporeità fluida. E così se li porta via. Lo spazio, risucchiato in quelle movenze magnetiche che riducono il mondo alla sfera che la circonda, quella piccola bolla di luce creata dalla lanterna che lei porta a spasso. Gli occhi sfarfallano nel tentativo di catturarne i movimenti, traditi da una notte che ancora non è. Si porta via il tempo, scuotendosi, voltandosi al rallentatore, comprimendo passato e futuro con il suo cibernetico camminare a ritroso.
E si porta via le nostre pene, stregate da un connubio impossibile tra l'anima nipponica e le sonorità elettroniche.

domenica 2 settembre 2012

due di due




Quando l'incidente capita a un maschio, e l'infortunato si mette a piangere, gli altri si aspettano da lui che esca dall'azione e smetta di lamentarsi, in modo che il gioco possa proseguire. Se la stessa cosa accade in un gruppo di bambine, il gioco si ferma e tutte si raccolgono intorno all'amica che piange per aiutarla. 
[...] i maschi vanno orgogliosi di un'indipendenza e un'autonomia tipica del tipo duro e solitario, mentre le femmine si interpretano come elementi di una rete di connessioni. Pertanto, i bambini si sentono minacciati da qualunque cosa possa mettere in discussione la loro indipendenza, mentre le bambine lo sono di più da una rottura nelle loro relazioni interpersonali.

Daniel Goleman - Intelligenza emotiva