Ci passi giorni su quella sensazione, come una puntina di grammofono su un disco incantato, senza capire bene cosa sta leggendo. Lo ripete, instancabilmente, una nenia da vecchio paranoico. Alla fine, a furia di non capire e di cantilenare gli stessi versi, è la puntina che si sente presa in giro dal disco, incastrata nel suo roteare circolare e infinito.
E così tu. Assorbito da una nube di sensazioni che non riconosci, che stanno dentro di te ma che non riesci ad interpretare, che ti prendono per la gola invece che per mano. Schiavo di un mancato linguaggio di conversioni tra il tuo corpo e te, tra il tuo io interiore ed il tuo io cerebrale.
È lì che ti chiudi nel silenzio, convinto che escludendo il resto, ripulendo l’aria dal rumore del mondo e concentrandoti sulla tua musica, quella musica che tale non è più, distillando le tue parole inespresse possa arrivare a capirle.
E non è che tu non le veda le facce di chi ti sta intorno, di chi ti guarda tentando di aiutarti a uscire da quel vortice, a decifrarti. Ma è un affare che non li riguarda. È un affare tra te e i tuoi demoni interiori.
È una sfida eterna, ancestrale e infinita.