domenica 23 luglio 2006

vagabondo

Si guardò mentre appoggiava la scatola del succo per terra e si scoprì a pensare:
“Quanto rapidamente un uomo può raggiungere il fondo.”
Si guardò intorno. Lo stanzino era buio. Solo la luce azzurrognola dello schermo del suo portatile albeggiava e disegnava i confini dello spazio. Sul tavolino, incredibilmente rotondo, erano sparsi i semi del suo umore. A guardarli neppure lui riusciva a credere all’incredibile degrado cui si era lasciato andare.
Si vide pochi minuti prima mentre mangiava avidamente brandelli di baguette e scacchi di cioccolata da 50 centesimi. La sua cena. Le sue aspirazioni ad alcolizzarsi naufragavano in un bicchiere sporco di succo. Neppure quello gli era riuscito bene.
Fuori l’autunno di Granada si faceva sempre più freddo.
“La solitudine gioca brutti scherzi. Eccomi qui a cercare di ammazzare il tempo con il ticchettio dei tasti di un computer.”
Le briciole di pane e gli aloni di succo disegnavano la superficie del tavolo sul quale stava lavorando, se così si può dire. Di fianco, il cellulare, in attesa di una chiamata di qualsiasi persona, purchè lo portasse via da questo stato di sospensione.

Poi entrò Michael. Quello strano ragazzo dai rossi basettoni arruffati riusciva sempre a farlo ridere. E cominciò a mettere un po’ a posto.

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