martedì 6 febbraio 2007

ipse dixit. Rem Koolhaas

Bello come l’incontro fortuito, su un tavolo anatomico, di una macchina da cucire e di un ombrello.

Il manhattanismo […] è un movimento che ha a che fare con la centrale e paradossale fonte di infelicità e di ansietà della Metropoli: il fatto che talune concentrazioni di persone su un’area ristretta e la conseguente proliferazione della tecnologia costituiscono una esplosione del Possibile tale da cancellare la Realtà “naturale”.

Anche i bastardi sono dotati di un albero genealogico.

Dove non c’è nulla, tutto è possibile. Dove c’è architettura nulla (altro) è possibile.

L’edificato, il pieno, è ormai incontrollabile, in quanto terreno d’azione di forze politiche, finanziarie e culturali che lo sottopongono a un perpetuo processo di trasformazione. Ma non così il vuoto: è questo, forse, l’unico campo rimasto in cui sia ancora possibile qualche certezza.

Junkspace è spesso descritto come uno spazio di flussi. Ma è una definizione sbagliata. I flussi dipendono da movimenti disciplinati, corpi che restano uniti. Benchè sia un’architettura delle masse, ciascuna traiettoria è rigorosamente unica. Junkspace è a tela senza ragno. Questa anarchia è uno degli ultimi modi tangibili con cui misuriamo la nostra libertà. È uno spazio di collisione, un contenitore di atomi. È sempre attivo, non denso.

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