È proprio nel viaggio per raggiungere Ronda che scopro il posto dove nascono tutti gli sfondi di Windows. Una specie di riserva naturale, un ritrovo per l’accoppiamento di colline di girasoli. Una secca dove si sono arenate le piccole curve del mondo, dando origine ad un insolito paesaggio, dove la natura fa da sfondo a se stessa. La strada che ci porta ad attraversare la scena di questo naufragio senza dramma non è che una piccola ferita, che si rimarginerà appena avremo passato l’orizzonte.
Torno a salutare ciò che in passato è stato teatro di piccole avventure con altri amici in altre lingue, ma il medesimo caldo. Cerchiamo riparo in un bar. Sullo sfondo di una grotta ritagliata nella roccia, addobbata con tessuti peruviani (che non si sa bene cosa ci stiano a fare in mezzo alla calura andalusa), ci sediamo a bere birra di fianco ad una coppia. Scambiamo due battute in inglese e scopriamo che lui è un gallese trapiantato in Canada, che viaggia come ricercatore tra America e Europa. Lei, di origine armena ma nata in Iran e trasferitasi poi in Kuwait, lavora in Canada. Guarda un po’ cosa puoi trovare nascosto nel culo della terra di un paesino.
Torno a salutare ciò che in passato è stato teatro di piccole avventure con altri amici in altre lingue, ma il medesimo caldo. Cerchiamo riparo in un bar. Sullo sfondo di una grotta ritagliata nella roccia, addobbata con tessuti peruviani (che non si sa bene cosa ci stiano a fare in mezzo alla calura andalusa), ci sediamo a bere birra di fianco ad una coppia. Scambiamo due battute in inglese e scopriamo che lui è un gallese trapiantato in Canada, che viaggia come ricercatore tra America e Europa. Lei, di origine armena ma nata in Iran e trasferitasi poi in Kuwait, lavora in Canada. Guarda un po’ cosa puoi trovare nascosto nel culo della terra di un paesino.
A quanto pare lo sport più praticato a Malaga nei sabato pomeriggio di luglio è sposarsi. La città è invasa dai vestiti sgargianti di un popolo esuberante di più o meno giovani. Cerco di sondare i bassi fondi della città, ma la mia compagnia non approva, e ripieghiamo verso il centro.
Attraverso il portico del primo piano del Museo Picasso e mi affaccio al patio principale del palazzo. Le tende sono raccolte e i tetti inquadrano la notte malagueña. Scendo nel piccolo patio secondario, dove tra una parete di edera e una fontana intagliata nel pavimento un messicano fa scivolare le note di un flamenco un po’ troppo secco tra le orecchie degli ascoltatori.
Verso le 3 del mattino cerchiamo momentaneo riposo al nostro vagare e ci sediamo sulle panchine di una piazza. Dopo poco un ubriaco si avvicina e si siede di fianco a noi. Con la precisione che un’acuta intelligenza o una stupidità allenata possiedono, mi dirige una frase, abbattendo in me ogni resistenza. “Non preoccuparti troppo per la vita. Nessuno ne esce vivo”. Ecco fatto. Bastano quattro suoni biascicati nella lingua della notte e già mi ritrovo a sondare la vita di quest’uomo. Dalle sporadiche bolle di lucidità che escono dalla sua bocca deduco le sue origini, il suo trasferirsi da Madrid nel sud. Cerco di dialogare, ma l’alcool e l’ora l’han reso sordo. A quanto pare era amico di Camaròn. E a quanto pare ultimamente ha avuto l’occasione di parlare anche con Pitagora, e di manifestargli il suo dissenso per come abbia risolto le equazioni di secondo grado. Saluto il mio amico e Pitagora e cerchiamo un posto dove passare le ultime ore.
In cammino verso la spiaggia ci incontriamo un chiosco. La Ceci propone un ultimo shot, e ci avviciniamo al chiringuito. Salutiamo e subito veniamo accolti con simpatia. Il ragazzo seduto al bancone ci consiglia di prendere una tequila, che altrimenti la bottiglia se la deve finire lui e proprio non ce la fa. Il suo amico Boliviano ride e ci invita a unirci. Il barista ci versa 5 tequila e brindiamo insieme. Ancora una volta, sotto un tetto di palme alte fino al cielo, mentre la città dorme, incrociamo le nostre storie con quelle di stranieri. Il barista, che ci ha preso in simpatia, ci offre un liquore di erbe che non possiamo trovare da nessun'altra parte, a quanto ci dice. "Penso di comprarlo solo io" ci dice con una risata. Tracanniamo e salutiamo, lasciandoli a discutere di quale sia l’idioma più difficile da imparare. Circumnavighiamo il porto e ci spostiamo verso la spiaggia.
Verso le 4.30 ci accampiamo sulla sabbia coi nostri teli, pronti a dormire almeno fino al sorgere del sole. Intorno a noi c’è chi passa la notte cantando, bevendo. Ci stringiamo per difenderci dalla brezza notturna e ci abbandoniamo a un sonno pesante.
Attraverso il portico del primo piano del Museo Picasso e mi affaccio al patio principale del palazzo. Le tende sono raccolte e i tetti inquadrano la notte malagueña. Scendo nel piccolo patio secondario, dove tra una parete di edera e una fontana intagliata nel pavimento un messicano fa scivolare le note di un flamenco un po’ troppo secco tra le orecchie degli ascoltatori.
Verso le 3 del mattino cerchiamo momentaneo riposo al nostro vagare e ci sediamo sulle panchine di una piazza. Dopo poco un ubriaco si avvicina e si siede di fianco a noi. Con la precisione che un’acuta intelligenza o una stupidità allenata possiedono, mi dirige una frase, abbattendo in me ogni resistenza. “Non preoccuparti troppo per la vita. Nessuno ne esce vivo”. Ecco fatto. Bastano quattro suoni biascicati nella lingua della notte e già mi ritrovo a sondare la vita di quest’uomo. Dalle sporadiche bolle di lucidità che escono dalla sua bocca deduco le sue origini, il suo trasferirsi da Madrid nel sud. Cerco di dialogare, ma l’alcool e l’ora l’han reso sordo. A quanto pare era amico di Camaròn. E a quanto pare ultimamente ha avuto l’occasione di parlare anche con Pitagora, e di manifestargli il suo dissenso per come abbia risolto le equazioni di secondo grado. Saluto il mio amico e Pitagora e cerchiamo un posto dove passare le ultime ore.
In cammino verso la spiaggia ci incontriamo un chiosco. La Ceci propone un ultimo shot, e ci avviciniamo al chiringuito. Salutiamo e subito veniamo accolti con simpatia. Il ragazzo seduto al bancone ci consiglia di prendere una tequila, che altrimenti la bottiglia se la deve finire lui e proprio non ce la fa. Il suo amico Boliviano ride e ci invita a unirci. Il barista ci versa 5 tequila e brindiamo insieme. Ancora una volta, sotto un tetto di palme alte fino al cielo, mentre la città dorme, incrociamo le nostre storie con quelle di stranieri. Il barista, che ci ha preso in simpatia, ci offre un liquore di erbe che non possiamo trovare da nessun'altra parte, a quanto ci dice. "Penso di comprarlo solo io" ci dice con una risata. Tracanniamo e salutiamo, lasciandoli a discutere di quale sia l’idioma più difficile da imparare. Circumnavighiamo il porto e ci spostiamo verso la spiaggia.
Verso le 4.30 ci accampiamo sulla sabbia coi nostri teli, pronti a dormire almeno fino al sorgere del sole. Intorno a noi c’è chi passa la notte cantando, bevendo. Ci stringiamo per difenderci dalla brezza notturna e ci abbandoniamo a un sonno pesante.
2 commenti:
verAMENente non si vince mai in questa cazzo di vita..si finisce sempre ad essere più piccoli di ogni altra cosa, sembra che anche una brezza di dolore possa annientare inesorabilmente la bellezza del nostro "semplicemente esistere" e rimane solo il dolore come unico ricordo, i bei momenti smettono di esistere il male rimane per sempre.
non sono d'accordo.
non credo che una brezza possa spazzar via la felicità. e di solito la memoria funziona esattamente al contrario. pulisce il ricordo e lo trasforma in un piccolo gesto eroico. anche il dolore diventa dolce e confortante.
i bei momenti cambiano volto e colore ma non smettono di esistere.
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