Cos’è un blog?
Direi che è una domanda legittima per tutti i profani delle innovazioni informatiche come sono io.
La risposta: ecchennesò?
Ossia: un giorno Palmisia disse: perché non fai un blog? È semplicissimo, vai alla pagina blablabla.com e lo fai.
A cosa serve un blog?
Visto che già posso contattare per mail tutta la gente con cui voglio comunicar perché dovrei fare un blog?
La risposta: ecchennesò?
Ossia: come ben sanno gli “amici del muretto del concorso” mi hanno sempre attratto le novità (internazionalità, loghi, video, internet, siti, alla caccia di soldi e assessori, sale a pagamento non pagate,..) e questa era una di quelle novità così novità che neanche so come funziona. Direi che l’idea è abbastanza allettante, no?
Cosa si mette in un blog?
Ossia: cosa ci può essere nel mio blog che possa interessare me o gli altri?
La risposta: ecchennesò?
Ossia: metterò un po’ tutto quello che mi venga in mente. Che in realtà non sarà molto. Perché mi stancherò presto.
Conclusioni dell’editore.
Non chiedetemi spiegazioni
Questo blog sta qui, e tanto basta. Godetevi i 2 minuti di sollazzo che vi regala e se non ve li regala.. pace.
Per ogni spiegazione esistenziale rivolgetevi pure al mio consulente: Palmi
Adios
m
martedì 28 marzo 2006
domenica 26 marzo 2006
lunedì 20 marzo 2006
minimal2
Cammino per strada e cerco di capire quel che devo fare. Una miriade di pensieri e di immagini mi affollano la mente spaesandomi. E allora penso: ci vorrebbe la semplicità, ridurre le cose all’essenziale, al nocciolo duro delle cose.
E penso questo
E mi rendo conto che altro non è che il minimalismo, l’epuriazione del superfluo dalle forme del vivere.
E mi rendo conto che è lo stesso oggetto che mi ha fatto pensare esattamente il contrario.
E penso questo
E mi rendo conto che altro non è che il minimalismo, l’epuriazione del superfluo dalle forme del vivere.
E mi rendo conto che è lo stesso oggetto che mi ha fatto pensare esattamente il contrario.
mercoledì 8 marzo 2006
Minimal
L’architettura si occupa dello spazio, però di quella parte dello spazio caratterizzata dalla presenza umana. Per quanto siano “spazi”, ossia realtà con 3 dimensioni, non sono campi dell’architettura lo spazio siderale né la profondità della terra. Almeno finchè non si decide che essi dovranno accogliere l’uomo.
Come diceva un mio vecchio professore, l’architettura è caratterizzata da uno spazio vuoto interno percorribile; sperimentabile direi ora. E questo aggettivo fa la differenza tra l’astrazione fisica dello spazio e la realtà umana nella quale opera l’architettura.
Per questo le architetture minimaliste cadono al confine tra architettura e scultura, tra luoghi costruiti per l’uomo e l’astrazione mentale di spazi composti cartesianamente.
Il passaggio del tempo, della vita, su quello che nel minimalismo diventa un vero e proprio “oggetto” architettonico, segna il degrado dell’oggetto stesso, perché la perfezione che lo informava ne è stata attaccata. Sono spazi che richiedono ordine, pulizia, biancore, e in ultima analisi, l’assenza dell’uomo. Perché in tante foto di progetti minimalisti gli spazi compaiono vuoti? Proprio perché la presenza di un essere umano altera la composizione astratta e teorica di questi spazi. Ossia: sono concepiti per essere rappresentati, fotografati, renderizzati, immaginati, ma una famiglia, un gruppo di amici si sentirebbero a disagio ad utilizzare di questo luogo.
La produzione di questi progetti può essere legittimata dall’essere esercizi compositivi, ma la loro realizzazione è dovuta a una miopia nel riconoscere gli obiettivi veri dell’architettura. È come se si pretendesse di far capire a un alieno che cosa è l’uomo mostrandogli la rappresentazione vitruviana. Anatomicamente e proporzionalmente perfetta, ma carente della peculiarità più importante: la vita, e tutte le eccezioni ed eccezionalità che l’imprevedibilità della vita portano con sé.
Una creazione spaziale che tema la presenza dell’uomo non può dirsi veramente architettura, in quanto l’architettura nasce appunto come espressione di un luogo per l’uomo.
Come diceva un mio vecchio professore, l’architettura è caratterizzata da uno spazio vuoto interno percorribile; sperimentabile direi ora. E questo aggettivo fa la differenza tra l’astrazione fisica dello spazio e la realtà umana nella quale opera l’architettura.
Per questo le architetture minimaliste cadono al confine tra architettura e scultura, tra luoghi costruiti per l’uomo e l’astrazione mentale di spazi composti cartesianamente.
Il passaggio del tempo, della vita, su quello che nel minimalismo diventa un vero e proprio “oggetto” architettonico, segna il degrado dell’oggetto stesso, perché la perfezione che lo informava ne è stata attaccata. Sono spazi che richiedono ordine, pulizia, biancore, e in ultima analisi, l’assenza dell’uomo. Perché in tante foto di progetti minimalisti gli spazi compaiono vuoti? Proprio perché la presenza di un essere umano altera la composizione astratta e teorica di questi spazi. Ossia: sono concepiti per essere rappresentati, fotografati, renderizzati, immaginati, ma una famiglia, un gruppo di amici si sentirebbero a disagio ad utilizzare di questo luogo.
La produzione di questi progetti può essere legittimata dall’essere esercizi compositivi, ma la loro realizzazione è dovuta a una miopia nel riconoscere gli obiettivi veri dell’architettura. È come se si pretendesse di far capire a un alieno che cosa è l’uomo mostrandogli la rappresentazione vitruviana. Anatomicamente e proporzionalmente perfetta, ma carente della peculiarità più importante: la vita, e tutte le eccezioni ed eccezionalità che l’imprevedibilità della vita portano con sé.
Una creazione spaziale che tema la presenza dell’uomo non può dirsi veramente architettura, in quanto l’architettura nasce appunto come espressione di un luogo per l’uomo.
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