Mi stendo sul prato a godermi finalmente gli ultimi raggi con negli occhi il sapore nuovo di un luogo conosciuto e riscoperto da straniero. Mi stendo con il mio sacco a pelo come cuscino pronto a contemplare la sinfonia della natura e del caos umano in festa, ma quel che sento resetta dalla mia testa ogni immagine e sapore appena creato.
È un accento. Una risata, una melodia che conosco. Non con queste voci, ma con la stessa allegria, la stessa voglia di vivere, la stessa forza.
È un gruppo di spagnoli sdraiato a rosolarsi al sole e a trasformare il tempo in compagnia. Improvvisamente si apre il baule dei ricordi e vengo sommerso da immagini in fuga, polaroid del passato e colonne sonore dimenticate. Sono dipinti di spensieratezza, di vita di strada, di tempo rubato coi denti alla normalità, di viaggi, follie e solitudini curate sul campo. Sono suoni di cañas, profumi di chorizo, gli schiamazzi del Salvador, i flamenchi improvvisati delle stradine interne. Cene a base di parole e birra, e poi ancora più indietro, confondendo i ricordi con le sensazioni, i colori con i suoni.
E così, mentre intorno Boboli si gode la sua prima domenica di primavera, dentro di me uno strano magma agrodolce si culla al suono di una lingua straniera.
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