Entrate, entrate.
Pensavamo che fossero muratori che ci offrivano di condividere con loro la pausa pranzo, un panino sotto un albero, e invece guarda cosa ci riserva il cammino di oggi.
Appoggiamo gli zaini ingombranti di fianco al camino di pietra e ci sediamo sulla panca, al centro della tavolata. Davanti a noi si siedono i figli, sei ragazzi trai tredici e i ventiquattro anni. Carnagione scura, lineamenti meticci, capelli crespi, quasi africani, occhi nerissimi, tutti vagamente bassi di statura. Le ragazze ci servono le pietanze per primi facendo la spola tra la cucina e la tavola, mentre i ragazzi chiacchierano con noi di università e viaggi.
Ci osservano con tranquillità, senza tradire stupore o timidezza. Ma mentre le ragazze controllano che non ci venga a mancare nulla, i maschi hanno uno sguardo falsamente disattento. Ogni gesto o frase lievemente anomala richiama, infatti, istantaneamente la loro attenzione, e accende quegli occhi di ossidiana. È il bagliore tipico dell’animale che studia chi è entrato, fortuitamente, nella sua tana.
Ad un capo della tavola siede quello che sembra essere il padre. Un uomo magro e alto, siciliano emigrato qua, sull’Appennino Romagnolo, neppure ventenne. Fratello, a quanto dice, di un famoso imprenditore del milanese. Parla a voce bassa, col tono sommesso e lento di chi ha poca istruzione e troppa fede. La preghiera che inaugura il pranzo è un misto tra un’invocazione contadina e un rito da pastore americano.
All’altro capo, in silenzio, intento a mangiare, siede quello che a quanto pare è un cugino. Un ragazzo con qualche anno meno di noi, che si è unito alla famiglia per aiutarla coi lavori edili nel cortile di casa.
Di fianco a noi si siede quella che, a questo punto, dovrebbe essere la madre. Una signora peruviana tracagnotta, alta meno di un metro e mezzo, con una rastrellata di capelli bianchi a trasformarle la chioma e darle un’età. Col caratteristico accento ispanico, mischiando l’idioma andino a quello nostrano, ci racconta del suo passato a Lima, dei suoi viaggi a Cuzco, dei suoi trasbordi a dorso di mulo o sui cassoni dei camion.
Le pietanze sono evidentemente quelle di una famiglia povera, ma con l’abbondanza di una piccola festa. Quella di avere due ospiti inattesi.
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