Si appoggia coi gomiti alla struttura che sostiene il bilanciere e mi guarda. I bicipiti gonfi, il fisico massiccio di un sollevatore di pesi professionista. Eppure il viso è quello di un uomo buono, glielo puoi leggere negli occhi e nella dolcezza dei lineamenti.
Sono ingegnere meccanico, dice. Ho fatto il dottorato e poi ho trovato lavoro in una piccola ditta che commerciava principalmente con gli Stati Uniti. Ma dopo l’undici settembre è arrivata la crisi e sono falliti. Adesso lavoro per una compagnia più grande, siamo una delle due al mondo che producono macchine per impacchettare sigarette. Lo so, lo so. Creiamo macchine che producono morte, come i produttori di armi. Ma, cosa vuoi, bisogna pur portare a casa i soldi. Poi, per lavarci la coscienza, doniamo un reparto all’ospedale S. Orsola o al Rizzoli, e ci sentiamo un po’ più a posto.
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