lunedì 15 luglio 2013

girasoli



L'aria dell'alba è frizzante, fresca dopo l'acquazzone estivo. Zaino calcato sulle spalle, passo saldo, mi avvio verso il lungo viaggio di oggi. Il profumo e le sensazioni tradiscono il passaggio degli anni e mi riportano alle mattine passate sul Cammino, ad infilare un passo dietro l'altro, a riempire gli occhi di pezzi di mondo.

È bastato un violento scroscio d'acqua notturno per paralizzare la stazione di Verona e farmi perdere la coincidenza. Mi dirigo allora verso il centro ad approfittare dell'imprevisto. L'Arena stira le sue rughe nell'aria opaca, il Castelvecchio continua a presidiare le acque dell'Adige, un tavolino in metallo accoglie il mio libro, all'ombra di un ampio platano.

Abbandono lo zaino sul parquet e mi affaccio, appoggiandomi al parapetto proto-liberty. Sotto di me, oltre i platani, il Rodano scorre mansueto sancendo il confine dei quartieri vecchi. Edifici maestosi, campanili a svettare sulla collina, la sagoma obesa dell'Opera ed un'aria da grande città.

La Croix-Rousse si lascia risalire, una lunga scalinata come un ombelico che la lega al fiume cui deve il suo passato industriale. Sulla cima, dal ristorante maghrebino, la città è uno spettacolo di lucciole artificiali, solcate dal fiume, movimentate dai rilievi. Una piccola Tour Eiffel scintilla sulla destra, proprio di fronte alla cattedrale.

Si salutano gli idiomi, si baciano guance sconosciute, si sfoggia tutti lo stesso sorriso. La famiglia di Alicia ci ospita e ci rappresenta: genitori originari del nord della Spagna trapiantati nel cuore della Francia, figlie splendide e perfettamente bilingui che tornano a rinsaldare il loro legame con entrambi i Paesi. Maria, granadina residente a Parigi, e Pierre-Maxim, tornato in patria dopo lunghi anni di permanenza in Sudamerica. Melanie e Charlie, a rispolverare esperienze estere ispaniche ed anglosassoni. Gaelle, che porta orgogliosa l'accento gallego misto ad un francese senza sbavature, reduce da Tahiti, dalla Guiana, pronta a trasferirsi in Estremo Oriente.

Si schiudono abbracci, si sciolgono parole di cui ci si potrebbe vergognare in altre occasioni. Si sigilla nuovamente la grandezza di quel che è stato. Si lascia agli sguardi ciò che le parole non sanno mai dire.

lunedì 8 luglio 2013

un camminatore



Infilo i passi uno dietro l'altro e percorro lentamente la cresta del calanco. Un ampio arco a picco sulle viscere aperte di Madre Terra. All'orizzonte, pericolosamente pendente su una delle ferite di argilla, un trattore incide la superficie erbosa, a pochi metri dal precipizio.
Il sentiero poi torna ad essere strada sterrata, fiancheggiata da palizzate ed appezzamenti di terreno. Mi fermo su questa soglia invisibile ad osservare calanchi e pendii. Dalla stradina emerge un signore, bastone ed abbigliamento tecnico un poco datato. Avanza con passo cadenzato, privo di fretta, il bastone a segnare la via poco prima di lui. Gli rivolgo un silenzioso cenno del capo
- Da solo? - mi domanda mentre mi sfila dietro senza fermarsi.
- Già - rispondo un poco sorpreso.
L'uomo passa oltre ed ho giusto il tempo di sentirlo dire "Un vero camminatore" prima che sia fuori portata per una risposta.

un'altra forma di destino



L'estuario di San Lorenzo era una risposta inattesa.
Alle spalle di Guy, seduta sul pagliericcio, Nancy Claus intratteneva le bambine. Spiegava che il fiume, migliaia d'anni prima, s'era scavato una via verso il mare. Aveva eroso il granito, strappato terra alle sponde, abbattuto foreste.
Guy pensò che a raccontarla in quel modo, sembrava che il fiume avesse deciso dove passare. In realtà, il San Lorenzo aveva eroso il granito che la corrente gli consentiva, non un granello di più. Aveva abbattuto foreste fin dove le piene riuscivano a salire e strappato la terra che si lasciava strappare.
A ben guardare, pur con tutta la forza delle sue acque, il San Lorenzo s'era dovuto accontentare dell'unico letto possibile. La scelta era soltanto un modo di dire, un punto di vista ristretto, che non teneva contro di troppi dettagli. Allo stesso modo, pensò, gli uomini si convincono di scegliere, ma il cammino che percorrono è sempre l'unico che hanno a disposizione.
Guy era il fiume. Pensò di aver preso la decisione migliore, ma solo perchè era l'unica possibile.
Il fiume doveva aprirsi la via fino al mare, per non finire in secca e morire.

Manituana - Wu Ming

venerdì 5 luglio 2013

orto dei giusti



Sette pelli. Sette grandi lenzuoli di cuoio. Sette tende nomadi, comprate a sette diverse famiglie Tuareg. Sette case di tela unite tra loro a formare un unico grande riparo sotto al cielo, tirate da cavi, lacci, fasce di cuoio. Sostenute da un reticolo di canne e bambù, puntellate da pali in legno scuro decorati da mani esperte, mani rifugiate in Paesi stranieri. E sotto tappeti, cuscini in pelle, in tessuto, enormi dischi di rame e stagno decorati con motivi mozarabici appoggiati su piedi in ferro battuto, tavoli pieghevoli, trasportabili. Sopra  piatti in ceramica spessa, pesanti, smaltati di colori sanguigni. Dentro ai piatti cous cous, falafel, salse piccanti e vegetariane. Intorno a noi tanti pantaloni arabeggianti e un unico, inimitabile, completo Tuareg, blu come la notte, a coprire da capo a piedi una pelle che sa di sole e di sabbia.

Ci guarda con aria serena ed un sorriso lunare. La barba lanosa, nera, scomposta da piccoli rasta naturali. Un copricapo in tessuto nero, una sorta di calza, ben calcata sul capo. Un vestito lungo, dai colori sgargianti, decorato all'inverosimile. Due grosse collane, due spessi anelli di cuoio striato di policromie pure. Due amuleti pensiamo, due regali diciamo, due doni ci risponde. Ci offre la sua bevanda, il caffè di Touba, una ricetta dove l'effetto della caffeina viene annullato aggiungendo un decimo di djar.

- Dove sei stato?
- Milano, Lombardia, Lecce, Sicilia, Campania
- E ti trovi bene qui?
- Qui o altrove, per me è uguale. Il cielo e la terra sono gli stessi ovunque. Avete solo pareti di cemento più alte.
- Eppure la gente è differente.
- Tutto sta nella testa.
Mi guarda e sorride.
- Però non puoi negare che ci siano luoghi dove si sta meglio che in altri.
Fissa gli occhi nella notte, pensieroso, e mi risponde.
- Hai ragione.
- E per te, quale è?
- Touba - mi dice-. C'è un posto, a Touba, che per me è quel posto, quello dove penso potrei stare bene.


Mi dà la mano, Djef, pelle ruvida e incartapecorita, un volto da ventenne e quasi quarant'anni nel passaporto. Ci salutiamo e ce ne andiamo, ognuno per la propria piccola strada.

giovedì 4 luglio 2013

responsabilidad de los arquitectos



Qué se puede esperar de una ciudad que le da la espalda a su río.
Buenos aires crece descontrolada e imperfecta: es una ciudad superpoblada en un país desierto. Una ciudad en la que se alzan miles y miles y miles de edificios, sin ningún criterio: al lado de uno muy alto hay uno muy bajo al lado de uno racionalista hay uno irracional al lado de uno estilo francés hay otro sin ningún estilo. Probablemente estas irregularidades nos reflejan perfectamente: irregularidades estéticas y éticas. Estos edificios que se suceden sin ninguna lógica demuestran una falta total de planificación. Exactamente igual es nuestra vida: la vamos haciendo sin tener la más mínima idea de cómo queremos que nos quede. Vivimos como si estuviéramos de paso en Buenos Aires. Somos los inventores de la cultura del inquilino.
[...]
 Yo por mi parte estoy convencido de que las separaciones y divorcios, la violencia familiar, el exceso de canales de cable, la incomunicación, la falta de deseo, la abulia, la depresión, los suicidios, las neurosis, los ataques de pánico, la obesidad, las contracturas, la inseguridad, el estrés, y el sedentarismo son responsabilidad de los arquitectos y empresarios de la construcción.
De estos males, salvo el suicidio, padezco todos.

Medianeras - Gustavo Tratto