Abbasso gli occhi e premo il pulsante con le righe sulla plancia. Una leggera patina si sta formando sul parabrezza, avvolgendo il mondo in un crepitare di paiettes di luce colorata, mentre sull’asfalto lucido si legge distintamente un pensiero. L’estate è finita.
Le macchine camminano piano. Nessuno ha fretta in questa serata domenicale, e nessuno probabilmente ha una meta precisa. Questa notte è fatta solo per andare, lasciarsi trasportare e vedere il mondo passare. È fatta per viaggiare, farsi passare addosso il tempo e lo spazio, farsi passare i pensieri silenziosi come un mondo sotto la tempesta. Qualcuno cammina sotto la pioggia fina, spaesato e inutile. Rimini questa notte è una giostra ferma. È un mondiale cui la nostra nazionale non partecipa.
Chiudo la macchina e mi incammino lungo la banchina. Il mare è alto e le onde lambiscono il bordo del molo, schiaffeggiando i pali di sostegno, sbuffando e gorgogliando. Sopra il cielo è scomparso, liquefatto in una nebbiolina di luce. Il molo si incammina con me verso il cuore di quell’immensità oscura, di quella massa che questa notte sento respirare, sento gonfiare i polmoni, alzare ed abbassare la superficie come stesse caricandosi. Davanti a me gli spruzzi scavalcano il parapetto in cemento e si riversano sul molo. Esplodono, crepitano, scrosciano a terra. L’aria è satura di piccole goccioline, sospese nella luce dei lampioni che mi illuminano. Le onde più grosse esplodono da sotto il molo, attraverso le grate, in geyser di rabbia accompagnate dal fischio dell’aria che soffia nei tombini. Appoggio una mano sui fori della piastra metallica e lo sento. Forte, potente e incredibilmente vivo. Aspira l’aria, con ingordigia, e poi la sputa fuori prepotentemente. Dalle crepe del cemento l’acqua risorge spruzzando verso l’alto.
Verso la fine del molo ci sono due pescatori. Sotto il loro mantello cerato guardano le canne appoggiate ai parapetti e aspettano. Guardano le onde ingrossarsi e ruggirgli fin sotto i piedi.
Con un libro in mano ascolto il ticchettare rapido e leggero della pioggia sul tendone. Il mondo entra solo attraverso la voce della televisione, e racconta di un Valentino che corre, sperando che la pioggia non lo fermi. Osservo i proprietari che, tranquilli, non si curano dello spettacolo che si riversa fuori.
Le macchine camminano piano. Nessuno ha fretta in questa serata domenicale, e nessuno probabilmente ha una meta precisa. Questa notte è fatta solo per andare, lasciarsi trasportare e vedere il mondo passare. È fatta per viaggiare, farsi passare addosso il tempo e lo spazio, farsi passare i pensieri silenziosi come un mondo sotto la tempesta. Qualcuno cammina sotto la pioggia fina, spaesato e inutile. Rimini questa notte è una giostra ferma. È un mondiale cui la nostra nazionale non partecipa.
Chiudo la macchina e mi incammino lungo la banchina. Il mare è alto e le onde lambiscono il bordo del molo, schiaffeggiando i pali di sostegno, sbuffando e gorgogliando. Sopra il cielo è scomparso, liquefatto in una nebbiolina di luce. Il molo si incammina con me verso il cuore di quell’immensità oscura, di quella massa che questa notte sento respirare, sento gonfiare i polmoni, alzare ed abbassare la superficie come stesse caricandosi. Davanti a me gli spruzzi scavalcano il parapetto in cemento e si riversano sul molo. Esplodono, crepitano, scrosciano a terra. L’aria è satura di piccole goccioline, sospese nella luce dei lampioni che mi illuminano. Le onde più grosse esplodono da sotto il molo, attraverso le grate, in geyser di rabbia accompagnate dal fischio dell’aria che soffia nei tombini. Appoggio una mano sui fori della piastra metallica e lo sento. Forte, potente e incredibilmente vivo. Aspira l’aria, con ingordigia, e poi la sputa fuori prepotentemente. Dalle crepe del cemento l’acqua risorge spruzzando verso l’alto.
Verso la fine del molo ci sono due pescatori. Sotto il loro mantello cerato guardano le canne appoggiate ai parapetti e aspettano. Guardano le onde ingrossarsi e ruggirgli fin sotto i piedi.
Con un libro in mano ascolto il ticchettare rapido e leggero della pioggia sul tendone. Il mondo entra solo attraverso la voce della televisione, e racconta di un Valentino che corre, sperando che la pioggia non lo fermi. Osservo i proprietari che, tranquilli, non si curano dello spettacolo che si riversa fuori.
3 commenti:
Te la ricordi questa cosa:
Cosa si mette in un blog?
Ossia: cosa ci può essere nel mio blog che possa interessare me o gli altri?
La risposta: ecchennesò?
Ossia: metterò un po’ tutto quello che mi venga in mente. Che in realtà non sarà molto. Perché mi stancherò presto.
Non c'entra proprio niente con questo post... o forse si?... cmq, dei blog la cosa che mi piace di più è andare a vedere come tutto è iniziato, quando anche il blogger si smenga di quel che ha scritto.
è sempre un piacere,
isterika
già.
inizi qualcosa e non hai idea di dove ti porterà, se a perderlo in poco tempo o ad accompagnarti per anni.
e guarda un po'. quello che era incominciato come un "favore" a un amico è diventato un posto che ora mi è caro.
amelie.. ti confesso una cosa, ti ho trovato qualche tempo fa e ti ho sbirciato, dalla finestra..
scusa, non ho mai suonato il campanello e salutato.. che maleducata! dai, lo faccio ora, e lo faccio sul primo post che ho letto!
c'è qualcosa che mi attira in ciò che scrivi.. forse perché vai oltre.. attraversi le parole e uno ci legge dietro..
comunque mi piace.. tornerò!
buona magia di piccole emozioni intanto!
ciao!
stefi
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