sabato 21 febbraio 2009

muoiono


Li guardo in faccia sorridere. Ognuno con la sua vita nascosta trai lineamenti, nei suoi scherzi e nei suoi silenzi.
Poi, d’improvviso, cade il velo e quel che vedo mi gela il sangue. È sempre improvvisa una rivelazione.
Dai loro corpi si sfaldano i merletti della comicità, il trucco della socievolezza, le luci della compagnia. Li vedo lì, scheletri timorati, muoversi come marionette all’interno della trama di una vita senza scampo, dove il brivido del nuovo è un rantolo autoindotto. Si spostano sulla scena, squallidi copioni di macchiette già viste e mille volte raccontate in questi mille anni di letteratura. Sono anguille, vermi acquatici che cercano di divincolarsi dalle maglie strette della quotidianità. Sono batteri che hanno imparato ad assorbire dall’ambiente, trasformando una palude in casa. Sono il grido silenzioso e morente delle speranze odierne, dei desideri giovanili e dei sogni di bambini.
Lo guardo ancora più a fondo, questo spettacolo imbandito per me trai tavoli di una pizzeria. E riesco a dare un titolo alla comica tragedia. Normalità.

Qualcuno una volta disse che gli uomini vivono e non sono felici. Ma che questa è una condizione alla quale si adattano benissimo.

lunedì 16 febbraio 2009

stella


Non sono le parole a smuovere le convinzioni sedimentate e le illusioni più persistenti. Non i discorsi.
È il carisma di chi parla, gli occhi con cui interroga, i silenzi con cui comunica, l’entusiasmo che trasmette, che senza persuadere ci fa sentire uguali.
Come una Stella che improvvisamente si accende.

domenica 15 febbraio 2009

crepacci


Finché non succede.

Sbagliamo, creiamo crepe su di noi, fratture, e poi cerchiamo di riparare. Ma molto spesso ciò che è rotto non si può ricostruire e non resta che attendere che cicatrizzi.
Il tempo sedimenta la sua neve sui nostri errori, sui noi nostri crepacci, coprendoli e rendendoli sempre più invisibili. Soffice manto chiaro e intonso.
Finché non succede.
Può essere un soffio di vento, una giornata di primavera, una meraviglia. Può essere che lo specchio ci faccia vedere qualcosa che non vogliamo, che qualcuno ci mostri come siamo, che le nostre mani non ci appartengano più.
Può essere anche solo un ricordo, che ritorna dal fondo come un’eco inestinguibile, a far crollare la neve e riscoprire i nostri crepacci.

È proprio allora che capiamo che il tempo non risolve ciò che lasciamo sospeso.
E che certe grida, di vecchie ferite, non smetteranno mai di risuonare.

mercoledì 11 febbraio 2009

il nulla


Una lattiginosa aura circondava tutto quanto. Cercavamo di risalire, dal piovoso mondo al nuovo paradiso.
Salivamo sempre più, puntando verso l’alto in quel magma candido e filamentoso. I nostri occhi erano fissi, in attesa.
Poi quel grumo di umidità si diradò e potemmo vedere nuovamente più in là delle nostre ali. Ma il paesaggio non era ciò che ci aspettavamo.
Al di sotto si stendeva, piana e placida come un mare, la grande distesa delle nubi temporalesche, che ancora ruggivano la loro potenza verso la terra. Al di sopra però non si stendeva la salvifica cupola celeste, bensì una sorta di illusione apocalittica. Un altro strato di nubi, perfettamente allineate su se stesse e tese come un velo, nascondevano il cielo trasformando lo spazio restante in un inutile sandwich di nulla. Tra di esse non un colore, non un cielo in lontananza, non un profilo. Solo il grigio muto di una luce diafana e carica di elettricità. Se non fosse stato per le cinture che ci legavano ai sedili avresti detto di poter perdere il concetto di sopra e di sotto. Quale era mare e quale cielo, dal momento che né l’uno né l’atro erano visibili? Dov’era la terra? Cos’era quel tremendo nulla che ci avvolgeva?
Ma l’aereo non si fermò e salì fino a fendere anche quello strato, puntando sempre verso l’alto. Un’ulteriore bambagia eterea nascose le nostre ali al mondo.
Poi, finalmente, sulla carlinga tornò a splendere il sole. Dagli oblò la potevamo vedere fare il surf su quelle onde, come chi riemerga per respirare da un mare in tempesta. E, sopra, l’agognato celeste.

lunedì 2 febbraio 2009

selezione


L'uomo è un creativo parassita del mondo, ma ciò che cambia la vita, ciò che la perde e la riconquista, è donna.

La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate.

Io non sono schivo, semplicemente non vado nei posti che non mi piacciono. Sono selettivo.

Quando uno è triste non servono le classifiche, non c’è un tristometro, è inutile dire sto mediamente peggio di te o decisamente meglio di te, si diventa tutti ottusi ed egoisti e la propria tristezza diventa una grande campana in cui ci si chiude, per non ascoltare la tristezza degli altri.

(Stefano Benni - Achille Piè Veloce)