domenica 7 giugno 2009

asfalto bagnato


Apro gli occhi ed il mondo torna a esistere. Un intreccio di rampicanti ha sostituito il cielo macchiando di vegetazione il mio risveglio. Il corpo intirizzito dalle doghe e dal pranzo si scuote, battezzando definitivamente gli aliti gelidi come preludio di tempesta.
Comincio a camminare, cercando così di scaldarmi, ma è tardi. L’acqua arriva silenziosa e spazza via in un secondo la calura estiva, l’afa nascosta nelle ombre, i pranzi al riparo dal sole.
La città diventa momentaneamente muta e si ferma, come in attesa di sapere se dovrà vestire le parti della malinconica o tornare radiosa. Ed è lì, mentre attraverso una stradina deserta tra grandi edifici desolati, che un profumo urbano e familiare sale da terra, traspirando dalle rughe della crosta: è l’odore dell’asfalto bagnato. Continuo a vagare incurante della pioggia ma qualcosa comincia a muoversi dentro di me, a cercare di risorgere dalle ceneri del passato. E poi mi investe, con tutta la carica della memoria.

E mi ricordo.
Mi ricordo di noi, sotto una pensilina fiorentina.
Noi, che cercavamo riparo da un acquazzone estivo che aveva sciolto i nostri vestiti.
Di un bambino che aveva paura dei lampi, protetto dal suo impermeabilino giallo.
Della scimmia di casa, arrampicata su un traliccio, che cercava di impressionare il mondo con una morte eroicamente stupida.

Mi ricordo di cose che allora non avevano significato e mi sembravano la noiosa normalità della mia momentanea felicità. Il suono della pioggia sull’asfalto, che sciacquava via le nostre parole dalle orecchie del mondo. Quei momenti morti che avevano nel loro essere il senso d’esistere. E quel profumo, estivo e cittadino, di un asfalto rovente che trova sollievo in una pioggia passeggera.
Già. Proprio così. Un asfalto rovente, in attesa di una pioggia passeggera.

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