venerdì 20 gennaio 2012

e ora che?


Chiudo la porta e lascio fuori la città, adagiata nella sua candida nebbia notturna.
Mi siedo al tavolo dove mi aspettano. E comincia il balletto. Il carosello delle lingue e dei cliché, delle cortesie e dei protezionismi. La ragazza polacca che parla in italiano col suo ragazzo venezuelano. Le giapponesi che stentano un italiano frammezzato da frasi asiatiche per farsi capire dalla statunitense originaria di Taiwan. Io e il polacco a scambiarci battute mentre osserviamo il piccolo Bruno, bambino di due anni figlio della ragazza polacca.

È strano. È uno strano agrodolce.
È come rivedere un vecchio film. Come tornare a mangiare l'uovo sbattuto davanti alla TV, giocare a calcio usando le maglie come porte, ascoltarsi una vecchia musicassetta.
È tutto affascinante ed elettrizzante. Eppure ha già acquistato quella patina, quell'ossido, come se tutto quanto fosse improvvisamente di un'altro tempo, come se il presente fosse seppiato. È l'agrodolce di un passato che non potrà più essere presente, anche se continua ad essere piacevole.
Anche se ci dà aria per respirare.
Un passato che è già storia.

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