La sveglia suona prima dell’alba. Ancora una volta. Mi vesto, prendo zaino e chitarra e sono fuori.
La stazione di Pordenone ci aspetta sotto una penombra che annuncia il mattino. Saliamo sul treno e inforchiamo i nostri lettori mp3. Apro il libro e mi affondo in una terra straniera, il Giappone di una ventina di anni fa. Fuori intanto il mondo cambia. Il sole sorge, le montagne lasciano il posto alla pianura, la nebbia padana mura il mondo dietro una cortina pesante. Tutto mi passa sopra come acqua sulle pietre.
Scendo alla stazione di Bologna. Compro un biglietto per il primo treno che porti verso sud, non importa quando. Il tempo non ha più significato quando si è in questa condizione. Il cervello ha smesso di giudicare continuamente ogni stimolo e tutto passa attraverso, come in una sorta di fitodepurazione del mondo. Quel che resta è una sensazione atemporale, un’euforia contenuta che sorvola tutte le preoccupazioni. La mente ancora intorpidita dal sonno, dalla musica e dal Giappone, ogni cosa galleggia senza peso in un mare di irresponsabilità.
Scendo alla stazione di Bologna. Compro un biglietto per il primo treno che porti verso sud, non importa quando. Il tempo non ha più significato quando si è in questa condizione. Il cervello ha smesso di giudicare continuamente ogni stimolo e tutto passa attraverso, come in una sorta di fitodepurazione del mondo. Quel che resta è una sensazione atemporale, un’euforia contenuta che sorvola tutte le preoccupazioni. La mente ancora intorpidita dal sonno, dalla musica e dal Giappone, ogni cosa galleggia senza peso in un mare di irresponsabilità.
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