Le luci si
abbassano, la musica comincia. Devo fare uno sforzo per allontanare da me le
considerazioni su questo locale che il
mio mestiere mi impone. Fingere di non vedere. Immaginare.
Immaginare che
oltre quelle tende, dietro ai musicisti, ci sia un altro spettacolo che non
quello di via Mascarella, ci siano spazi diversi e un'altra atmosfera. Credere che
nascondano vetrate, che ci sia una grande città, magari la Senna, sì, la Senna,
mansueta e metallica nei suoi riflessi notturni. E allora la musica torna al
suo posto. La tromba recupera la sua voce, la fisarmonica la sua schizofrenia
nell'opposto ritmare di accordi e svolazzare di note.
È per mantenere
questa visione ed aiutarmi ad ascoltare le loro voci che distolgo lo sguardo e
cerco un nido dove possa riposare, sopito, mentre le orecchie sono in festa.
È una
piccola immagine quella che mi viene in soccorso. Seduto al mio lato un uomo attempato,
maglioncino scuro e camicia, sta riprendendo il concerto con una videocamera. I
suoi piedi, inutile appendice gettata in un posto dove nessuno guarderebbe in
questo momento e quindi, di fatto, inesistenti, si stagliano contro una nicchia
illuminata sopra le scale.
È un rifugio
sufficiente. Accolta da quell'alcova di nulla, la mia mente torna alla musica,
alla varietà di suoni che Bosso riesce a staccare da quella tromba, alle corse su
prati di suono di Biondini.
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