È senza
preavviso che si ripresenta alla memoria.
La visione
nitida della gamba di una delle sedie, metallica, un cilindro riflettente nella
luce della sera. Poi, pian piano, come un foglio che si bagna e lascia
trasparire in filigrana quel che nasconde, ricompaiono i dettagli. Gli edifici
intorno, il grande e disordinato piazzale, il retro della periferia al confine
col nulla, a due passi dalla ferrovia. Un cartello campeggia alto, sopra il
tendone del bar: Cruzcampo. L'aria fresca, le tapas, una spensieratezza
irrecuperabile, la fame di mangiarsi il destino. E la Sierra sopra a tutto.
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