Perdersi. Perdersi
e seguire i sensi. Non già per ritrovare la strada, per tornare là dove
sappiamo dove ci troviamo, ma per continuare a perdersi con maggior intensità,
con maggior trasporto, dentro al meraviglioso sconosciuto. Assaporare il
nascere dell'inaspettato, la gioia della scoperta senza preavvisi, la sorpresa
dei lati nascosti della realtà. Riempirsi le narici di nuovi profumi,
tracciarne gli aromi, denudare la piccola magnificenza delle periferie, le
opere del tempo, artigiano instancabile, sulla natura, sugli uomini, sulle loro
case, sui loro sogni. Osservare il quotidiano altrui, renderlo scena del nostro
personale teatro, tramutarlo in romanzo universale, scoprire attraverso i suoi
occhi l'essenza delle cose, il barlume di un senso e di una speranza.
Riempirsi. Gonfiarsi
come una spugna assorbendo l'atmosfera, sorridendo il paesaggio, gli occhi
straripanti del tutto che ci circonda. Le orecchie sorde a furia di ascoltare senza
gerarchie. La mente finalmente placata, tornando a collocare la nostra
esistenza al suo posto, microscopica sedia nel banchetto universale.
E allora la
periferia collinare, il passato che riemerge in moschee di legno quasi fossero
baite, villini di crema misti di oriente e occidente, le alte torri di vetro,
le rose dei proiettili che solcano i marciapiedi, gli intonaci, i ricordi. Il fiume
e la povera esistenza di chi sopravvive a lato dei benestanti, qualche passo
più in là. I cimiteri islamici che si rosolano sulle pendici guardando in
faccia il sole morente, il baluardo nordest come osservatorio al tramonto. Tutto
è conforto inaspettato e profondo.
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