mercoledì 5 dicembre 2007

ancora una volta


Finita la battaglia si rialzò. Annusò l’aria che sapeva di sangue e si sentì finalmente libero.
Aveva vinto ancora una volta. Tutti i corpi che si stendevano intorno a lui lo proclamavano, ed il sangue, il dolore, sancivano il suo essere ancora inesorabilmente vivo. I polmoni gli si riempirono di pungente gloria, come tanti spilli adrenalinici.
Fu un attimo.
Come sempre.
Voltò le spalle, girò su se stesso, in piedi su quell’ammasso di corpi ed armi. Fino all’inizio della foresta, dove il prato saliva a chiudere la piccola radura, non scorgeva un solo movimento. Uno sterminio. Ed era opera sua.
Si alzò il vento e portò con sé gli ultimi bagliori di soddisfazione.
Ancora una volta – disse – siamo arrivati a questo punto. Sono passati gli anni, i capelli cominciano ad imbiancarmisi ed ancora una volta mi ritrovo qui. I corpi sono diversi, certo, i cieli sono diversi. Ma la situazione, quella è sempre la stessa. Come una maledizione mi perseguita, si annida nella mia ombra.
Ora lascerò questo santuario di morte e cavalcherò con la sola compagnia della mia fida spada attraverso boschi e montagne. Quando la gente sarà tanto differente da non poterne riconoscere neppure la lingua, quando le loro usanze saranno così straniere da suscitarmi curiosità, quando sentirò di aver espiato a sufficienza con esilio e solitudine lo sterminio che ho appena compiuto, lì troverò la mia nuova dimora.
Avrò un nuovo nome. I miei occhi torneranno a splendere, le mie mani a lavorare, le mie parole saranno nuovamente pietre, saranno saggezza ed esperienza. Nuovi occhi mi rapiranno, di questo ne sono certo. Corpi si raduneranno intorno a me ed io li chiamerò fratelli, famiglia. Lotterò con loro per difenderci dai lupi e dagli aggressori. Costruiremo case per proteggere le nostre famiglie.
Ma tutto questo non servirà a nulla.
Non serve mai a nulla barricare le case, se il fuoco che arde sta dentro. Non ci sono demoni da tenere fuori tanto potenti come quelli che sono in noi. E proprio dalle pieghe dei nostri letti, dalle stanche e morte ore di una notte qualsiasi, risorgeranno destandosi come d’improvviso.
Ventiquattro lune, già lo so. Tarderanno ventiquattro lune. E poi, serpeggianti e persistenti come la risacca del mare, verranno alla luce.
Prima saliranno agli occhi, velandone la brillantezza. Gli sguardi si spegneranno e gli entusiasmi con loro. Poi sarà l’ora della lingua, dove coveranno piccole malignità che ingombreranno l’orecchio. Di bocca in bocca si diffonderà il morbo, e a nulla varrà la salubrità del sole o delle stagioni. Dentro sarà tardo autunno.
Le parole si faranno serpi, i gesti infamie, il valore sarà dimenticato e l’ingiustizia regnerà sovrana. L’amore. Ognuno capirà di non averne mai ricevuto né dato. Tutto sarà violenza.
Si inizierà a mettere fuoco al villaggio, ciascuno incredibilmente iniziando dalla propria casa. Il delirio si riverserà per le strade e si cercherà il sangue per estinguerlo. La solitudine delle notti sarà invasa dalle grida e dagli strepiti.
E non sopporterò oltre.
Sarà un’operazione pianificata dalla perdita di ogni pazienza e comprensione. Sarà metodica.
Chi mi è più caro sarà il primo a cadere. Non verserò una sola lacrima quando vedrò i tuoi occhi spegnersi. E quelli dei miei amici. Piano piano tutti cadranno sotto la mia spada ed il villaggio si radunerà come aspirato dal mio vortice. Tutto sarà nuovamente silenzio. E nulla.
Ancora una volta.

1 commento:

lophelia ha detto...

bello e terribile...terribilmente umano.