domenica 9 dicembre 2007

BMX


-Yuuuuuuuuu!!
La bicicletta sfrecciava in discesa, correndo rapida tra le mura cittadine e quelle più modeste dei campi. Sentiva l’aria trai capelli e pungergli il viso. Era quell’aria pulita e fresca reduce da una giornata di pioggia. La sua BMX senza parafanghi alzava parabole di schizzi al suo passaggio, che finivano inesorabilmente sul suo giubbotto nuovo o addosso a chi lo seguiva. Se la mamma l’avesse saputo ovviamente si sarebbe arrabbiata.
-Vai, vai! – disse Matteo, poco dietro di lui, con la faccia segnata di fango.
La strada si prendeva una piccola pausa e tornava leggermente in piano mentre svoltava sulla sinistra con una curva lieve.
-Perfetto.
Nessuno gli avrebbe tolto quel piacere intimo.
Si preparò. Si alzò leggermente sul sellino, spostando il peso del corpo a sinistra. Controllò che il freno destro fosse ancora lì pronto a tirare. Non appena imboccò la curva si inclinò ancora un po’ e tirò il freno. Immediatamente la ruota posteriore si bloccò cominciando a raschiare l’asfalto, mentre progressivamente si allontanava sul lato destro.
Quasi non respirava. Lui e la bici erano una cosa sola. Poteva sentire perfettamente ogni tratto di strada sulla quale strisciava, la noncuranza della ruota anteriore che continuava imperterrita a segnare la direzione, il telaio inclinato come fosse una posizione di una danza metropolitana e la ruota dietro, la regina di quel momento, che cantava il suo ruggito. Poteva immaginarsi perfino quanta gomma stava consumando ed aggiungere mentalmente un’altra strisciata sul suo copertone già mezzo liscio. Vide il suo posteriore avanzare un po’ troppo, portandolo verso una posizione pericolosamente perpendicolare alla ruota anteriore e allora allentò la presa sul freno, ritrovando quell’equilibrio magico che visto da fuori doveva apparire magnifico. La bici terminò la sua euforia proprio ad un soffio dall’inizio del prato che costeggiava la strada. Perfetto, pensò.
Voltò la testa indietro e vide Matteo, anche lui in quella posa ardita. La ruota anteriore schizzava in avanti come a tracciare un’ideale traiettoria e a chiedere all’aria di farle spazio. Vide la ruota posteriore mettersi di traverso e Matteo inclinarsi ancora di più per mantenere l’equilibrio. Magnifico, pensò ancora una volta.
Non fece in tempo a pensarlo che la ruota, al limite della sua inclinazione, saltò su un improvviso avvallamento e fece perdere la compostezza di tutta la composizione. In un istante la bici si torse su se stessa, facendo volare il posteriore sempre più avanti.
Si sentì arrivare addosso un ammasso di ferro e carne e non ebbe il tempo di reagire.
Si ritrovò con il volto al cielo, sdraiato sul prato, con la testa in una pozza di fango. Sentiva distintamente il suo amico e le biciclette accatastate sul suo corpo. Cominciarono a fargli male la mano, la gamba, il ginocchio. Ma non importava. Non alzò neppure la testa dalla pozza. La sola cosa che poteva vedere, in quell’inquadratura cinematografica del cielo, era un vecchio lampione che, come un ufo, sbucava tra le fronde di un ulivo. Quasi che assistesse alla loro gloriosa impresa ed alla loro comica disfatta.
Gli si staccò dai polmoni una risatina che cresceva via via, a cui si unì anche Matteo. E rimasero lì, stesi su quel prato umido, a ridere.

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