Garcia Lorca mi guarda coi suoi occhi di bronzo, plaza Santa Ana a
fargli da quinta. I turisti gli sfilano a fianco, si fermano a farsi le foto,
quasi fosse uno dei tanti mimi in circolazione. Mentre Federico continua a
fissare la colomba che dalle sue mani non riesce a spiccare il volo, seduto su
un cubo di porfido lucido, spalle al Teatro, fronte al Reina Victoria, parlo
silenziosamente col poeta che mi risponde con la sua immobilità. Il tempo passa
attorno a noi, statue inanimate ognuna a modo suo.
Al margine di Plaza Àngel un giardino splende del sole meridiano. Un
chiosco in ferro e vetro lascia vedere al suo interno il negozio di fiori più
antico della città, un secolo di esperienza in sensazioni vegetali. Il tempo è
passato, il tetto in legno è stato rinnovato, le colonne in ghisa ripulite ed
il negozio accuratamente cosparso di oggetti di uno studiato stile vintage. Seminascosto
da alberi e fronde, un grande cartello campeggia all'ingresso: "non
smettere di sognare".
Passeggiando arrivo a Lavapiés. I gruppi di nordafricani sono sempre
più numerosi, il modo di vivere la strada sempre più da piccola comunità, da
luogo in cui quel che succede viene controllato da tanti occhi. Arrivato davanti
ad un vecchio edificio, un'antica chiesa riconvertita in qualcosa di moderno,
decido di fermarmi e godermi un po' di sole in una piazzetta laterale, poco più
bassa della strada, dove non c'è nessuno. Con calma scruto la rugosa parete
centenaria in mattoni scrostati ed il nuovo edificio nascerle sotto pelle. Ampie
vetrate dietro a fornici antichi, una grande terrazza sull'attico dal quale si
vedono sporgere ombrelloni e mani abbracciate a cocktails. Mentre lascio che il
matrimonio tra antico e nuovo depositi in me i suoi semi, un ragazzo attraversa
la piazza, mi vede e mi chiede se ho da accendere. Ovviamente no. Lui si ferma
e si avvicina con nonchalance. Mi chiede se aspetto qualcuno, cosa faccio da
queste parti, si inventa che gli sto simpatico. Capelli rasati, bracciale d'oro
a grosse maglie, ray-ban con finiture dorate, mi chiede se non ho da dargli
qualche spiccio. Rispondo in maniera cordiale cercando di evitare di creare
tensioni. Il ragazzo si avvicina e si siede sempre più vicino sulla panca. Solo
uno stupido non si accorgerebbe che sta cercando in quale delle mie ampie
tasche dei pantaloni si trova il portafoglio. Mi alzo, dicendo che si è fatto
tardi e che devo andare. Lui si alza con me e chiede perchè non voglio
chiacchierare con lui. "Facciamo un ballo, qui in piazza" dice,
trovando così il pretesto per prendermi per la vita ed infilare una mano nella
tasca. Fortunatamente riesco a svincolarmi in tempo e a tornare sulla via
principale. Gli altri ragazzi del suo gruppo, appoggiati di spalle al muretto,
non fanno una piega, e lui continua ad attraversare la piazza come se niente
fosse. Questa volta gli è andata male, ma non gli importa più di tanto.
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