giovedì 28 ottobre 2010

centimetri quadri


Sono lì che cerco di affogare il tempo con il solito inutile schema, che non ha mai portato a nulla di buono ma che continua a prendere possesso di me quando abbasso la guardia. Guardo lo schermo e le mie azioni sono al rallentatore. Il timoniere della mia nave a quanto pare è andato a sbronzarsi da qualche parte ed io son rimasto qua, a manovrare da solo sartie e issare vele senza saper dove andare. E gli occhi non mentono. Spenti e fissi, appoggiati su un orizzonte molto vicino.

È in quest’apatia che un pensiero, forse nascosto nella stiva, naufrago reduce da chissà quali avventure, si insinua nella mia mente, scalzando il vuoto, chiudendo la porta dietro di sé.

Ecco perché essere nomadi aiuta. Ecco perché sento il bisogno di tornare a viaggiare quando le insoddisfazioni si ammucchiano, calcificandosi.

Perché non avere nulla da difendere, nulla da proteggere rende più obiettivi. Quando non si ha paura di perdere qualcosa è facile essere onesti. Onesti e semplici.

E allora, almeno per un momento, vedo queste 4 righe che cerco di disegnare da ore per quel che sono. Vedo finalmente le mie mani, fuori dalle icone virtuali. Le facce intorno a me, assorte e concentrate. La luce che penetra il policarbonato rendendo lattiginosa l’aria dello stanzone a doppio volume. Vedo, senza occhi, i tetti delle case, il Comune, la stazione. Vedo colline, boschi e cieli. Vedo improvvisamente tutto quello che non è qui, l’immensità del reale. E poi torno sullo schermo. Ed è un sorriso quello che spazza il cuore.


“Se sei pronto a lasciare il padre e la madre, e il fratello e la sorella, e la moglie e il figlio e gli amici, e a non rivederli mai più; se hai pagato i tuoi debiti, e fatto testamento, se hai sistemato i tuoi affari, e se sei un uomo libero, allora sei pronto a metterti in cammino.”

“Vorrei, nei miei vagabondaggi, far ritorno a me stesso.”

H. D. Thoreau

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