Le previsioni della guida dicevano che mancavano pochi chilometri alla meta, eppure i cartelli lungo la statale non indicano nessun paesino conosciuto. Probabilmente abbiamo perso qualche bivio, penso, e per questo stiamo camminando da diversi chilometri lungo il ciglio della strada nazionale, a lato di automobili e camion.
Abbandoniamo la carretera nacional all’incrocio con Garriguella, ormai certi di aver allungato il già lungo percorso della giornata. Percorso che era iniziato di buon ora sulle spiagge di Port de la Selva per inerpicarsi lungo la ripida boscaglia assolata che porta a Sant Pere de Rodes, monastero da cui ufficialmente inizia il cammino catalano. Una salita senza bagagli nell’afa del primo pomeriggio ci aveva portato in cima al castello che domina il monastero e tutto il golfo su cui si trova Port de la Selva, dai Pirenei al Cap de Creus. Poi la discesa nella calura pomeridiana, tra cespugli e bassi arbusti, con sentieri non segnalati, perdendoci una quantità incredibile di volte. Il bar dove avevamo fatto pranzo alle 5 del pomeriggio e da dove avevamo visto arrivare da dietro la catena montuosa nuvole minacciose e cariche di pioggia.
Ed ora eccoci qua. Dai rilievi di sud-ovest, alla nostra destra, avanza inesorabile una perturbazione nera, pesante, che si scioglie sulla pianura in scrosci diagonali. Dal mezzo di campi sconosciuti vediamo venirci incontro la tempesta, i fulmini crepare il cielo fino all’orizzonte, calare la luce della sera fin troppo presto.
Proviamo ad accelerare il passo, ma ormai le energie sono finite e le gambe procedono come automi all’unico ritmo che riescono a sostenere. La lingua è morta in bocca già da tempo ormai. Gli occhi, testimoni vigili e instancabili, continuano però a registrare tutto. La piccola collina che si innalza nel mezzo della piana, ulteriore fatica da superare. E sulle sue pendici il grande quartiere recintato con filo spinato, video sorvegliato, con polizia privata, ingresso regolato da scheda e codice. Un’enclave di ricchi raccolta intorno a quello che ai nostri occhi appare il nulla perso nei meandri dello sconosciuto.
Stiamo mettendo piede dentro il primo bar di Peralada quando il cielo comincia a scaricare intorno a noi raffiche di acqua. Privi di forze per riconoscere a parole la fortuna che ci ha assistito ancora una volta, ci sediamo ed ordiniamo una meritata birra, unico pasto della serata. Poi, rapidamente, il cielo torna fluorescente sotto le luci del tramonto. Ed il riposo è una soddisfazione fisica.
Non importa che poi Peralada risulti un paesino così ricco, turistico e d’elite, da non avere neppure una stanza libera. Non importa neppure che abbia ricominciato a piovere e che dovremo cercare un posto dove passare la notte sudati e appiccicati nel ventre della tenda. Perché ancora una volta qualcuno ci assiste e dietro l’abside di una chiesina fuori paese si trova un magnifico spiazzo in terra battuta coperto da platani, al confine tra la nazionale ed il fiume.
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