Dopo aver raccolto le acque della regione vulcanica della Garrotxa e del basso Pireneo il Ter scende verso il mare. Una sessantina di chilometri prima di vedere l’alba nel Mediterraneo abbandona le valli strette e si adagia in una larga e fertile lingua di terra, un declivio che serpeggia verde e rigoglioso fino alla periferia di Girona. È qui che, senza preavviso, ci ritroviamo nell’America coloniale.
Mentre camminiamo attraverso una ricca ed alta vegetazione, ancora frastornati fisicamente e mentalmente dalla quantità di chilometri macinati il giorno prima, delle visioni oniriche spazzano le nostre retine dagli ultimi ricordi urbani. A lato del sentiero battuto,appena oltre un cordolo di terra e sacchi che canalizza l’acqua del fiume intorno agli orti, crescono piantagioni di neri. Nel sole del sabato mattina, avvolti nei loro abiti tradizionali, si aggirano per gli orti, raccolgono le loro verdure in carrelli dei supermercati, su mountain bikes, in passeggini. Colorati e silenziosi si piegano a raccogliere il frutto della terra. Ed è un attimo aspettarsi un canto, intonato dal lontano Ottocento e mai spento. Un canto di gloria e sofferenza, una melodia malinconica intonata da sorrisi d’avorio.
E invece niente.
Evidentemente la civiltà ha colpito anche loro, epidemia necessaria ed inevitabile del vivere moderno.
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