martedì 30 agosto 2011

il conte - questa storia - a.b.


Non aveva figli, non ne voleva, e detestava quelli degli altri, ritenendoli comicamente inutili, privi di futuro com’erano. Gli piacevano le donne, e forse ne avrebbe sposata una, per non complicare le cose. Ma voleva bene ai suoi cani, e a nessun altro. Un giorno il caso l’aveva fatto cascare su un assurdo garage, perso nella campagna. Tutto quello che aveva trovato lì, poi, era stato come un viaggio nel rovescio del mondo, dove le cose avevano ancora una ragione e le parole indicavano ancora le cose: ogni giorno una forza sconosciuta vi separava il vero dal falso, come il grano dalla pula. Non ne aveva dedotto niente, né aveva pensato, neppure per un istante, di interpretarla come una lezione da imparare. Era tutta roba perduta, per lui, e nulla avrebbe rovesciato il corso delle cose. Però, riprendere di tanto in tanto quella strada nella campagna, era diventato il suo personale anestetico contro la pena dell’insensatezza generale. Così aveva scelto i gesti giusti con cui scivolare sempre più nelle abitudini di quel mondo, arrivando a farsi accettare come una sorta di clandestino un po’ bizzarro, e degno di pietà. Non aveva in mente di far loro del male, né era abbastanza onesto, con se stesso, da capire che far loro del male sarebbe stato inevitabile. Voleva solo stare lì. E per farlo, nulla sarebbe stato troppo insensato, o pazzo.

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