sabato 28 aprile 2012
tragicomico
La vita è una commedia per coloro che pensano, e una tragedia per coloro che sentono.
Horace Walpole
venerdì 27 aprile 2012
ponte bueno
Mi appoggio al parapetto del ponte e guardo sotto. Un fascio di binari si stende in un fuso che corre verso l'orizzonte. Scruto i marciapiedi per vedere se riesco a trovarti prima che tu trovi me. E mentre sono lì che ti aspetto, con l'ultimo sole a bagnarmi la pelle, mi volto senza motivo.
Un anziano, basso di statura, in giacca scura, sta appoggiato nella mia stessa maniera: avambracci a contatto con il ferro del parapetto e occhi all'orizzonte, calmi e silenziosi, senza nessuna fretta.
Eppure cosa cercano, quegli occhi tanto più vecchi dei miei, io forse lo so.
sole
La gente turbina per il sentiero, radunandosi a gruppi e poi sfacendosi in sciami diversi che tornano a condensarsi in altre zone. Cappelli, occhiali da sole, magliette colorate, sorrisi e abbracci, il passo conviviale di un giorno di festa e del primo tepore di stagione. Qui, dove sono ora, leggono e passano. Appoggiano gli occhi domenicali sui neri caratteri che incidono la pietra, su quei segni appoggiati al muro antico che raccontano di un giorno di tanti anni fa. Gli occhi corrono e immaginano, la pelle freme leggermente, e poi se ne vanno. Tornano ai loro sorrisi, al loro vino, ai cellulari.
Eppure, in questo movimento da pigrizia festiva, nel suo fluido migrare, c'è un dettaglio che introduce un'altra scala, un altro tempo. Mentre intorno sciamano gli esemplari della nuova generazione un uomo dai capelli bianchi resta, fermo, ad osservare la lapide. Ha le mani tozze, quelle di un lavoratore esperto e consumato. Una camicia a quadretti avvolge il corpo tozzo e temprato, possente pur nella sua bassa statura. Al di sopra un collo taurino ed una chioma candida. Immobile, con le braccia lungo i fianchi, resta a lungo ad osservare la pietra che racconta di quel giorno del 1945.
Poi si volta, lentamente. E le guance, tese, sono completamente bagnate.
I bambini si divertono giocando con le gocce di ceramica che pendono dagli alberi. Le mamme li seguono coi passeggini, i babbi li sorvegliano con occhio severo.
Al di sopra, sulle rovine della piccola chiesa del paese, sta seduto un signore. Le mani strette nelle mani, i capelli bianchi e lo sguardo verso valle.
E negli occhi di sicuro non c'è il presente.
mercoledì 25 aprile 2012
sempre nuove
Tempo che se ne va come un respiro.
Mesi fugaci, sequenze frenetiche di istanti sempre uguali, fotogrammi in corsa sulla nostra pellicola quotidiana.
Vita che si contrae cercando spazio tra un Natale e una Pasqua.
E qualche notte solitaria, banale, a ristorarci.
Anni che scivolano dietro di noi, silenti e bianchi.
E un'anima densa, ricca di rughe sempre nuove, solchi da guardare.
E bella. Anche se non lo capirai, bella.
domenica 8 aprile 2012
r.esistenza
martedì 3 aprile 2012
mentre il mondo dorme

Ci sono tre paia di occhi, stasera, a guardare il cielo, seduti sul tetto del garage, nel cuore di Chinatown. Guardano le nuvole antracite sopra di loro, le facciate scrostate dei retri di periferia. Guardano il mondo dal fondo di bottiglie di birra, spargendo risate nel silenzio della notte. Parlano di futuro come se parlassero di favole, di desideri scritti nel vento. E mentre il mondo dorme, i destini di tre Paesi si intrecciano momentaneamente, in questo crocevia di vite.
venerdì 30 marzo 2012
venerdì 23 marzo 2012
la verità
domenica 18 marzo 2012
one step inside
venerdì 16 marzo 2012
long way home
mercoledì 14 marzo 2012
e(s)senza

Complicare è facile, semplificare è difficile.
Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose.
Tutti sono capaci di complicare.
Pochi sono capaci di semplificare.
Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere che cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c'è in più. Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l'essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. [...]
La semplificazione è segno di intelligenza, un antico detto cinese dice: quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte.
Bruno Munari
martedì 13 marzo 2012
la resa

Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c’entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito.
Allora li ho incantati.
E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai, l’ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere nulla di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l’ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene, ma tutti i figli che mai ho avuto.
La terra che era la mia terra, da qualche parte del mondo, l’ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d’inverno, i lupi la notte, quando quell’uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire questa nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incatenandola, quando ti ho chiesto di entrare qui. Non è pazzia, fratello. Geometria. È un lavoro di cesello. Ho disarmato l’infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri.
A. Baricco - Novecento
lunedì 12 marzo 2012
la maschera
venerdì 2 marzo 2012
quotidiano nazionale

Ormai li sento come pesci lontani, muti dietro ad un vetro. Mi danzano intorno in palestra, al supermercato, a casa. Svolazzano di futilità in futilità. Tessono la loro coreografia di inutilità. Discutono di cose assolutamente inessenziali.
Li sento sempre più distanti, razza umana distinta dalla mia, tribù di un'altra epoca. Anello evolutivo che ha trasformato il banale in modello di vita, la stupidità in possibilità di evasione.
Ormai la mia allergia all'ordinario, al quotidiano, sembra diventata irrefrenabile. Una barca alla deriva, e sperare che sia tu la mia àncora pare sia da stolti.
Eppure
Vorrei che tu mi servissi da specchio e da censore, quando cadessi nel banale, o nel convenzionale o, peggio, nel disonesto. Nissim Momigliano
giovedì 1 marzo 2012
maldita parquedad

Maldita parquedad, terrible hàbito ése de pedirle lo imposible a sus hombres y luego pensar que lo imposible es sòlo lo necesario. Paco Ignacio Taibo III
Dannata parsimonia. Quella che ci impone di asciugare i sentimenti e le necessità. Quella che rode il fisico ed affina la mente, fanti nella battaglia del quotidiano. Dannata severità, morsa asfissiante sulle imperfezioni altrui e spada inesorabile su di noi. Quell'incapacità di lasciar spazio all'umano quando la meta si avvicina. Dannata ostinazione, desiderio puro, animo utopico senza compromessi. Onestà. Dannata onestà.
lunedì 6 febbraio 2012
io, qua

Sì, a scanso di imprevisti dell'ultimo minuto dovrei andarmene settimana prossima.
No, non a casa. Penso di trasferirmi per qualche mese in Scozia.
No, no. Non ho trovato un lavoro, ma mia sorella vive là.
Sì, perchè non ho più un lavoro, ma non per quello... non solo.
Cosa ci sto a fare, io, qua a Bologna?
Leggo e rileggo quella frase, digitata di fretta su una tastiera. Dita che riversano su uno schermo una domanda pesante.
Guardo il mio bonsai, che ricresce e rinasce in pieno inverno. Guardo il mio orto in fasce, i miei incensi e le candele. Le decorazioni, i poster, le caffettiere. La mia vita, srotolata in piccoli riti personali e manie. La fermo in un istante da polaroid e mi unisco alla domanda.
Cosa ci sto a fare, io, qua a Bologna?
domenica 29 gennaio 2012
in un(a) lampo

Lui ha delle scarpe scure, in finta pelle, basse. I pantaloni stropicciati neri. Un maglione bianco a righe, con lo scollo a V, sformato dagli anni e dai lavaggi che lascia intravedere il lupetto nero al di sotto. I capelli castani scuri sono lunghi, raccolti sulla nuca in una coda che non riesco a vedere. Gli occhi sono leggermente sporgenti, rotondi, galleggiano su evidenti occhiaie. Il naso adunco, a pinna di squalo. I lineamenti del viso strategicamente nascosti da uno strato non troppo folto di barba bruna.
Lei è di spalle, e riesco a vedere ben poco. A parte i pantaloni eleganti, scuri, che svaniscono al di sotto di un cappotto bianco, le tasche chiuse con zip scure, un taglio ricercato. I capelli sono corti, segno del carattere probabilmente volitivo che li correda, castani chiari, tendenti al biondo. Una perla nera spunta sulla parte superiore dell'orecchio sinistro, un piercing che si è convertito in gioiello casual. Riesco solo ad immaginare i lineamenti armonici e ponderati. La sintesi dell'eleganza sdrammatizzata.
Li guardo. A loro non importa nulla della rozzezza del bar che li circonda. Del controsoffitto che sta per crollare, le travi in legno dipinte e lucidate, le sedie sgangherate, le pareti fintamente ridipinte. Lui a cercare con gli occhi qualcosa intorno, uno spunto. Lei a guardare altrove, dove io non posso leggerne il profilo. E dal bordo del suo cappotto, candido, penzola la fibbia metallica della lampo, a dondolare tra le gambe della sedia e quelle della sua padrona. Un'altalena notturna e infantile.
Non so perchè. Ma mi danno una strana sensazione. Di pace. Di casa. Di desiderio esaudito. Come se essere felice fosse ancora possibile.
lunedì 23 gennaio 2012
fuori rotta

E anche ora, che riemergi dal passato come un futuro che non sono stato, che mi racconti di anni trascorsi a migliaia di chilometri da me. Anche ora, che l'affetto non si è spento e mai accennerà a farlo, ripulito e reso eterno dal ricordo, dalla distanza, dalla lingua. Anche ora che mi parli di chi ha lasciato tutto per trovare se stesso.
Anche ora che son felice come un bambino (per un istante)
non posso fare a meno di pensare che questa non sia la mia vita. Che questa non sia la mia città, i miei amici, il mio lavoro. Che questo non sia io.
Perso da qualche parte, smarrito a qualche confine, abbandonato in qualche deposito bagagli. A urlare, dall'alto di qualche montagna, per richiamare a me il mio corpo che si trascina per i portici di questa città.
domenica 22 gennaio 2012
da oriente

La stanza è calda, profuma di incenso. Il parquet grezzo corre da parete a parete senza un solo mobile ad ingombrarne il disegno. La superficie liscia delle pareti è tinta di un colore pallido fino alle alte finestre industriali, sottili profili di metallo che abbracciano vetri zigrinati.
Come in preda ad un misterioso imperativo ci raduniamo, ci allineiamo su rettangoli di tessuto, chiudiamo gli occhi, ed iniziamo una danza lenta e armonica. Come branchi di strani esseri umani, ci muoviamo all'unisono, tra le pareti di questo edificio nascosto nelle viscere della città. Fino a perdere i pensieri. O a ritrovarli. Fino a sentire il nostro corpo. O dimenticarlo. Finchè la fretta di un mondo non nostro evapora sostituita da una calma che viene da oriente.
E rialzandomi da terra mi domando se è questo che dovrebbe essere, lo yoga.
venerdì 20 gennaio 2012
e ora che?

Chiudo la porta e lascio fuori la città, adagiata nella sua candida nebbia notturna.
Mi siedo al tavolo dove mi aspettano. E comincia il balletto. Il carosello delle lingue e dei cliché, delle cortesie e dei protezionismi. La ragazza polacca che parla in italiano col suo ragazzo venezuelano. Le giapponesi che stentano un italiano frammezzato da frasi asiatiche per farsi capire dalla statunitense originaria di Taiwan. Io e il polacco a scambiarci battute mentre osserviamo il piccolo Bruno, bambino di due anni figlio della ragazza polacca.
È strano. È uno strano agrodolce.
È come rivedere un vecchio film. Come tornare a mangiare l'uovo sbattuto davanti alla TV, giocare a calcio usando le maglie come porte, ascoltarsi una vecchia musicassetta.
È tutto affascinante ed elettrizzante. Eppure ha già acquistato quella patina, quell'ossido, come se tutto quanto fosse improvvisamente di un'altro tempo, come se il presente fosse seppiato. È l'agrodolce di un passato che non potrà più essere presente, anche se continua ad essere piacevole.
Anche se ci dà aria per respirare.
Un passato che è già storia.
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