domenica 18 maggio 2008

i giorni limbo


La luce entra fioca dall’alta finestra della cucina. Assaporo con avidità le patate fritte di Rocio, e le sue tostate. Il mio stomaco in preda alla fame chimica la ringrazia. Eve ci guarda mentre il sonno le vela gli occhi e le orecchie. Martin e le sue occhiaie leggendarie mi fanno compagnia in questo banchetto mattutino.

Mentre spalmo del pomodoro sul pane ripenso alla festa iniziata la sera prima. Al coniglio in gabbia, alla stanza spettacolare del Done. Al suo schermo da mille pollici, al suo patio, ai lituani. A quando siamo andati al Kitsh, al rum e pera, al telefono, alla pioggia che continuava a cadermi sulle braccia. Una chiamata che era meglio se non arrivava, la bicicletta senza freni all’1 di notte. La città che mi scorre di fianco, Beccaria, Poste, Duomo, S. Marco, Indipendenza, Fortezza. Cazzo, ho sbagliato strada. Porta al Prato, Stazione Leopolda. Torno con la mente al dopo concerto, al tavolo dove Eve raccontava un gioco, mentre un greco, due francesi, un’inglese, due spagnole e un tedesco provavano a risolverlo. Alle risate contagiose del ballerino hip hop, alle foto sullo schermo. Alle patate, al cous cous, al budino fluorescente. La strada del ritorno, in salita, contromano. Il divano, il computer, e la voce romagnola della 500 di cars che mi faceva morire dal ridere. Al casino che sempre accompagna Martin e Rocio, a quando entrano. Rivedo quando mi chiede se ho fame e inutilmente cerco di negare, recitando pessimamente.

Mentre sto per uscire con la bici il cielo decide nuovamente di scaricarsi sulla terra, lavando le strade. L’orologio segna le 8 del mattino. Mi addormento, mentre Rocio mi racconta i detti più volgari del sud della Spagna e Martin si intrippa con il suo computer. Alle 13 il cielo si è calmato. Mi vesto e sono in strada.
Puntualmente, come la sveglia, l’acqua torna a cadere e accompagna il mio ritorno a casa.

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