La costa è
ricca di ciottoli rotondi e grosse pietre levigate. Strane alghe scure si
annidano là dove la marea scende, presto beccate dai gabbiani. Poco più in
alto, negli anfratti della roccia cresce qualche sparuto e rigoglioso ciuffo
d'erba. Al largo, dove le onde diventano indistinte ed il colore omogeneo, si
riconosce la sagoma della madrepatria, dell'Irlanda, e ricalcata su di essa la
sagoma bianca e sottile delle nuvole.
Ci addentriamo
vagabondando tra segnali turistici e muretti a secco. Giungiamo ad un'antica
chiesa riportata con il nome di Teampall Chiarain. Come tante altre, questa ha perduto completamente il tetto ma
ha conservato perfettamente le mura perimetrali, trasformandosi così, anch'essa,
nell'ennesimo recinto di pietra. Sui due lati corti è ancora ben visibile il
timpano che sosteneva la copertura ed in uno di essi è ricavata la monofora
dell'abside. Uno dei lati lunghi accoglie, invece, l'ingresso, una bella apertura ad arco acuto sagomato. Le pareti sono costituite da grosse
pietre sbozzate e sovrapposte a filari orizzontali. L'interno, senza
pavimentazione ma con un acciottolato sparso, presenta qualche semplice nicchia
ed i resti di un piccolo altare addossato alla parete. Nel prato che circonda la chiesa diroccata si trova una stele, una lama di pietra decorata con motivi celtici e con un foro perfettamente cilindrico. I resti di quella che probabilmente doveva essere una meridiana orizzontale.
Comincio a
capire il fascino subìto dai tanti che hanno visitato queste isole nei secoli e
l'aura di pace che si sono portati a casa. L'oceano, il sole, gli animali che
si sentono ancora indisturbati padroni della terra e dell'acqua. Una natura
pacata e silenziosa. Le opere dell'uomo, fatte della stessa materia di cui è
fatta l'isola, composti in trame o in edifici, preservati o divenuti ruderi e
tornati, quindi, natura, mi appaiono come veri capolavori di land-art
inconsapevole e ante litteram.
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