Apro gli
occhi. Il sole illumina le pareti della tenda chiamandomi fuori. Apro la bocca
del nostro rifugio e davanti mi si para il prato verde, i muretti a
secco, il tetto aguzzo dell'unica casa, bianca, e sullo sfondo il profilo
dell'Irlanda, ancora coperta di nubi. Le altre tende sono ancora chiuse.
Prendiamo il
cibo e scendiamo in riva al mare. Ci sediamo sugli scogli a fare colazione,
mentre intorno i gabbiani lanciano i loro richiami nell'aria. Il mare è blu,
bellissimo. Vagamente, lontano, vediamo del movimento, qualche gruppo in
bicicletta che scorre sul profilo dell'isola.
Tornando
verso il porto passiamo davanti al Joe Watty's, il bar dove abbiamo cenato ieri
sera. Sui tavoli in legno ci sono ancora una dozzina di boccali vuoti che
aspettano di essere rigovernati. Proprio di fronte sta una casina
bianca con una porta sopra la quale campeggia la scritta: Comhar Creidmheasa Àrainn
Teo. Evidentemente un piccolo (e a quanto pare l'unico) istituto di credito
dell'isola.
Poco più
avanti, nel breve selciato di fronte ad un'altra casetta, troviamo uno strano grande
contenitore di metallo, che riconosciamo essere la buchetta del servizio
postale. Servizio che, ovviamente, è costituito dall'unica stanza che si trova
all'interno.
Poi, come
una visione cubana nel mezzo della terra gaelica, ecco un
edificio senape con un preciso zoccolo rosso ed una malandata porta in legno colorata di marrone. Un'astuta fascia bianca sotto la trabeazione riporta a caratteri
neri il nome del luogo. E nel mezzo del selciato ecco passare un gallo, tronfio,
nella sua passeggiata mattutina.
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