venerdì 15 maggio 2009

sotto la palma


Esco dal portone, passo sotto la palma, attraverso il cancello in ferro e il recinto di gelosie di laterizi bianchi e sono in strada. In testa ho ancora gli allineamenti, i metri quadri, le sezioni, la grafica. Le immagini e i concetti si sovrappongono ballando nel mio cervello in una tempesta di morfina naturale.

Mi addentro per vicoli di villette dai capitelli traforati, dagli intradossi gialli sui mattoni bianchi, dalle ceramiche decorate con temi religiosi. Attraverso il cancello e sono nel Parque Maria Luisa. I padiglioni arabeggianti emergono dalla vegetazione, dalle palme, increspandosi negli specchi d’acqua. Il caldo torrido copre di silenzio le stradine di terra battuta.

Mi siedo su una panchina in ceramica a guardare di fronte a me la facciata del padiglione. Guardo i mattoni rossi e porosi, una trama regolare sulla quale le cupole ceramiche, i pennacchi di azulejos fanno l’effetto di gemme preziose su un tessuto ruvido ma elegante. Mi lascio incantare dall’effetto dei volumi nel sole del primo pomeriggio, dall’opacità del laterizio e dallo scintillare della ceramica contro il cielo denso. Mentre mangio la mia pasta fredda è una sensazione di profonda soddisfazione quella che attraversa il mio corpo.

Esco dallo studio affamato e contento, mentre cerco un altro parco dove pranzare. L’evanescenza tropicale degli edifici islamici, dei riflessi nella calura pomeridiana, delle palme sopra di me. E negli occhi una storia che va avanti, di un guerrigliero, della lotta coraggiosa e intrepida nella giungla, di un sogno semplice e rivoluzionario. Un’insalata di riso accompagna tutto questo.

E poi, quando finisce il tempo, e bisogna uscire dallo studio perché ormai è tardi, alzo gli occhi al cielo ancora azzurro, alle case bianche ancora illuminate, alla mia pelle bruciata e solleticata da una brezza calda. Prendo la bici e attraverso la città verso nord, godendomi il mio cocktail acustico di rumori cittadini e musica elettro-pop. La città araba lascia spazio all’aridità della periferia sivigliana, alla sua cruda verità e alla sua poesia rude.

Rimonto in sella al mio cavallo azzurro. Sfilo verso il centro, sfilo verso gli spazi guadagnati in piazza, dove per un euro puoi comprare una birra, la compagnia e un po’ di diversione.

La mezzanotte ci riporta a casa come tante Cenerentole straniere. Metto su l’acqua e preparo la pasta per l’indomani, mentre la guerriglia continua a formarsi davanti ai miei occhi, finchè il sonno non li spegne.

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