mercoledì 8 maggio 2013

hamami ancora - day 5



Ci dirigiamo a passo spedito in direzione del Gran Bazar. È tardi e tra poche ore dovremo fiondarci all'aeroporto, ma prima c'è una cosa che dobbiamo fare. Ci fermiamo in un piccolo negozietto che straripa frutta sulla strada, prendiamo un succo di melograno ed una spremuta d'arancia fatti al momento, due dolci e ci sediamo su una panchina a fare colazione. Intorno a noi la città si prepara per tornare ad essere quella galassia di mercati che è ogni giorno.
Entriamo nel Hamami Cemberlitas, uno dei bagni turchi più famosi ed antichi della città. L'edificio, progettato dall'architetto Sinan alla fine del XIV secolo, si offre con una corte coperta intorno alla quale corrono 3 piani di ballatoi in legno. Paghiamo e ci dividiamo. Io infilo la scala che mi porta alle piccole cellette vetrate al primo piano. Qui mi spoglio e vesto il telo tipico. Ridiscendo al piano terra ed entro da una grande porta. Immediatamente gli occhiali si appannano e tutto si immerge in una nebbiolina calda. La sala è molto ampia e su ognuno degli otto lati che la compongono si aprono nicchie con piccole fonti. Una maestosa cupola sovrasta lo spazio centrale lasciando penetrare la luce attraverso alcune piccole feritoie a forma di stella. Al di sotto della cupola una grande piattaforma ottagonale in pietra occupa il centro della sala. Mi ci sdraio, respirando affannosamente. La pietra è caldissima, al limite del sopportabile. Come prima cosa devo sudare, mi pare di aver capito da chi mi ha indirizzato qui dentro. E questo lo so fare.
Appoggio gli occhiali e mi rosolo su entrambi i lati lasciando che il pensiero vaghi per le nebbie e le ombre della stanza. Di fianco a me due ragazzi parlano tra loro in una lingua a me sconosciuta.
Poi entra il mio massaggiatore. Prende un guanto di crine e comincia a rasparmi mentre cerca di comunicare in un inglese basilare, al quale rispondo a monosillabi, tramortito dalla manipolazione. Mi sento un po' impacciato, sbattuto in ogni dove mentre un uomo che potrebbe essere mio babbo mi insapona. Said ha il fisico nerboruto e asciutto, il volto ricoperto di rughe, e lavora al hamami da 35 anni. Dopo avermi insaponato mi fa sedere di fianco ad una fonte e comincia a versarmi sulla testa secchiate di acqua bollente da togliere il respiro.
Finito il massaggio torno nella mia celletta e me ne rimango un quarto d'ora in contemplazione del soffitto. Caravanserraglio, madrassa, hamami, moschea. Cerco di immedesimarmi nella grande cultura che permeava l'impero ottomano, a cavallo tra fascino e ripugnanza dell'Occidente. Di certo anche loro, come i romani, sapevano rilassarsi.
Mi siedo trai tavoli della grande corte coperta ed osservo le altre persone passeggiare ai piani superiori, altri turisti come me che non sanno dove andare. Asciugamani vengono stesi ai fili e poi riposti con cura.
Quando mi raggiungi la tua faccia rasenta l'iconografia della visione mistica. E mi racconti del mondo che si trova dentro l'hammami femminile. Delle grandi donnone che ti manipolavano, delle pozze di acqua calda e fredda, dell'aroma, delle ragazze che dal nulla hanno cominciato a dimenarsi in un'improvvisata danza del ventre proprio sopra la grande pietra ottagonale, sotto la scena della cupola. Una visione di altri tempi.

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