Ci dirigiamo
a passo spedito in direzione del Gran Bazar. È tardi e tra poche ore dovremo
fiondarci all'aeroporto, ma prima c'è una cosa che dobbiamo fare. Ci fermiamo
in un piccolo negozietto che straripa frutta sulla strada, prendiamo un succo
di melograno ed una spremuta d'arancia fatti al momento, due dolci e ci sediamo
su una panchina a fare colazione. Intorno a noi la città si prepara per tornare
ad essere quella galassia di mercati che è ogni giorno.
Entriamo nel
Hamami Cemberlitas, uno dei bagni
turchi più famosi ed antichi della città. L'edificio, progettato
dall'architetto Sinan alla fine del XIV secolo, si offre con una corte coperta
intorno alla quale corrono 3 piani di ballatoi in legno. Paghiamo e ci
dividiamo. Io infilo la scala che mi porta alle piccole cellette vetrate al
primo piano. Qui mi spoglio e vesto il telo tipico. Ridiscendo al piano terra
ed entro da una grande porta. Immediatamente gli occhiali si appannano e tutto
si immerge in una nebbiolina calda. La sala è molto ampia e su ognuno degli
otto lati che la compongono si aprono nicchie con piccole fonti. Una maestosa
cupola sovrasta lo spazio centrale lasciando penetrare la luce attraverso
alcune piccole feritoie a forma di stella. Al di sotto della cupola una grande
piattaforma ottagonale in pietra occupa il centro della sala. Mi ci sdraio,
respirando affannosamente. La pietra è caldissima, al limite del sopportabile. Come
prima cosa devo sudare, mi pare di aver capito da chi mi ha indirizzato qui
dentro. E questo lo so fare.
Appoggio gli
occhiali e mi rosolo su entrambi i lati lasciando che il pensiero vaghi per le
nebbie e le ombre della stanza. Di fianco a me due ragazzi parlano tra loro in
una lingua a me sconosciuta.
Poi entra il
mio massaggiatore. Prende un guanto di crine e comincia a rasparmi mentre cerca
di comunicare in un inglese basilare, al quale rispondo a monosillabi,
tramortito dalla manipolazione. Mi sento un po' impacciato, sbattuto in ogni
dove mentre un uomo che potrebbe essere mio babbo mi insapona. Said ha il
fisico nerboruto e asciutto, il volto ricoperto di rughe, e lavora al hamami da
35 anni. Dopo avermi insaponato mi fa sedere di fianco ad una fonte e comincia
a versarmi sulla testa secchiate di acqua bollente da togliere il respiro.
Finito il
massaggio torno nella mia celletta e me ne rimango un quarto d'ora in
contemplazione del soffitto. Caravanserraglio, madrassa, hamami, moschea. Cerco
di immedesimarmi nella grande cultura che permeava l'impero ottomano, a cavallo
tra fascino e ripugnanza dell'Occidente. Di certo anche loro, come i romani, sapevano rilassarsi.
Mi siedo
trai tavoli della grande corte coperta ed osservo le altre persone passeggiare
ai piani superiori, altri turisti come me che non sanno dove andare. Asciugamani
vengono stesi ai fili e poi riposti con cura.
Quando mi
raggiungi la tua faccia rasenta l'iconografia della visione mistica. E mi
racconti del mondo che si trova dentro l'hammami femminile. Delle grandi
donnone che ti manipolavano, delle pozze di acqua calda e fredda, dell'aroma,
delle ragazze che dal nulla hanno cominciato a dimenarsi in un'improvvisata
danza del ventre proprio sopra la grande pietra ottagonale, sotto la scena
della cupola. Una visione di altri tempi.
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