martedì 7 maggio 2013

zeki - day 4



Risaliamo nuovamente la collina per poi ridiscendere in direzione del nostro hotel. Sfiliamo per queste vie silenziose che abbiamo imparato a conoscere, il passo sicuro sotto le stelle. Scolliniamo e ci ritroviamo sul palcoscenico della città, nel giardino dove Aya Sofia e la Moschea Blu si fronteggiano da secoli, silenziose. La fontana è in funzione e lancia nell'aria spruzzi colorati che si stagliano contro il cielo ed i volumi plastici delle due moschee. Gli ultimi reduci della notte, qualche coppietta ed alcuni irriducibili venditori ambulanti presidiano le panchine che circondano lo specchio d'acqua. Ci sediamo a goderci lo spettacolo, consci che domani tutto questo sarà solo un ricordo. I richiami dei muezzin che scandiscono le ore della giornata, come una volta le campane delle chiese. Gli uomini sempre indaffarati a vendere qualcosa, ovunque e qualsiasi tipo di merce, in questa città perennemente in vendita. Le donne intraviste nei quartieri poveri, nei parchi pubblici o in qualche bazar, intente ad arginare l'esuberanza di bambini cenciosi, a tenere insieme case decrepite, a lavorare nell'ombra. I dolci, bombe caloriche ad alta densità, l'onnipresente tè che viaggia per le vie della città su splendidi vassoi in metallo, l'aroma di narghilè, il cibo, ottimo ovunque lo abbiamo mangiato. E mentre ripasso mentalmente quello che questa città ci ha svelato di sè, dal cielo cominciano a scendere le prime gocce, ad interrompere il mio commiato ideale. Lentamente ci alziamo e procediamo sfilando sul lato della Moschea Blu. Lasciandomi alle spalle il parco Sultanahmet mi torna alla mente quando, per andare a casa, dovevo passare tra duomo e battistero, nelle notti fiorentine, sorprendendo la mole ricca e imponente di Santa Maria del Fiore assopita. E la meraviglia era un po' la stessa che provavo guardandoti, mentre dormivi al mio fianco.
Scartiamo tutti gli altri locali tipici e ci fiondiamo nei bassi fondi del nostro quartiere per l'ultima sera sotto l'egida della mezzaluna. La parete gialla e tanti piccoli vasi colorati appesi ci danno il benvenuto al bar reggae. Ci sediamo su poltrone fatte di copertoni e tavoli ricavati da botti in legno. Un ragazzo si avvicina tranquillamente e ci chiede cosa può portarci. Cappello da Indiana Jones, occhialetti, bretelle, torna verso il bancone non prima di averci lasciato la piacevole sensazione di essere in un posto accogliente.
Le birre si inseguono, il narghilè fomenta i pensieri e le parole, le patatine alimentano le disquisizioni notturne. E passiamo in rassegna tutto, passato e futuro, andando alla deriva sulle note di Elvis. Ed è un po' come ritrovare qualcosa, forse qualcosa che non si è mai avuto o che si è sempre temuto. Chissà. Tutto è confuso e sereno, ed i pensieri si fondono alle canzoni.
Zeki, così si chiama, ci chiede di fare una foto con lui e di lasciargli uno schizzo per il bancone. In preda al furore tracciamo visioni oniriche e scritti criptici, riversando sulla carta il manifesto desiderio di tornare qui, un giorno. Come se avessimo trovato un amico.

1 commento:

Anonimo ha detto...

bellissima foto!
iri