mercoledì 1 maggio 2013

narghilè - day 4



Scendendo per Soğuk Çeşme Sokak ci imbattiamo nuovamente in un microscopico bar che avevamo già notato in precedenza. Il chioschino di fatto consiste in un bancone ed una serie di terrazzamenti che seguono la pendenza della strada. Su ognuno di questi, panche in ferro battuto con cuscini ricamati da motivi orientaleggianti raccolte intorno a bassi tavolini. Il sole batte dolce sulle mura di cinta che fanno da scenario alla visione. Un richiamo ineludibile.
Dopo averci portato i consueti tè, il ragazzo ci fa odorare un composto e ci chiede se vogliamo provarlo. Attraversa la piccola stradina, armeggia al piano basso di una casa in legno diroccata e, guardando il gatto che sonnecchia sul divano di fronte a lui, avvicina la fiamma ossidrica per accendere il carbone. Poco dopo ritorna con il nostro narghilè e l'impasto di tabacco e mele comincia a spandere il suo aroma morbido nell'aria.
Un altro ragazzo si siede di fianco a noi sulla panca e comincia a chiacchierare mentre predispone davanti a sè una serie di piccoli recipienti in terra cotta. Ci racconta con un sorriso che questi dieci giorni sono pieni di lavoro, che tanta gente in Europa ha le ferie e viene a passarle a Istanbul. Mentre parla apre un pacco di cellophane, ne estrae il tabacco aromatizzato e comincia a riempire i piccoli contenitori. Li ricopre con abilità uno per uno con un foglio di carta stagnola, la fora leggermente, et voilà, i narghilè per il primo pomeriggio sono pronti.
All'improvviso di lontano si insinua un canto, seguito poi da tanti altri a fargli eco, vicini e lontani. I muezzin hanno cominciato a richiamare i fedeli alla preghiera in tutta la città. I ragazzi si avvicinano all'impianto hi-fi e lo spengono. Non penso siano particolarmente osservanti, non sembra, ma per tutto il tempo della preghiera la musica rimane spenta, mentre loro continuano a lavorare. Come consuetudine, continuano a riempirci i bicchierini di chai, il tè turco, almeno finchè non appoggiamo il cucchiaino di traverso sul bordo del bicchiere stesso. E così, storditi dal sole e dal tabacco, ci spostiamo in cerca di un posto dove mangiare qualcosa.
Risalendo nuovamente verso Aya Sofia adocchiamo un locale che ci ispira fiducia ed chiediamo due kebap da portare via. Mi volto per cercare la cassa e mi ritrovo una sorridente ed allucinata faccia dai lineamenti inconfondibilmente nipponici che mi domanda se abbiamo già ordinato. Gli rispondo di sì e lui, tutto felice, mi chiede se sono italiano. Sì, perchè? - mi informo incuriosito. Perchè solo gli italiani invece di dire yes dicono yeeeeeeeeeeeees. E ci facciamo quattro risate.

Il parco Gülhane si estende tra Aya Sofia, il palazzo Topkapi ed il Corno d'Oro. Giardini ben tenuti, erba rasata, grandi sempreverdi secolari a fare ombra ad aiuole disegnate da fiori sgargianti. Sugli alberi ancora spogli si intravedono le cicogne ed i loro nidi, mentre grandi merli e piccoli pappagalli ci volano intorno.
Ci sdraiamo nel sole finalmente caldo del primo pomeriggio e divoriamo i migliori kebap che abbiamo mai assaggiato, attorniati da gruppi di turchi e turisti che fanno lo stesso. Il tempo diventa labile, si scioglie il nodo del "fare" e compare uno strano senso di pace che non conosco. Prendo uno dei miei libri preferiti e comincio a leggere. E così, al di sotto del palazzo del Sultano, comincia a farsi strada nella mia mente una campagna lontana ed una fattoria, quella di Mato Rujo, che dimora cieca, scolpita in nero contro la luce della sera.

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