Effettivamente non l’avevo ancora vista da questa prospettiva. Guardo la tristezza velare leggermente i suoi occhi e il silenzio coprire quello che non si può dire.
Sto per lasciare questo posto. Dopo anni di studio, vagabondaggio, divertimenti e lotte. Dopo anni in cui il posto cui ritornare, anche mio malgrado, era sempre O31. Il covo dell’entropia del mondo, la fabbrica del disordine, la patria dei lavori invano. Sta per non essere più casa mia.
Le notti di fronte allo schermo (la maggior parte delle quali passate a dormire), le cene, i pranzi coi Simpsons. La gente. La gente che va e viene, che si invita a cena, che si invita a dormire, che si invita a studiare. Le notti. Le notti passate insonni, davanti allo schermo del computer, i minuti di riposo sul divano, le paste al bar disotto, le revisioni in condizioni da famiglia Addams. I chilometri macinati con la bici, le bici. I vicini che pian piano entrano a far parte del mondo O31, quelli che scompaiono, quelli che li sostituiscono. Le americane, gli spagnoli, i giapponesi, le francesi. Le partite a calcetto, le corse all’Albereta, la corsa fino a viale Europa (ancora ce lo ricordiamo, eh Luke?). Halloween e tutto il casino che si è portato dietro. L’Erasmus, che in varia maniera è passato anche di qui, sempre più prepotentemente. La decisione di seguire chi era mio amico, perderlo, ritrovarlo, abbandonarlo. Rovinare tutto per qualche parola di troppo, dare fuoco a ciò che era quotidiano. Vedere il tempo passare nelle loro facce.
E poi. Arrivare alla fine. Arrivarci deluso e contento.
Cambiato.
Metterò quelle quattro cose che mi porto dietro nel mio solito fagotto e riattraverserò l’Appennino. Come anni fa, in un percorso a ritroso che mi riporterà a casa. Quella casa ormai (quasi) sconosciuta.