Finalmente appoggiamo il culo per terra e tiriamo il respiro. Come se avessimo cercato a lungo un posto degno per farlo. E questo, senza dubbio, lo è.
Certo, la fageda, l’esteso faggeto che si estende a sud-est di Olot ricoprendo le pendici dei suoi vulcani inattivi, era ricca di fascino. Verde brillante, la sua terra ricoperta di erba e muschio, l’Irlanda in trasferta. Alti e svettanti i suoi faggi, tanto fitti da nascondere completamente la luce del sole, creando un articolato tetto vegetale. Un dedalo i sentieri che vi si addentrano, senza punti di riferimento né segnali.
Ma è sul Motsacopa che il mio animo segue il fisico e decide di sedersi.
Sul lato nord-ovest del nucleo antico di Olot, a poche centinaia di metri, si trovano le pendici troncoconiche di tre dei numerosi vulcani ormai spenti che circondano la cittadina. Quello centrale, più piccolo degli altri, si alza al di sopra della Plaça Major. È il Motsacopa.
Un cammino di ronda passa sul perimetro del cratere mentre al di sotto un bacino verde rigogliosissimo costituisce il cuore del vulcano. È proprio qui, nell’erboso centro del bacino, che le nostre stanche membra si posano al tramonto. Mentre intorno si alza il vento freddo delle sere d’estate e il cielo si copre di nubi, protetti dalle fauci del vulcano guardiamo in controluce la chiesa costruita sulla bocca del cratere.
Le mani toccano l’erba, gli occhi fissano il cielo e le parole scorrazzano libere per queste terre.
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